martedì 26 febbraio 2013

Lo spread ha perso le elezioni

I mercati hanno reagito male. Era ovvio,  banche e finanza volevano la vittoria di un PD aperto a Monti. Se poi le elezioni avessero dato addirittura il successo a quest'ultimo per i mercati sarebbe stato il massimo, ma comunque essi erano disposti ad accontentarsi. 
E invece no, il popolo italiano non ha votato come avrebbe dovuto per senso di responsabilità e degli affari. Le politiche di austerità, perché questo han subito capito all'estero,  sono state bocciate. 
Come si fa a non provare soddisfazione per questo sconquasso? (...)

Seicentomila licenziamenti in nove mesi, il più grave impoverimento di massa dalla fine della guerra, le previsioni sul futuro tutte pessimiste e gli italiani avrebbero dovuto farsi ammaliare ancora  dal teatrino di Berlusconi Bersani e Monti? 

Il palazzo e anche i sondaggisti  si erano illusi che sarebbe stato così. In fondo le terribili controriforme delle pensioni e dell'articolo 18, i tagli alla scuola e alla sanità erano passati senza quella rivolta sociale che abbiamo visto crescere in Grecia  Spagna Portogallo. 

CGIL CISL UIL o approvavano o subivano tutto e i loro gruppi dirigenti si erano equamente distribuiti tra il sostegno al centro e quello al centro sinistra. Anche le ruberie scandalose della classe politica sembravano suscitare più rancore che protesta. 

Si poteva credere alla rappresentazione di regime di un popolo italiano passivo e in fondo disposto a votare secondo le indicazioni di quella Troika europea  che esercita la sua dittatura in Grecia.

E invece sono andati in minoranza. Perché Berlusconi e Bersani, che ora comunque fanno finta di aver vinto qualcosa, raccolgono  il peggior risultato della storia delle loro coalizioni, che ora  rappresentano ciascuna  poco più di un quarto dei voti espressi. Perché Monti ha mostrato gioia per il solo fatto di essere riuscito ad entrare alla Camera per il rotto della cuffia. Perché tutti costoro, che ci hanno governato in alternanza negli ultimi venti anni e assieme negli ultimi tredici mesi, sono oggi minoranza  nel corpo elettorale e nel paese.

È stato duramente sconfitto, assieme a loro, il Presidente della Repubblica che viene ora sottoposto ad una dura legge del contrappasso. Dopo aver imposto la governabilità a tutti i costi in nome dello spread, si trova adesso a dover amministrare il più ingovernabile dei responsi elettorali, mentre lo spread risale.

Siamo dentro una crisi di sistema che le vecchie politiche e i vecchi schieramenti possono solo aggravare. C'è da augurarsi  che il movimento 5 stelle sia consapevole  che il suo successo non è una scelta definita né tantomeno una delega, ma è segnale e parte della rivolta che sta crescendo in tutta Europa e finalmente è cominciata davvero anche ad noi.

Siamo solo all'inizio di un processo lungo e doloroso, dal quale si potrà uscire positivamente solo con l'eguaglianza sociale e il rovesciamento dell'austerità, con il pubblico al posto dei mercati e con la democrazia diretta per controllare il potere pubblico. E questo si potrà fare solo facendo saltare i calcoli e i conti dell'Italia e dell'Europa di banche e finanza. Siamo di fronte ad una crisi di sistema che si può affrontare solo cambiando sistema.

Sarà dura come dicono in Valsusa, ma  intanto prendiamo un po' di fiducia dal fatto che gli elettori italiani hanno cominciato a mandare a quel paese i signori dello spread. E prepariamoci a lottare.


G. Cremaschi - 26/02/2013
Rete 28 Aprile


lunedì 25 febbraio 2013

Landini : cosa chiedo al centrosinistra

Nella campagna elettorale tutti hanno fatto appello alla democrazia, alla sua difesa. In molti hanno scelto di schierare esplicitamente organizzazioni sociali e culturali per questo o quel partito, per questo o quel leader: noi no. La Fiom-Cgil ha voluto essere parte attiva nella campagna elettorale a partire dalla propria indipendenza fin dal 9 giugno dello scorso anno, quando abbiamo invitato il centro sinistra ad un confronto su quelli che per i metalmeccanici sono ancora oggi i nodi cruciali.
I punti su cui abbiamo chiesto a Bersani, Di Pietro, Diliberto, Ferrero e Vendola di esprimersi non avevano un carattere corporativo, non la difesa del particolare a discapito della condizione generale del Paese: ma la centralità del lavoro per la piena cittadinanza.
In piena campagna elettorale, mentre ai metalmeccanici si chiedeva un voto per questo o quel candidato, si è impedito agli operai e agli impiegati di poter decidere sul proprio contratto nazionale con un voto che lo approvasse o lo respingesse.
Mentre in tv non c'è stato un solo programma televisivo in cui non ci fosse un dibattito elettorale, alla Fiom-Cgil hanno cancellato il diritto a tenere le assemblee. Nelle elezioni dei rappresentanti dei lavoratori nelle fabbriche, alla Fiom-Cgil è stata impedita la possibilità di eleggerli in proporzione rispetto ai voti presi. Accade che anche dove la Fiom - Cgil raggiungeva il 70% dei consensi le aziende riconoscessero meno del 50% della rappresentanza. Domando: se il sistema elettorale con cui voteremo si è stato definito porcellum, quello che "regola" il voto negli stabilimenti come dovremmo chiamarlo?
La democrazia è attaccata da chi dovrebbe difenderla istituzionalmente: il presidente del consiglio in carica ha aperto la propria campagna elettorale in uno stabilimento della Fiat dove, a tre delegati della Fiom-Cgil, è impedito di poter lavorare nonostante le sentenze dei tribunali abbiano condannato la direzione aziendale. Dov'è la democrazia se al più grande gruppo industriale privato italiano si permette con l'art. 8 di violare lo Statuto dei Lavoratori e la Costituzione, e dov'è la democrazia se a chi lavora, col ricatto del licenziamento, si toglie la libertà di poter contrattare alla pari con l'impresa. La democrazia è un esercizio concreto, quotidiano del rispetto delle leggi. Invece assistiamo ad una intera classe dirigente nazionale che le viola.
In questi anni di austerity si è chiesto ai lavoratori dipendenti, ai giovani e ai pensionati di pagare il conto di un debito che hanno fatto altri. La crisi è usata dalle classi dirigenti per cancellare le leggi che hanno reso il lavoro e la vita delle persone dignitosi; giorno dopo giorno, ad uno ad uno scopriamo che i "coraggiosi" capitani d'impresa hanno avvelenato intere città, pagato tangenti, messo in pericolo la vita stessa dei lavoratori, cancellato diritti inalienabili, discriminato. Avidità, potere, profitti e prestigio sono stati i valori etici e morali di chi allo stesso tempo esigeva la cancellazione dell'art. 18, la produttività a scapito dei lavoratori e tutto questo è potuto accadere per complicità esplicite ed implicite del sistema politico italiano.
Le politiche di questi anni passati hanno lasciato al mercato il ruolo di "regolatore" di tutto. Risultato? Aumento della disoccupazione, crescita della precarietà e abbassamento dei salari, elementi che nella storia europea hanno fatto nascere sistemi totalitari e provocato guerre. La storia ci ha insegnato che la democrazia c'è quando le persone sono libere dal ricatto e dalla miseria ed è compito delle istituzioni garantire che questo accada, ma non è stato così né con i governi Berlusconi, né con Monti. Mentre in Italia si defiscalizza lo straordinario, negli Stati uniti si aumenta di 1,5 dollari il salario base, mentre in Francia si difende l'occupazione negli stabilimenti dell'auto, in Italia non si chiede neanche un piano industriale, mentre in Cina i lavoratori, dopo durissimi scontri, alla Foxconn potranno votare i loro rappresentanti, in Italia è impedito. Sono solo alcuni temi di una discussione che abbiamo voluto evocare in questa campagna elettorale e in parte ci siamo riusciti.
Con queste elezioni vorrei che la politica tornasse a svolgere il proprio ruolo di garante della nostra Costituzione, a partire dalla libertà di ciascun lavoratore di poter votare liberamente il proprio contratto e i propri rappresentanti. Bisogna aprire subito tavoli nazionali sulle maggiori crisi industriali del paese (per esempio siderurgia e mobilità di persone e merci), intervenire con una legge sui salari (perché i minimi stabiliti nei contratti nazionali non possano essere derogati), salvaguardare l'occupazione riducendo l'orario di lavoro, dare un reddito di cittadinanza come in una parte importante dell'Europa. La Fiom Cgil si è confrontata alla pari con tutte le forze politiche del centro sinistra entrando nel merito delle politiche industriali e sociali.
I metalmeccanici voteranno con la propria testa ed il giorno dopo le elezioni la Fiom-Cgil chiederà a tutti i parlamentari, eletti democraticamente dal popolo italiano, che la democrazia rientri nelle fabbriche. Il tempo delle attese è già finito.


Maurizio Landini 
dal Manifesto - 24/02/2013

giovedì 21 febbraio 2013

Mettiamoli in minoranza / e poi...

Si apprende che i fondi e le agenzie della speculazione finanziaria internazionale stanno sondando l’Italia per sapere che fare dopo il voto, se far salire lo spread, o lucrare sulla fuga di capitali, o altro ancora.
Questo perché, anche se la campagna elettorale ha fatto finta di dimenticarsene, il nostro paese fa sempre parte della schiera dei paesi debitori del sud Europa, precipitati in una depressione senza fine per colpa delle politiche di austerità e rigore.
Paesi tra i quali spicca ancora la Grecia, nella quale nulla è migliorato e che si prepara ad un nuovo sciopero generale contro il massacro sociale in corso senza interruzione da tre anni. Massacro che è stato voluto e amministrato da governi che hanno deciso di obbedire ai diktat di quegli stessi signori che ora stanno testando il nostro voto.
La terzomondizzazione della Grecia, secondo la brutale definizione di alcuni economisti, è una infamia che pesa su tutte quelle classi dirigenti di destra e sinistra che in Europa l’hanno voluta o accettata. È una macchia che colpisce tutta la retorica europeista, è il segno di una caduta generale della nostra democrazia, sottoposta al potere delle banche e della finanza internazionale.
Sappiamo benissimo per quale voto e quale governo vota questo potere. Esso vuole un governo Bersani Monti che continui la politica delle “riforme”, magari come ci chiede la OCSE rendendo ancora più facili i licenziamenti. Cioè proseguendo nella strada che ci sta sempre più avvicinando alle condizioni sociali della Grecia.
Berlusconi è fuori gioco per questi signori perché travolto dalle incapacità personali, dagli scandali, dal conflitto di interessi. Il rischio che torni al governo è pressoché nullo, basta parlare con le persone normali che faticano tutti i giorni per capirlo.
Ma un governo Bersani Monti, coperto a sinistra dal contributo di Vendola e sostenuto dalla concertazione con CGIL CISL e UIL, sarà forse rassicurante per i “mercati”, ma per noi?
Secondo un appello sottoscritto, tra gli altri, da Rodotà, Eco, Zagrebelsky, a questo punto la sola cosa utile da fare sarebbe quella di votare il centrosinistra, per dare forza e credibilità all’unico progressismo realisticamente praticabile di fronte al potere dello spread. Con tutto il rispetto per gli insigni firmatari dell’appello, non ci siamo proprio e almeno per tre ragioni di fondo.
La prima è che nel programma Italia Bene Comune c’è scritto a chiare lettere che tutti gli impegni assunti in Italia e in Europa si mantengono. Quindi il fiscal compact, il pareggio di bilancio costituzionalizzato, il vincolo usuraio del debito non si toccano, e con essi non si tocca il vero cuore dell’agenda Monti, da cui prendono linfa tutte le politiche di austerità e rigore.
In secondo luogo è difficile dimenticare che Bersani Monti e Berlusconi han governato assieme decidendo terribili controriforme sulle pensioni sull’articolo 18 e hanno impostato  una politica di tagli sociali chiamata spending review, i cui danni hanno appena iniziato a manifestarsi.
Tutta la campagna elettorale si è svolta attorno alla Imu, ma nessuno di questi tre ha minimamente accennato a voler cancellare le controriforme sociali approvate.
Infine bisogna sempre ricordare che questo confronto elettorale avviene sulla base di una vergognosa legge truffa, che Bersani e Berlusconi in primo luogo, Monti in seconda battuta, si sono ben guardati dal modificare per evidenti interessi di bottega. Sulla base di essa il probabile vincitore, stando ai sondaggi il centro sinistra, dovrebbe ottenere il 55% dei seggi alla camera con meno del 35% dei voti validi. Che a loro volta corrisponderebbero a meno del 20% di tutto il corpo elettorale.
No, non c’è nessuna stabilità e neppure credibilità democratica in un risultato come questo, che stravolge il senso profondo della nostra democrazia costituzionale, che non è quella degli Stati Uniti. Ed è uno stravolgimento del principio della rappresentanza che non viene sanato se, invece che la destra berlusconiana, questa volta dovesse vincere il centrosinistra.
Aggiungo che i tre schieramenti che hanno sostenuto il governo Monti, approvato il fiscal compact e la riforma costituzionale del pareggio di bilancio senza neppure sognarsi di chiedere con un referendum il consenso ai cittadini, sono meno della metà di tutto il corpo elettorale.
Non si sanano i guasti profondi della nostra democrazia affidandone il risanamento al solito centrosinistra che in questi venti anni berlusconiani ha governato per quasi la metà del tempo.
Ci vuole una rottura democratica profonda, che restituisca al popolo il potere vero di contare e decidere, sottraendo questo potere ai decisori occulti che ancora una volta si preparano ad imporre, come in Grecia, i loro interessi con il ricatto dello spread.
Facciamo sì che tutte le principali componenti della classe politica che ha governato negli ultimi venti anni siano punite dal voto e che raccolgano meno del 50% del consenso nel corpo elettorale. E facciamo sì che dalla loro messa in minoranza nel paese parta la riscossa della nostra democrazia costituzionale.
È ora che i padroni dello spread siano messi di fronte ad un paese reale che decide di accettare la loro sfida alla democrazia.

Giorgio Cremaschi  - 20/02/2013
Micromega



e adesso leggete questo :



Leggete, è divertente. Dopo mica tanto.
L’appuntamento con Spuds è all’angolo di Mount Pleasant e Cockfoster Rd. Ci arriva con la sua Renault beige che, davvero, si trascina avanti poverina solo perché alla fine gli vuole bene a Spuds. Nome buffo eh? In gergo significa ‘patate’, ma lui è tutt’altro che patatoso, è un sopravvissuto della periferia inglese.
Salgo e non dico nulla, neppure lui. E’ il 1989, la Gran Bretagna sa implodendo dopo l’implosione dell’economia super-neoliberista di quella carogna infame della Thatcher, la donna che ha vissuto con la vagina ricolma di pus, ne sono certo. Lui ora ha perso il lavoro, era un muratore. Io invece sono uno sgrassa motori nel Tunnel (vi spiego dopo). Lui è proprio davvero nella merda, io solo un poco. Stiamo un minuto in silenzio fissando come due trote attraverso il parabrezza. Poi penso che gli devo dire qualcosa per la sua sfiga e biascico “Sorry for you mate”. Lui si gira verso di me e così mi risponde: “C’è una soluzione a tutto nella vita… Special Brew”. Istintivamente guardo in basso, e fra i due sedili, sopra al freno a mano, c’è un’intera cassa di Carlsberg Special Brew, fate conto una specie di whisky con le bollicine e la schiuma che qui chiamano birra, very toxic. ‘Poff’… poi  ‘poff’, e due sono aperte, ok, si parte, destinazione China Town per mangiare mooolto economico, cioè 2 sterline e mezzo per un piatto.
Ri-poff… ri-ri-poff… Arriviamo al cinese che io non mi ricordo come mi chiamo. Al tavolo ho davanti una mega zuppa di spaghetti di riso e carne, e ci crollo dentro con la faccia. Spuds deve avermi preso per i capelli perché ricordo un male cane davanti, per il brodo bollente, e un male cane dietro. Ok, ora devo andare in bagno a togliere gli spaghetti che mi stanno scendendo giù per il petto. In bagno penso: tutto ok, mi sono svegliato con la scottatura e ora mi riprendo con una bella vomitata. Sono davanti alla tazza del cesso e prendo la mira, eh? Aspetta… un po’ più di qua, ok, mi sembra di esserci, dai, mica vuoi vomitarti sulle scarpe, no, no, fai bene, dai… ok, pronto, ci sono, vai!.......... Scarpe. Puttanatroiacazzo. Torno al tavolo, Spuds è abbastanza ok, lui ha la fibra inglese, sapete quelli hanno un fegato geneticamente modificato dal 1200 anni almeno. Comunque aveva ragione, abbiamo rimediato ai nostri problemi, perché adesso ne abbiamo altri più importanti, cioè, da che parte è casa nostra? Abbiamo una casa? Chi è tutta sta gente qui intorno? Li conosciamo? Aspetta, camminare… com’è che si fa pure? Booo.
Next: appena riprendiamo coscienza di chi siamo io dico a Spuds di portarmi a Buckingham Palace, e lui lo fa. "Vai proprio sotto al cancello", insisto. Ok. Scendo dall'auto e si fa ovviamente avanti un poliziotto, al quale dico "Sono qui per vedere la Regina". Io, con sta faccia, così. Spuds è in auto che cerca di rimpicciolirsi, lui è inglese. Il poliziotto non pensa neppure di chiamare la polizia, anzi, mi dice cortese che non si può. Io adirato: "Scusi, vengo dall'Italia, abbiamo guidato per 16 ore (sì, con la Renault di Spuds...) e ora lei mi dice che non posso vedere la Regina? Bene, domani riceverete una protesta dell'ambasciata italiana, buona sera". Spuds sta facendo i conti di quanti giorni di galera ci facciamo adesso, 15, o forse 20. Il poliziotto è un pelo interdetto. "Attenda". Chiama un superiore. Il superiore si scusa, ma proprio non è possibile. Io torno in auto e sbatto la porta. "C'mon, let's go... Jesus, these plonkers..." E via a casa. Mai capito come ci arrivammo, ma evidentemente ci arrivammo.
Rifate questo raccontino nella vostra mente, metteteci come regista Ken Loach, come attore Robert Carlyle, la colonna sonora è Wonderwall degli Oasis, il set è l’Inghilterra suburbana, le sue vite. Al cinema sembra tutta roba figa, vite vissute fuori dagli schemi, eh? No, fa schifo nella realtà. Quando la si vive davvero. Il Tunnel è sto posto dove io lavoro in nero con immigrati o proletari inglesi a sverniciare auto, sgrassare i motori, lucidarle per un concessionario Volkswagen top di Londra, quello stronzo di Alan Day. Non abbiamo aereazione, 20 minuti di pausa per mangiare i sandwich della macchinetta che non vanno giù, perché abbiamo il grasso fino in gola. Un giorno sono fuori dal Tunnel, con l’aspetto fisico tipo uomo nero delle favole dei bambini, e Mr Day passa con la sua Porche, si ferma, giù il finestrino e con tono tagliente da bastardo baronetto dice al qui presente negro: “Che fai qui? Quanto tempo è che sei qui?”. Io “Pausa pranzo, 12 minuti”. Ah, ok, dice la merda, mi riguarda con occhi schifati e se ne va. Se mi avesse sgamato che ero lì da 22 minuti ero licenziato.
Deregolamentazione del mercato del lavoro, flexicurity, competitività al pari dei diritti, privatizzazioni e liberalizzazioni per la difesa del consumatore, il cittadino libero di scegliere dove mettere i suoi soldi nel Libero Mercato. Bersani la può raccontare a chi vuole qui in Italia, ai ragazzi cresciuti al liceo o agli operai che hanno la cassa integrazione. Ma non la racconta a me, a Spuds, non la racconta a chi ha vissuto quegli slogan nello loro reali e finali conseguenze sulla propria pelle, perché a Londra fra il 1982 e il 1995 l’esperimento neoliberista, oggi ancora allo stadio della pillola zuccherata in Italia, era ferocemente allo stadio dove sempre vuole arrivare, come arriverà qui da noi fra 10 anni. Ed era orrore.
Un pomeriggio nel Tunnel vedo Brian che si china su un motore. E’ un toro di ragazzo inglese che assomiglia a Phil Collins e che ha una moglie disoccupata e un bimbo di 2 mesi. Io sono lì che s-cero un motore con la pompa a pressione che fa un bel chiasso, ma l’urlo di Brian lo sento tutto. Corriamo e il poveraccio è crollato sotto il motore che sollevava da solo, con la schiena spezzata in due. Urla, Dio se urla. Il Caporale di noi negri si agita e sbraita che dobbiamo toglierli la tuta e portarlo fuori, perché l’ambulanza non deve vedere dove lavoriamo. Ok, Brian viene traghettato su un marciapiede e portato all’ospedale. Tre giorni dopo, sempre nel Tunnel, sto vicino al muro dove è affisso il telefono. Il Caporale chiama qualcuno e questa è la conversazione: “Brian, non sei qui…” Dall’altra parte la risposta. Il ceffo conclude: “Senti stronzo, tre giorni sono sufficienti per chiunque per essere ammalato. Sei licenziato”. E sbatte giù la cornetta sulla vita di una famiglia senza più reddito in quell’inferno di società. Pensai di ucciderlo, una mazzata sulla nuca con la pompa, e poi quella finale per fracassargli il cranio. Nessuno lì avrebbe fiatato. Ma ho avuto paura, era troppo grossa anche per me.
Deregolamentazione del mercato del lavoro, flexicurity, competitività al pari dei diritti, privatizzazioni e liberalizzazioni per la difesa del consumatore, il cittadino libero di scegliere dove mettere i suoi soldi nel Libero Mercato. La Thatcher li aveva lavati nel cervello tutti in Inghilterra, ci credettero, e fu così che nove anni dopo la fine dell’esperienza della Lady dell’inferno il quotidiano britannico The Guardian scrisse che la povertà era ritornata ai livelli vittoriani in Great Britain. Fu così che Medicins du Monde dovette aprire delle tende mediche nel quartiere di Hackney per soccorrere gli anziani abbandonati a morire senza nulla.
La Special Brew Economy, con le donne pestate a sangue dai mariti disoccupati e alcolizzati. Con i sacchi a pelo degli immigrati dall’Inghilterra del nord – una landa ridotta a Dresda dalla morte dell’economia reale a favore di quella finanziaria – che crescevano al ritmo di centinaia al giorno nel centro di Londra. Cercavano da mangiare. Il ragazzino di 15 anni nel sacco a pelo che una sera mi dice “Sir, per 4 sterline le faccio un pompino”, e io che da italiano rispondo no grazie, quando un inglese rispondeva solo “fuck off” se andava bene, se andava male se lo faceva fare. Quindici anni con la bocca che puzza di sperma tutto il giorno e poi un kebab per non vomitare, e forse una Special Brew per dimenticare.
Io le ho viste queste cose. Sui giornali in Italia scrivevano dell’economia inglese che fioriva, che correva sui mercati, eh? Mica di Spuds, del Tunnel, di Brian e di quel bambino, migliaia di loro, chino a spompinare dentro un cesso di un pub. Pensate a sua madre quando lo partorì, pensate a cosa immaginò per quel bimbo nel suo futuro. Schizzi in bocca per non morire? Questo voleva lei? Deregolamentazione del mercato del lavoro, flexicurity, competitività…
Ci porteranno là, statene certi, i Zingales, Monti, Boldrin, Draghi, Passera, Bersani. E non dite che non vi avevo avvisati.
Questo ha senso raccontare adesso.

Paolo Barnard* - 20/02/2013
http://paolobarnard.info/home.php

*se non sapete chi è....beh...

lunedì 11 febbraio 2013

Finita la villeggiatura politica, riecco lo spread

È tornato lo spread è tornata la Germania, sono tornati rigore ed austerità. Sembravano scomparsi da questa penosa campagna elettorale. Le principali forze politiche, dopo aver governato assieme per più di un anno, appena iniziato lo spettacolo televisivo del voto,se ne erano dimenticate. Sembrava una villeggiatura, quelle dove si cerca di staccare dalle preoccupazioni quotidiane. Magari una villeggiatura a Cortina visto che si parlava solo di tasse. Forse si sperava che questa vacanza dalla realtà durasse fino al 27 febbraio, invece è finita prima. 
Non sono solo le vendite di tappeti in saldo di Berlusconi, lo scandalo della banca senese, le incertezze per il senato a far ripartire la cosiddetta sfiducia dei mercati.
Il regime  politico informativo oggi dominante, anch'esso in vacanza  sulle Alpi, oggi fa lo scandalizzato, ma è colpevole come i partiti della grande finzione e ancora una volta depista dalla realtà. Che è molto semplice e brutale: la crisi economica si è   aggravata e si aggraverà in Italia e in  tutta Europa e i mercati lo sanno.
Il numero reale di disoccupati nel nostro paese sfiora i cinque milioni. Decine di migliaia di studenti universitari mancano all'appello, eppure la lotta alla disoccupazione di massa e la catastrofe della pubblica istruzione non sono entrate nello spettacolo elettorale. Non è un caso.
Centrodestra e centrosinistra hanno governato,  assieme ora e nel passato  in alternanza, sulla base degli stessi principi liberisti di fondo. Hanno approvato la controriforma delle pensioni e  dell'articolo 18, il pareggio costituzionale di bilancio e il fiscal compact. Cioè hanno già definito i capisaldi di una politica economica di rigore e massacro sociale  che ha prodotto la depressione economica più grave dagli anni trenta del secolo scorso. Non solo, ma si sono impegnati a continuarla, al di là delle battute elettorali.
L'ultimo voto attuativo del pareggio di bilancio c' è stato alla Camera  a fine dicembre scorso ed è stato unanime.
Con buona pace di Vendola,  ha ragione Bersani quando afferma che nella carta dei principi di Italia Bene Comune tutto il centrosinistra è impegnato a rispettare i patti che sanciscono rigore ed austerità.
Il governo assieme a Monti è dunque una concreta possibilità alla luce del sole  dei programmi di fondo, e non degli accordi sottobanco. Bersani e Monti sono destinati a governare assieme perché così vogliono  lo spread e chi lo governa.
La dimenticanza di disoccupazione e scuola non è dunque solo frutto di una rimozione, ma ha qualcosa di consapevole.
Con i vincoli che si sono assunti non c'è alcuno spazio per creare davvero lavoro dignitoso o finanziare la formazione pubblica. Non ci sono i soldi, meglio parlare d'altro finché si può.
O forse è peggio ancora, cioè si preferisce  non dire cosa si farà davvero per mantenere i patti che si sono sottoscritti, altre  manovre e altri tagli sono  rinviati a dopo il voto.
Certo che  sarebbero necessarie invece elezioni verità. Si sarebbe dovuto chiedere ai cittadini di scegliere tra la continuità della austerità e del rigore, con i costi sociali che comporta, o la rottura con essa, con altri costi  pagare con Merkel, banche e finanza mondiale.
Un vero scontro tra via liberista e di mercato  e  via  pubblica   ed egualitaria per affrontare la crisi, questo sarebbe servito, questo sarebbe stato un segno di vera democrazia, un confronto elettorale utile.
Ma questo scontro avrebbe frantumato i principali  schieramenti e messo in crisi i loro gruppi dirigenti e, nel paese del trasformismo e del "ma anche",  sperare questo per ora è una pura utopia.
Così Bersani Monti e Berlusconi sono andati avanti  a litigare sulle spese della villeggiatura, finché la brutalità della crisi li ha interrotti.
E hanno anche il coraggio di chiedere il voto utile, utile a che?


G.Cremaschi - 06/02/2013
Rete28aprile
 

venerdì 8 febbraio 2013

Il costo umano dell'austerità in Italia

La corsa alle elezioni politiche italiane del prossimo (questo (ndr)) mese è dominata dalla discussione sulla messa in opera di ulteriori misure di austerità. Il non eletto governo di Mario Monti, sorto dalla pressione dei mercati finanziari nel novembre 2011, ha lavorato sistematicamente al fine di smantellare tutte le conquiste raggiunte dalla classe lavoratrice nel dopoguerra e rendere certo che questa stessa classe paghi il conto della crisi bancaria.

  
Già dopo poche settimane dalla sua nomina, il governo Monti ha presentato un pacchetto di tagli del valore di € 30.000.000.000: decurtamenti delle indennità sociali, aumento dell'età pensionabile da 58 a 66 anni entro il 2018, innalzamento del numero di anni che un lavoratore deve pagare al sistema pensionistico per ricevere la pensione da 35 a 42 anni . L'indennizzo per l'inflazione è stato rimosso dalla maggior parte delle pensioni. L'IVA è stata aumentata del 2 per cento, colpendo duramente le fasce di retribuzione più bassa, e vari aumenti di tasse hanno causato un marcato aumento del costo del carburante.

Nel corso dell'anno successivo è stata reintrodotta la tassa sulla prima proprietà, questo ha spinto i costi di proprietà per le famiglie a più del 30 per cento della loro spesa totale. L'articolo 18 della legge del lavoro del 1970, una conquista delle lotte militanti degli anni '60, è stato modificato per consentire alle imprese di licenziare senza giusta causa.

Poi, durante l'estate, Monti ha introdotto un ulteriore pacchetto di austerità, i tagli al bilancio dello Stato ammontano a € 4.500.000.000 per entro la fine dell'anno e ulteriori tagli di € 21.500.000.000 sono programmati per i prossimi due anni. Il piano finanziario di Monti del mese di dicembre riduce le tasse sui salari, versati dai datori di lavoro, e comporta tagli al finanziamento dell'assistenza sanitaria.

Tutti i partiti concorrenti alle elezioni sono d'accordo con l'imporre ulteriori misure di austerità.

Il costo della vita della famiglia media è già cresciuto di quasi € 2.500 l'anno. La catastrofe sociale si presenta a milioni di persone, in un periodo di continua contrazione economica, con una produzione industriale ridotta di circa il 25 per cento rispetto a cinque anni fa.

Il tasso ufficale di disoccupazione del mese di novembre dichiarava un 11,1 per cento della popolazione senza lavoro. Tuttavia, secondo queste stime, solamente il 57 per cento della popolazione ha un'occupazione. Se contiamo le persone che hanno lasciato la forza lavoro, il numero dei disoccupati si situa fra 3 e 5 milioni di individui . Dei giovani fra i 15 e i 24 anni, circa il 37,1 per cento non ha lavoro. Di questi, solo il 10,6 per cento è in cerca di lavoro, il che indica una crisi ancora più profonda. Nello scorso febbraio Monti ha detto che i giovani lavoratori "si abituino a non avere più il posto fisso. Che monotonia. E' bello cambiare e affrontare le sfide " ha aggiunto sprezzante.

Vi è un carattere regionale alla crisi. La scorsa estate, l'Istat ha riferito che nel sud del paese, solo il 44 per cento della popolazione tra i 15 e i 64 anni e il 14 per cento dei giovani tra i 15 ei 24 anni aveva lavoro retribuito. La Sicilia ha registrato un tasso di disoccupazione generale del 25 per cento nel mese di settembre, con un dato ufficiale di disoccupazione giovanile del 50 per cento.

In estate è stato reso noto che 10 città si trovano di fronte al fallimento. Il taglio dei finanziamenti regionali, che nel secondo programma di austerità ha accompagnato la dissoluzione di 64 delle 107 province, ha peggiorato la crisi. Molte delle città a rischio sono nel sud. L'intera Sicilia è minacciata da bancarotta.
Secondo i dati dell' Organizzazione per la Cooperazione Economica e lo Sviluppo (OCSE), nel 2009 l'Italia ha stanziato solo il 4,9 per cento del PIL per l''istruzione. Tra i 31 paesi più ricchi esaminati dall'OCSE, solamente la Repubblica Ceca, l'Ungheria e la Slovacchia hanno speso meno. Secondo la CGIL le ultime proposte di austerità taglieranno un ulteriore € 182.000.000 a carico del bilancio delle scuole. C'è stata un'ondata di occupazioni studentesche che protestavano lo stato delle scuole.
Proteste simili sono scoppiate a causa dei progetti di taglio di 1.000 posti letto negli ospedali di Roma. Le misure di austerità hanno tolto circa € 1 miliardo al sistema sanitario della città. Il governo locale ha dichiarato che il suo settore pubblico dell'ambito sanitario è attualmente affetto da un deficit di € 9.750 milioni . E' probabile che per raggiungerà i 15 miliardi di euro entro la fine di quest'anno.

Dati che Eurostat ha pubblicato un anno fa indicano che i salari medi italiani erano già tra i più bassi dell'Unione Europea (UE). Il rapporto, basato sui dati del 2009, mostrava un salario medio annuo di € 23.406, a mala pena la metà di quelli del Lussemburgo (€ 48.914) o dell'Olanda (€ 44.412). Nel 2009, quando l'impatto della crisi finanziaria incominciò a farsi sentire, il salario medio in Italia era inferiore a quello della Grecia sconquassata dalla crisi (€ 29.160) e della Spagna (€ 26.316), e sale molto più lentamente che in quasi tutti gli altri paesi.

Ci sono stati rinnovati inviti a una più drastica contrazione dei salari. La scorsa settimana, Mickey Levy, capo economista della Bank of America, ha dato un avvertimento, "Alla fin fine i lavoratori in Italia ... dovranno rendersi conto che tutte le componenti degli alti salari del passato non sono sostenibili e devono diminuire."

Una relazione dell'UE di questo mese in materia di disoccupazione e sviluppo sociale ha sottolineato l'"elevato rischio", per molti italiani, di cadere nella "trappola di una enorme povertà" con il peggioramento della crisi economica.

Osservatori stanno già notando un aumento della povertà infantile. Secondo la Fondazione L'Albero della Vita, 653.000 bambini italiani vivono in uno stato di assoluta povertà, una condizione che li priva di ogni bene e servizio necessari per uno standard di vita minimo accettabile. La maggior parte di questi bambini vivono nel sud.

Dopo la messa al bando della politica di governo di intercettare i migranti e consegnarli alle autorità libiche, i migranti che si qualificano per lo status di rifugiato sono costretti a condizioni abiette. Gli investigatori del Consiglio d'Europa hanno fatto rapporto su un edificio abbandonato, alle porte di Roma, contenente 800 profughi dell'Africa orientale. C'è un bagno per ogni 100 abitanti, e i medici segnalano allagamenti, frequenti malattie infettive ed elettricità intermittente, presa da un collegamento illegale.

Ai rifugiati vengono assegnati a caso i permessi di soggiorno a Roma, impedendo loro di avere accesso alle scuole locali o assistenza medica. Bihirddim Abdellah, un giovane rifugiato sudanese di 29 anni, che vive in quell'edificio da cinque anni, ha detto alla stampa, "Non abbiamo alcun diritto, e, a parte il lavoro manuale occasionale, non c'è lavoro".

Le comunità Sinti e Rom continuano ad essere sfrattate con la forza dalle loro locazioni e vengono costrette a vivere in campi di segregazione. Un campo alle porte di Roma detiene 1.100 zingari all'interno di una recinzione metallica con telecamere di sorveglianza. Le autorità cittadine lo descrivono come "villaggio attrezzato".

L'anno scorso, l'Istat e il Ministero del Lavoro e Politiche Sociali ha condotto il primo studio sulle persone senzatetto che utilizzano mense e rifugi notturni nei comuni maggiori. Quasi due terzi (62 per cento) dei 50.000 senza dimora è diventato tale dopo aver perso il lavoro. Il 22.3 per cento aveva perso il lavoro per licenziamento o chiusura della ditta che li impiegava, per il 14.3 per cento la perdita del lavoro era stata causata dal fallimento di un'attività in proprio. Solo il 6,7 per cento dei senzatetto non aveva mai lavorato. Più della metà dei senzatetto erano lavoratori migranti, prevalentemente rumeni, marocchini e tunisini.

Dal 2008 i suicidi sono in crescita costante. Secondo l'istituto di ricerca sociale EURES, ci sono stati nel 2010 in media almeno due suicidi al giorno collegati a cause finanziarie, quando 362 persone disoccupate e 336 imprenditori si sono suicidati.


Lo scorso maggio, dozzine di mogli e familiari dei suicidi per cause economiche-le cosidette "vedove bianche"-hanno marciato in segno di protesta a Bologna. La marcia era guidata da Tiziana Marrone, il cui marito disoccupato, l'artigiano Giuseppe Campaniello si era dato fuoco davanti all'ufficio delle imposte della città. Campaniello ha lasciato un biglietto che diceva: "Caro amore mio, stamattina sono uscito presto e ho avuto paura di svegliarti, oggi è una brutta giornata. Ti voglio tanto bene. Chiedo scusa a tutti "

Le vedove bianche di Bologna protestavano contro la mancanza di supporto per le famiglie in preda alla disperazione, confrontate dalla disoccupazione, dal fallimento e dall'impossibilità di rimborsare i prestiti. La pressione sta crescendo con l'aumento dei prezzi, le multe fiscali, gli interessi maturati su imposte non corrisposte, i pignoramenti, gli sfratti e i licenziamenti.

Suicidi sono stati riportati nel nord industriale e in tutto il settore delle costruzioni. Nelle settimane prima della marcia sono stati segnalati suicidi a Firenze, Napoli, Roma, Catania e Sardegna.



Paul Bond
da : www.tlaxcala-int.org - 07/02/2013
originale : www.wsws.org/en/ - 29/01/2013
 

Lo scandalo MPS e le domande che non vengono poste. Come mai?

di Sergio Di Cori Modigliani

Potrebbe (e a mio avviso dovrebbe) essere “la mamma di tutte le immondizie italiane”.

Parliamo qui, ancora, della vicenda relativa  a Monte dei Paschi di Siena.

Stanno già facendo tutto per annacquare la vicenda, camuffarla, nasconderla, occultarla e infine insabbiarla.

Tireranno fuori le notizie più strane, in questi rimanenti giorni di campagna elettorale, per distrarre l’attenzione e fare in modo che l’opinione pubblica non si interroghi e che la gente non pretenda di voler sapere.

Dipende da noi tutti agitare le acque in modo tale da inondare il territorio mediatico (quantomeno sul web) di una valanga di domande alle quali è nostro diritto esigere delle risposte immediate e pertinenti.

Senz’altro avremmo saputo qualcosa da Corradino Mineo su rai news 24. Non è più possibile: è candidato capolista per il PD in Sicilia.

Qualcosa di davvero intelligente (perché l’uomo lo è senz’altro e molto, oltre ad essere molto pertinente essendo uno dei più grossi esperti italiani dei meandri del potere del nostro sistema bancario) avremmo potuto sapere leggendo sul Corriere della sera gli entusiasmanti editoriali finanziari di Massimo Muchetti ma non sarà possibile perché è candidato capolista a Milano nelle fila del PD.

Avremmo (forse) potuto sapere qualcosa da altri 25, ma sono tutti candidati. Quindi staranno tutti zitti.

E’ per questo li hanno candidati(?)

Ed è per questo che sulla stampa mainstream non leggeremo e non sapremo nulla.

Basterebbe fare le domande giuste.

Perché nel campo specifico della professione giornalistica, ciò che conta per davvero consiste nella “qualità delle domande che si pongono”. E’ soltanto questa la differenza tra un bravo giornalista che onora la professione e i nostri impiegati della cupola mediatica.

Sono le domande, quelle che contano.

Domande che inchiodano, che obbligano a delle risposte che non possono essere evase.

Ecco le tre domande che andrebbero poste all’on. Silvio Berlusconi, presidente del PDL.

1) “Ci risulta, come confermato dagli atti ufficiali, che la società di intermediazione finanziaria statunitense Goldman Sachs abbia affidato al giornalista Gianni Letta, ai tempi deputato eletto nelle sue liste, la mansione di gestire, sovrintendere e chiudere la compravendita tra Monte dei Paschi di Siena e Banca Antonveneta. Come mai, non essendo l’on. Gianni Letta né un esperto di sistemi bancari, né un esperto in tecnica bancaria, né un banchiere, né ufficialmente parte in causa, è stato scelto per tale delicato lavoro che presuppone una corposa e specifica competenza tecnica?”

2). “Ci risulta, come provato da atti ufficiali, che, strada facendo, sia stata accorpata anche la società di intermediazione finanziaria statunitense J. P. Morgan, attraverso, pare, la partecipazione attiva e personale del direttore responsabile marketing per le operazioni europee, Mr. Monti jr. Come mai? Perché sarebbero state scelte queste due società straniere essendo l’Italia piena di eccellenti società di intermediazione finanziaria ad alti livelli sia di merito che di competenza tecnica garantita?”

3). “Come mai, essendo il Monte dei Paschi di Siena una banca di interesse nazionale, considerata “strategica” all’interno del mondo finanziario-economico italiano, l’on. Gianni Letta, venendo meno ai suoi obblighi di Legge, non ha riferito, punto per punto, l’intero percorso operativo al presidente della Consob, alla ABI (Associazione Bancaria Italiana) a Bankitalia, al Ministero del Tesoro, e –essendo coinvolte società non italiane in un ambito di rilevanza strategica- anche al Ministero della Difesa?”.

In seguito alla dichiarazione pubblica, rilasciata sabato 26 gennaio da Pier Luigi Bersani, che ha detto: “Se c’è qualcuno che osa sostenere che il PD c’entra in un qualunque modo in questa vicenda, ebbene, noi lo sbraniamo vivo” bisognerebbe porre le seguenti domande al Presidente del PD, on Rosy Bindi e quindi mettersi nelle condizioni di essere sbranato vivo:

1). “Sulla base di atti provati e già in possesso sia delle autorità finanziarie che della magistratura che sta indagando sulle dubbie operazioni finanziarie del Monte dei Paschi di Siena, risulterebbero le seguenti emissioni di bonifico bancario a favore del partito da lei presieduto: da parte di Giuseppe Mussari, presidente della banca, versamento di 246.000 euro; da parte del vice-presidente della banca Monte dei Paschi di Siena, Ernesto Rabizzi 125.000 euro. Da parte del presidente della società denominata “Monte dei Paschi di Siena Capital Service” la cifra di 176.063 euro destinata –nello specifico- alla federazione del Partito Democratico di Siena. Da parte di Riccardo Margheriti, presidente di “Monte dei Paschi di Siena Banca Verde” la cifra di 132.890 euro con la specifica destinazione per investimenti nel settore della green economy a fronte dei quali non esiste nessuna fattura emessa. Infine, da parte di Alessandro Piazzi, consigliere della Fondazione Monte dei Paschi di Siena, la cifra di 161.400 euro. Le domanda sono le seguenti: come mai sono stati versati questi soldi al PD? A quale titolo? A fronte di quali specifiche mansioni? Come mai risultano inviate ma non sono state immesse in bilancio? Come mai risultano incassate ma non sono state immesse nel bilancio del PD?”.

2). “Risulta agli atti che il presidente del Monte dei Paschi di Siena abbia provveduto a far avere al gruppo politico DS nell’arco di dieci anni, dal 1999 al 2009, la cifra complessiva di 682.000 euro. Come mai? In base a quale mansione specifica? Come mai non risulta iscritta in bilancio né in uscita presso la banca né in entrata presso il gruppo DS –tuttora esistente nonostante sia estinto- Tale gruppo estinto è confluito nel partito da lei presieduto, lei che cosa ha da dire al riguardo? Risulta, inoltre, che il presidente della fondazione bancaria abbia “personalmente” versato la cifra di 703.000 euro alla federazione del PD di Siena. A quale titolo? Come mai non sono stati conteggiati”.

Queste sono le domande (parliamo qui davvero di quisquilie e di robbetta) che andrebbero poste.

Non si tratta soltanto di curiosità.

Queste sono le attività di una banca nazionale strategica che è posseduta al 39,6% da una fondazione che è stata identificata e definita da atti parlamentari ufficiali come “ente benefico” e di conseguenza gode del diritto di non subire alcuna forma di tassazione.

Da cui se ne ricava la seguente situazione: l’Italia è una nazione –“ ed è ufficiale”- nella quale le banche possono non pagare le tasse se fanno beneficenza; tale beneficenza si manifesta nell’inviare dei bonifici bancari alle federazioni dei partiti direttamente da parte del management direttivo che considera tale pratica come norma consuetudinaria. Poiché non sono sottoposti ad alcun controllo, ritengono di non dover risponderne alla cittadinanza.

Con l’aggiunta della consueta pantomima elettorale mediatica, costruita per i gonzi, a firma del re degli imbonitori, il nostro Berluska, il quale –immagino- dinanzi al panico dei suoi amici e soci in affari (dal PD all’Udc, passando per tutti, nessuno escluso) deve averli tranquillizzati sostenendo il suo emblematico “ghe pensi mì”. E così, tira fuori una idiota gaffe da operetta a proposito del fascismo, con la cupola mediatica complice che si butta appresso riempiendo i giornali di opinioni, discussioni, distinguo, chiarimenti. Di tutto.

La mia serena opinione è che per tutti i grossi pescecani partitici, oggi, ciò che conta, è sviare l’attenzione dall’affaire Monte dei Paschi di Siena, “la mamma di tutte le immonde schifezze italiane”. Qualunque cosa purchè se ne parli sempre di meno. Qualunque diversivo, gossip, menzogna, fantasia. Va bene tutto. Basta che la gente non cominci a pretendere la verità su ciò che, ora dopo ora, comincia a delinearsi sempre di più come la autentica cassaforte del club dei club: il tavolo italiano dove la massoneria reazionaria, il vaticano, i partiti italiani e i colossi finanziari anglo-statunitensi, si sono sempre incontrati per decidere chi governa, come governa, chi deve contare, chi non lo deve. E soprattutto a chi è necessario dare soldi e quanti e quando e dove.
Perché, per loro, ciò che conta, in questa campagna elettorale è soltanto questo: il profitto netto che i partiti-azienda sono in grado di assicurarsi grazie al voto di chi crede in loro.

Questa è la realtà dei fatti, oggi.

Questa è la stessa banca che, nell’arco del solo 2012,  ha provveduto a negare crediti a circa 15.000 piccole imprese nel territorio della regione Toscana e in Emilia Romagna, le quali sono andate in liquidazione e sono fallite.

Una banca che ha prodotto dissesto e disoccupazione, in nome della beneficenza.

Abbiamo il diritto di esigere e pretendere il default immediato di questa classe politica indecente, perché se non vanno in default loro, ci andiamo noi.

Ultima domanda a tutti: “Come mai un ente benefico rifiuta il credito alle imprese che danno lavoro e occupazione ma regala dei soldi a un partito?”.

Il titolo di MPS va al rialzo e la borsa gongola.

Si sono fatti i loro conti.

Non sarebbe splendido, il 26 febbraio, poter dire: ”Signori, avevate fatto i conti senza l’oste”

Noi, siamo l’oste.

Non dimentichiamolo.

Buona settimana a tutti.

mercoledì 6 febbraio 2013

La disfatta dei salari, i sindacati e Petrolini

Ci sono notizie che durano il tempo di una breve del telegiornale, e poi vengono inghiottite dal bidone aspiratutto degli scandali e della campagna elettorale, mescolati tra loro.
L’ISTAT ci ha comunicato che la dinamica attuale dei salari è la peggiore degli ultimi trent’anni. Questo dato dovrebbe essere alla base di ogni proposta che si fa per affrontare la crisi. Ma non è così. La caduta dei salari è diventata un dato di colore, fa parte dello spettacolo del dolore mostrato in televisione, sul quale meditano e dissertano i candidati. Ma senza che si pronunci la frase semplice e brutale: aumentare la paga!
Poco tempo fa il CNEL ha comunicato un altro dato su cui riflettere davvero. Negli anni 70 la produttività del lavoro in Italia è stata la più alta del mondo, poi è solo calata. Sì, proprio quando il lavoro aveva più salario e più diritti,”rendeva ” di più!
Anche questa notizia è stata rapidamente metabolizzata e poi successivamente ignorata dal sistema politico informativo. Immaginiamo infatti come sia difficile collegarla alla precedente. La produttività e i salari calano assieme da trenta anni, ma non ci sarà un rapporto tra i due dati?
No, una seria analisi su tutto questo non la si può fare, altrimenti bisognerebbe concludere che sono fallimentari tutte, ma proprio tutte le politiche economiche e sociali tese ad agire sulla compressione del costo del lavoro.
Insomma tutte le politiche del lavoro di tutti i governi degli ultimi trenta anni hanno concorso a determinare il disastro attuale. E tutte le ricette in continuità con esse, flessibilità competitività blablabla, cioè quelle delle principali coalizioni che si contendono il governo del paese, sono inutili, sbagliate, dannose.
Ma tutto questo non avviene, anche perché mancano all’appello coloro che per funzione per primi dovrebbero sollevare scandalo ed indignazione per tutto questo.
Il grande comico Petrolini una volta si trovò in teatro uno spettatore che dalla galleria lo insultava.. Ad un certo punto interruppe la recita e si rivolse al disturbatore dicendo: io non ce l’ho con te, ma con chi ti sta vicino e non ti butta di sotto!
I grandi sindacati confederali hanno accompagnato con i loro accordi questi trenta anni di ritirata dei salari e del lavoro, a volte ottenendo come scambio vantaggi di ruolo e potere. I lavoratori andavano indietro, ma il sindacato confederale andava avanti sul piano istituzionale.
Il disastro dei salari ed il declino economico sono dunque anche figli delle politiche di moderazione rivendicativa, di concertazione e complicità, che hanno prevalso in questi ultimi trenta anni nel movimento sindacale.
Grazie a queste politiche, per lungo tempo l’organizzazione del sindacato confederale non ha risentito del peggioramento delle condizioni del mondo del lavoro. Finché Monti ha ufficialmente affermato che si poteva fare a meno anche di quello scambio, il consenso sindacale non era più necessario, si potevano massacrare le pensioni senza accordo. Così dopo la ritirata del lavoro è cominciato il vero declino sindacale.
Non è vero che i sindacati non servono, ma è vero che il sindacato che pensa di sopravvivere continuando ad accettare le compatibilità e i vincoli economici degli ultimi trenta anni non serve più a niente. Neanche a se stesso.

G. Cremaschi - 30/01/2013
da MicroMega