Quante inutili lacrime di coccodrillo bagnano il solito conformismo della grande informazione.
Ora improvvisamente si scopre che non c’è un milione di posti di
lavoro in più, ma in meno. E naturalmente la parola più adoperata è
emergenza.
Ma quale emergenza, la disoccupazione di massa è un obiettivo
perseguito da venti anni da parte delle classi dirigenti, con una
accelerazione negli ultimi due così brutale che forse il risultato è
andato oltre quanto ci si prefiggeva. Ma resta il fatto che la
disoccupazione è prima di tutto voluta.
Nella ideologia liberista che ancora domina tutte le politiche
economiche, soprattutto in Europa, la disoccupazione è lo strumento per
riequilibrare il mercato del lavoro quando calano i profitti.
Le aziende riducono il personale e questo crea una disoccupazione che
dopo un po’ produce concorrenza al ribasso sul prezzo della forza
lavoro. Alla fine il salario precipita fino al punto in cui le imprese
trovano conveniente ricominciare ad assumere e si riparte, c’è la famosa
ripresa.
Questa politica è stata da noi attuata per venti anni, prima con la
precarizzazione e poi, quando è scoppiata la grande crisi, con la
disoccupazione di massa. E tutto questo ha prodotto il risultato voluto,
il crollo dei salari e l’aumento degli orari di chi è rimasto al
lavoro.
Pensiamo solo a Marchionne. Nulla del suo progetto sulla forza lavoro
sarebbe stato realizzabile senza il ricatto della disoccupazione,
ovviamente amplificato dalla minaccia: o così o all’estero. Anche questa
minaccia infatti sarebbe meno efficace se ci fossero alternative
immediate per chi rifiuta di accettare quel ricatto. Ma siccome chi
perde il lavoro, soprattutto se di mezza età, deve mettersi in coda
dietro ai più giovani nella vana ricerca di una occupazione precaria e
neppure la trova, è chiaro che il ricatto funziona.
Così in questi anni di precarietà e disoccupazione di massa, chi
ancora conserva un posto di lavoro degno di questo nome ha imparato ad
autosfruttarsi. Del resto la solita informazione di regime spiega ogni
giorno che gli occupati “normali” sono dei privilegiati. Hai già il
lavoro, accontentati, non pretendere anche il salario!
Così alla fine l’obiettivo è stato raggiunto, là dove ancora si
lavora la minaccia della disoccupazione di massa ha fatto sì che i
dipendenti accettino condizioni di lavoro e salario che solo poco tempo
fa sarebbero state ripudiate perché lesive della dignità.
Obiettivo raggiunto, ma non si riparte e la crisi si aggrava.
Perché queste politiche liberiste possono avere, a prezzo di
terribili ingiustizie, qualche successo se l’economia complessiva è in
fase di grande crescita. Ma se come ora l’economia nel mondo ristagna,
cresce solo in Cina, India, etc e precipita verso il basso
nell’occidente; allora il risultato non c’è. Come dopo la crisi del 29,
le politiche liberiste aggiungono danno a danno.
In più l’Italia aggiunge a tutto questo una politica di pagamento del
debito, che ci è imposta dall’Europa e che in tempi di crisi è
totalmente insostenibile, come lo erano le riparazioni di guerra chieste
alla Germania alla fine della prima guerra mondiale.
Come facciamo a pagare una rata annuale di 120 miliardi all’anno, tra
interessi e riduzione del debito, come ci impone il fiscal compact?
Non possiamo, a meno di distruggere continuamente risorse che
potrebbero essere dedicate alla ripresa. Per questo il calo dello spread
si è fermato, non per il teatrino della politica, ma perché gli
investitori sanno che l’Italia dalla crisi non esce.
Le misure di riduzione dei costi della politica sono giuste sul piano
della morale pubblica, ma sul piano economico il loro effetto è zero.
Il pagamento dei debiti pubblici alle imprese è giusto, ma al massimo
impedisce ulteriori chiusure, non fa ripartire una economia ferma.
Così pure incentivare le assunzioni a tempo indeterminato può far
assorbire qualche contratto precario particolarmente scandaloso, ma non
aggiunge all’esistente nulla. Nessuna azienda assume se non ha nulla da
fare in più di quello che già fa.
E allora? Allora bisogna abbandonare totalmente le politiche
liberiste che continuano a fallire e a farci fallire. Per metterla in
politica bisogna dire no a Berlusconi, ma anche a Ciampi, a Prodi e
ovviamente a Monti.
Se davvero si vuol abbattere la disoccupazione di massa e
considerarla, come fecero tutti i progressisti e gli antifascisti negli
anni trenta, il primo nemico della democrazia, allora bisogna rovesciare
il tavolo delle misure e dei convincimenti di questi venti anni.
Primo, ci vuole un grande intervento pubblico perché il mercato è
fallito. Ci vogliono nazionalizzazioni e investimenti pubblici in opere
necessarie davvero, abbandonando le varie TAV che producono lauti
profitti, ma quasi zero lavoro.
Secondo bisogna bloccare i licenziamenti subito, imponendo alle
multinazionali e alle grandi imprese una vera e propria tassa sociale
per il lavoro. Se te ne vai paghi molto di più di quello che ti costa
restare, questo deve imporre un potere politico con la schiena dritta.
Terzo bisogna ridurre qui e ora l’orario di lavoro nelle due modalità
conosciute. L’abbassamento dell’età della pensione e la riduzione
dell’orario settimanale.
Questo non crea nuovo lavoro, ma ridistribuisce
quello che c’è in modo più giusto, soprattutto a favore dei giovani e
degli esodati, e in prospettiva migliora la stessa produttività.
Quarto bisogna ridistribuire ricchezza, prima di tutto con il reddito
ai disoccupati e poi con l’aumento delle retribuzioni e delle pensioni
più basse.
Questo perché bisogna smetterla di pensare che l’economia
riparta vendendo Ferrari e Armani ai benestanti e ai ricchi nel mondo.
Siamo troppi in Italia per vivere solo di questo.
Naturalmente ci sono tante altre misure che andrebbero prese, ma qui
ho voluto sottolineare quelle davvero di emergenza e di rottura con le
politiche economiche che ci hanno portato a questo disastro.
So bene che queste scelte, che negli anni trenta sarebbero state
definite come riformatrici, nulla hanno a che vedere con l’ideologia del
riformismo liberista delle oligarchie che ci governano, in Italia e in
Europa. Però quanto dobbiamo aspettare e pagare ancora, prima che si
capisca che queste oligarchie ci stanno trascinando nel loro fallimento?
Facciamo della lotta alla disoccupazione di massa la priorità della
politica, e se qualcuno ci risponde parlando di Europa rispondiamo come
recentemente hanno fatto milioni di portoghesi: che si fotta la Troika.
Giorgio Cremaschi - 08/04/2013
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