martedì 10 luglio 2012

Spending review: il rosario della vergogna

Questa spending review rappresenta un vero e proprio rosario della vergogna. Vergogna numero uno: la bugia del governo nel presentare come taglio degli sprechi una manovra economica, né più né meno uguale a quelle precedenti, pesantissima e con effetti strutturali di lungo periodo. Non tagli lineari? Che cosa sono i tagli lineari? Quando si tagliano servizi, posti di lavoro, risorse per lo sviluppo, si taglia e basta, in modo lineare o mirato, è la stessa cosa!
E ci voleva un consulente, lautamente pagato (140mila euro!, anche se lui voleva rifiutarli), per fare una cosa che da vent’anni a questa parte, più o meno, ogni governo fa e che tanti funzionari dello stato avrebbero saputo fare “meglio”?
Vergogna numero due: quella particolare e personale del Presidente Monti, che per mesi ha negato che l’Italia avesse bisogno di una manovra correttiva. Ebbene la manovra eccola qui, servita e di che tinta! Questa bugia fa il paio con quella sull’Iva, perché col nuovo intervento l’aumento dell’Iva non è definitivamente scongiurato, ma solo allontanato nel tempo, a luglio 2013. Il tempo, diceva Andreotti, è galantuomo. Vedrete, purtroppo, che tra un anno, forse prima, anche a causa dell’effetto depressivo di questa ultima manovra, si dovrà necessariamente mettere mano anche all’aumento dell’Iva. Ma allora Monti (forse) non ci sarà più…
Vergogna numero tre: l’informazione. Si un’informazione tutta sostanzialmente piegata (specialmente la cosiddetta grande stampa e i maggiori talk show televisivi) ad accreditare la versione del governo sul carattere della manovra (spending review) e la sua bontà, senza il minimo vaglio critico e una minima capacità (o volontà) di reale e autonomo esame di merito. Il capitalismo liberista è compatibile con la democrazia?
Vergogna numero quattro: i contenuti della manovra. Lasciamo perdere l’attacco ai diritti della persona (il taglio dei posti letto negli ospedali e di altri servizi essenziali, la possibilità di licenziamento dei dipendenti pubblici e la diminuzione del loro stipendio; il buono pasto congelato o ridotto a 7 euro che cos’è?), lasciamo perdere i tagli, più o meno significativi, alla giustizia, all’Università, a centri di ricerca di eccellenza, l’umiliazione che viene inflitta alle amministrazioni locali (ne trattiamo nel paragrafo successivo) il fatto è che la manovra nel suo complesso si profila come recessiva. Non ci stancheremo mai di ripetere che in una economia come quella italiana (tradizionalmente debole di capitali e investimenti privati) anche le spese che, in una logica aziendalista, vengono definite improduttive, hanno, in realtà, una funzione di stimolo e sostegno allo sviluppo dell’economia o quantomeno di contrasto ad una ulteriore caduta dei consumi (che costituisce il problema della crisi attuale). Questa funzione della spesa pubblica è ancora fondamentale in vaste aree del Centro del Paese e del Mezzogiorno. Di conseguenza anche le spese correnti, che sono certo tendenzialmente da ridurre, vanno però “maneggiate” con equilibrio e realismo e non con quella furia monetarista dogmatico-ideologica, staccata dalla realtà, di cui Monti è il sommo sacerdote.
Il taglio deciso alle risorse per gli enti locali, se abbiamo capito bene, sarà “applicato” in maniera “selettiva” in relazione al rispetto, da parte loro, di parametri, studiati a tavolino e imposti dal governo, che ne dovrebbero attestare livelli diversi di “buona amministrazione”. Ma, in questo modo, dove va a finire quel poco che rimane di autonomia e potere decisionale locale e quindi di “vicinanza ai cittadini”? Altro che federalismo! Si rischia, senza dirlo e scriverlo, di annullare definitivamente una intera stagione, di chiudere un’epoca e una grande ipotesi, quella dell’autonomia e del decentramento istituzionale, che ha caratterizzato la vita politica di decenni del nostro Paese.
  
Dopo le vergogne, passiamo a quelli che, per carità di patria, chiameremo interrogativi. 
Primo: i sindacati. La Uil e la Cisl, quest’ultima credo ancora la più rappresentativa tra gli statali, hanno accettato che, negli ultimi anni a partire da quando ministro era Brunetta, si dicesse di tutto contro i dipendenti pubblici”, additati, in quanto “vagabondi e fannulloni”, come responsabili dell’inefficienza della macchina pubblica. Non ci può meravigliare se, al culmine di questa campagna di denigrazione e quasi criminalizzazione, senza reazioni all’altezza, si sia arrivati a questi ultimi provvedimenti. E’ inteso che, proseguendo nella politica dei cedimenti, peggio ancora potrà venire da un governo che, predicando a parole la coesione, si è dimostrato maestro nel seminare divisioni e conflitti tra i lavoratori, le categorie e le generazioni.
Interrogativo secondo: la Cgil. Che senso ha proclamare uno sciopero generale per settembre, a, per così dire, cose fatte!? Dopo, tra l’altro averne già deciso e annullato uno a primavera. Chi parteciperà allo sciopero a settembre, quando tutti i principali provvedimenti del governo saranno già legge? Per chi conosce la sua storia, la Cgil sembra tornata alle sue peggiori stagioni “riformiste”, quando un evidente eccesso di moderazione la spingeva ad assumere iniziative che sembravano studiate apposta per farle fallire. In questi ultimi anni la CGIL, pur con tutti i limiti, è apparsa l’unica ancora di salvezza ancora in campo contro, come si diceva una volta, l’offensiva governativa e “padronale”. Se cade anche quella…
Interrogativo terzo: il Pd. Non sappiamo come e se riuscirà anche stavolta a cavarsi d’impaccio, stretto (sempre più stretto) tra l’appoggio a Monti, la protesta dei suoi amministratori e un disorientamento crescente della base. Forse, come è stato per la sedicente riforma del mercato del lavoro, presenterà come “sostanziali” modifiche, che tali non saranno, ottenute in Parlamento a quest’ultima manovra di Monti. Ci riuscirà? Il substrato di senso comune dei suoi elettori, sui quali gioca il Pd , è che i provvedimenti di Monti sono un male necessario, ma “transitorio” e che, una volta trascorsa l’”emergenza”, ci sarà la “ricostruzione”, con una politica di sinistra. Bisognerebbe spiegargli che si tratta di una illusione ingenua e di un fatale errore. I provvedimenti di Monti hanno un carattere “definitivo” e strutturale, stabile nel tempo. Hanno cambiato l’Italia (in peggio!) come neanche Berlusconi era riuscito a fare e l’hanno vincolata a politiche di rigore monetarista che impediranno per un bel numero di anni al nostro Paese di mettere in campo, attraverso una ripresa selettiva e qualificata degli investimenti pubblici, una vera politica di espansione sviluppo.
Interrogativo ultimo: non sarebbe il caso di mandare via Monti e il suo governo prima che finiscano l’opera e compromettano qualsiasi “ricostruzione”?
   
L. Caponi -10/07/2012
http://www.esserecomunisti.it

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