martedì 17 luglio 2012

Uno smartphone allunga il lavoro (non la vita)

Ve la ricordate quella fortunata campagna dell’ex monopolista italiano di telefonia fissa, quella che affermava senza timore di smentita che “una telefonata allunga la vita”? I tempi passano e anche gli strumenti tecnologici si adeguano, e con loro l’uso (improprio) che se ne fa. Oggi quella telefonata non allunga più la vita, ma il lavoro con orari mostruosi che sfiorano le dodici ore e oltre. Perché ormai chi ha un dispositivo mobile più evoluto come smartphone, tablet, blackberry è perennemente connesso.
A fotografare questa situazione è stata una ricerca promossa da Mozy, azienda britannica che fornisce servizi tecnologici ad altre imprese. Come riporta “Il Mattino” di Napoli, la compagnia ha intervistato mille dirigenti e mille impiegati britannici, più 800 di entrambe le categorie in Stati Uniti, Irlanda, Francia e Germania. Dalla ricerca emerge come la giornata di lavoro abbia inizio sin da casa alle ore 7.42 del mattino e si allunghi fino alle ore 19.19. Anche se in fondo, si legge nella ricerca, non si stacca mai del tutto.
Così oggi per chi è in ufficio si arriva anche a lavorare dodici ore al giorno e forse di più, perché un’occhiata allo smartphone la si dà sempre, fino allo spegnimento notturno. È una notizia che va considerata con il giusto allarmismo perché implica un abbattimento di quei confini tra vita personale e vita professionale, con una demarcazione che appare sempre più sfumata tra lavoro e vita privata. Il campanello d’allarme era suonato già anni addietro, dapprima nelle multinazionali poi anche nelle piccole e medie imprese. Quelle più illuminate hanno iniziato ad adottare da tempo flessibilità in entrata e uscita dal posto di lavoro. Ma ora con gli strumenti digitali tutto si sconquassa e questa tendenza alla connettività sempre e ovunque la si riscontra anche tra i liberi professionisti armati di cellulari di ultima generazione: questi nuovi micro-computer portatili ci hanno portato in una dimensione sconosciuta fino a pochi anni fa, quella della connessione perenne.
Per alcuni analisti siamo di fronte ad una anticamera di ciò che in America viene definito “workaholism“, ovvero “sindrome da ubriacatura da lavoro”: si esplicita con una dipendenza dal lavoro intesa come un disturbo ossessivo-compulsivo, un comportamento patologico di una persona troppo dedita alla professione e che pone in secondo piano la sua vita sociale e familiare.
Tra i wwworkers, i nuovi lavoratori della Rete, in diversi mi scrivono evidenziando come di fatto non si stacchi mai veramente dal lavoro e come un controllo della posta elettronica anche via cellulare nel fine settimana sia assolutamente prassi consolidata. Ecco, fermiamoci e limitiamoci finchè siamo in tempo. 

G.Colletti - 16/07/2012
il Fatto Quotidiano

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