martedì 24 luglio 2012

Lettera a Deputati e Senatori del Friuli Venezia Giulia


RSU Insiel Trieste e Udine
 

Trieste, Udine 23 luglio 2012
 

Onorevoli Deputati della Regione FVG 
Onorevoli Senatori della Regione FVG
 

I lavoratori di Insiel S.p.A., azienda in house a completa partecipazione regionale che garantisce i servizi ai cittadini della regione Friuli Venezia Giulia sia in tema di pubblica amministrazione che di Sanità pubblica, sono seriamente preoccupati per i contenuti del D.L. 6 luglio 2012, Art. 4 Riduzione di spese, messa in liquidazione e privatizzazione di società pubbliche
 

La privatizzazione di Insiel SpA, che ha da sempre bilanci sani, e l'eventuale smantellamento del complesso sistema informativo regionale messo in piedi da questa società fin dal 1974 attorno ad esigenze specifiche della nostra Regione, non apporterebbero alcuna economia ma, al contrario, aggraverebbero il costo dei servizi che inesorabilmente ricadrebbe sulle spalle dei cittadini.
 

La legge n. 9/2011 Disciplina del sistema informativo integrato regionale del Friuli Venezia Giulia, emanata dalla Regione appena lo scorso anno, al fine di migliorare la qualità della vita dei cittadini e il loro rapporto con la Pubblica Amministrazione, promuovendo l’economia del territorio mediante lo sviluppo e la diffusione dell’ICT, verrebbe messa in seria discussione da questo decreto.
 

In rappresentanza dei lavoratori di Insiel S.p.A., le sottoscritte RSU Vi chiedono un incontro urgente per approfondire la questione e di illustrare le azioni che intendete mettere in campo atte a scongiurare le gravissime ricadute sia per la Regione FVG che per i suoi cittadini, sia per l'occupazione.
 

In attesa di cortese riscontro, si porgono cordiali saluti.
 

Le RSU Insiel di Trieste e Udine

venerdì 20 luglio 2012

Comunicato unitario RSU Insiel di Trieste e Udine


inoltrato alla Regione FVG, Presidente Tondo e 1.a Commissione Permanente,
con richiesta di incontro urgente
 
*

“Le sottoscritte Organizzazioni Sindacali (FIM-CISL, FIOM-CGIL e UILM) a nome e per conto dei lavoratori di Insiel seriamente preoccupati per i contenuti  del D.L. 6 luglio 2012, Art. 4 - Riduzione di spese, messa in liquidazione e privatizzazione di società pubbliche , chiedono un incontro urgente per approfondire il tema relativamente alla realtà della Insiel SpA , azienda in house a completa partecipazione regionale, che garantisce i servizi ai cittadini della regione Friuli Venezia Giulia sia in tema di pubblica amministrazione che di Sanità pubblica.

Una privatizzazione del  sistema informativo complesso messo in piedi da Insiel attorno a esigenze specifiche della nostra Regione, non apporterebbe alcuna economia, ma siamo convinti, al contrario, che aggraverebbe il costo dei servizi che inesorabilmente ricadrebbero sulle spalle dei cittadini.

Le scelte su Insiel  effettuate dalla Regione tradotte nella legge n. 9/2011 Disciplina del sistema informativo integrato regionale del Friuli Venezia Giulia, verrebbero messe ora in discussione da questo decreto che potrebbe portare allo smantellamento di una azienda che occupa più di 700 lavoratori con ricadute negative facilmente immaginabili.
Desideriamo conoscere la posizione della Regione e le azioni che intende mettere in campo per scongiurare un simile sfacelo.”
  

RSU INSIEL TS E UD
FIM-CISL
FIOM-CGIL
UILM-UIL
 
19/07/2012

martedì 17 luglio 2012

Uno smartphone allunga il lavoro (non la vita)

Ve la ricordate quella fortunata campagna dell’ex monopolista italiano di telefonia fissa, quella che affermava senza timore di smentita che “una telefonata allunga la vita”? I tempi passano e anche gli strumenti tecnologici si adeguano, e con loro l’uso (improprio) che se ne fa. Oggi quella telefonata non allunga più la vita, ma il lavoro con orari mostruosi che sfiorano le dodici ore e oltre. Perché ormai chi ha un dispositivo mobile più evoluto come smartphone, tablet, blackberry è perennemente connesso.
A fotografare questa situazione è stata una ricerca promossa da Mozy, azienda britannica che fornisce servizi tecnologici ad altre imprese. Come riporta “Il Mattino” di Napoli, la compagnia ha intervistato mille dirigenti e mille impiegati britannici, più 800 di entrambe le categorie in Stati Uniti, Irlanda, Francia e Germania. Dalla ricerca emerge come la giornata di lavoro abbia inizio sin da casa alle ore 7.42 del mattino e si allunghi fino alle ore 19.19. Anche se in fondo, si legge nella ricerca, non si stacca mai del tutto.
Così oggi per chi è in ufficio si arriva anche a lavorare dodici ore al giorno e forse di più, perché un’occhiata allo smartphone la si dà sempre, fino allo spegnimento notturno. È una notizia che va considerata con il giusto allarmismo perché implica un abbattimento di quei confini tra vita personale e vita professionale, con una demarcazione che appare sempre più sfumata tra lavoro e vita privata. Il campanello d’allarme era suonato già anni addietro, dapprima nelle multinazionali poi anche nelle piccole e medie imprese. Quelle più illuminate hanno iniziato ad adottare da tempo flessibilità in entrata e uscita dal posto di lavoro. Ma ora con gli strumenti digitali tutto si sconquassa e questa tendenza alla connettività sempre e ovunque la si riscontra anche tra i liberi professionisti armati di cellulari di ultima generazione: questi nuovi micro-computer portatili ci hanno portato in una dimensione sconosciuta fino a pochi anni fa, quella della connessione perenne.
Per alcuni analisti siamo di fronte ad una anticamera di ciò che in America viene definito “workaholism“, ovvero “sindrome da ubriacatura da lavoro”: si esplicita con una dipendenza dal lavoro intesa come un disturbo ossessivo-compulsivo, un comportamento patologico di una persona troppo dedita alla professione e che pone in secondo piano la sua vita sociale e familiare.
Tra i wwworkers, i nuovi lavoratori della Rete, in diversi mi scrivono evidenziando come di fatto non si stacchi mai veramente dal lavoro e come un controllo della posta elettronica anche via cellulare nel fine settimana sia assolutamente prassi consolidata. Ecco, fermiamoci e limitiamoci finchè siamo in tempo. 

G.Colletti - 16/07/2012
il Fatto Quotidiano

giovedì 12 luglio 2012

Vivi e lascia morire

Il principio fondamentale del capitalismo tradotto in spending review.
Come al solito, con questo governo di "tre-cartisti" laureati, stiamo qui a discutere di qualcosa che nessuno conosce nei dettagli. Quel che tutti hanno in mano sono le dichiarazioni rilasciate all'uscita dell'incontro con il governo da rappresentanti degli enti locali, di Confindustria e dei sindacati “complici”. E se si dovesse ascoltare soltanto questi ultimi non si capirebbe assolutamente nulla, stretti come sono tra l'esigenza di fare il viso delle armi (senza intanto muovere un dito) e la necessità vitale di attenuare la gravità delle mosse dell'esecutivo (che richiederebbero non uno sciopero generale, ma un blocco prolungato dell'intero paese).
Il governo, sostenuto da tre partiti in via di estinzione e da una stampa mainstream ben oltre i limiti dei fogli di regime, prosegue nel gioco retorico, che fin qui è riuscito benissimo, da un paio di decenni a questa parte. Si mettono giovani contro anziani, dipendenti pubblici contro privati, precari contro stabili, esodati contro pensionati, e alla fine si tira fuori il jolly che peggiora le condizioni di vita di tutti. Equamente...
Il gioco è ancora più semplice in questo caso, perché sotto tiro finiscono i dipendenti pubblici, contro cui è stato costruita una mostrificazione di luoghi comuni, spesso purtroppo avallata da alcuni comportamenti autolesionistici della categoria.
Al di là dei comportamenti, dunque, bisogna individuare il “disegno” di riorganizzazione della macchina pubblica che emerge nettamente dall'insieme delle misure pur confusamente descritte dagli interlocutori del governo ieri. È una macchina indebolita in ogni settore meno che in quelli militari e di polizia. Persino la magistratura (e la parte amministrativa degli uffici relativi) viene pesantemente “tagliata”, eliminando tribunali, uffici, sedi. Anche i processi, in un sistema costituzionale ristretto al solo potere esecutivo, diventano un lusso di cui si può fare agevolmente a meno. Un po' perché alcuni magistrati s'erano fissati nell'inquisire uomini di potere; un po' perché per "il volgo" basta il fermo o l'omicidio di polizia-
Di fatto si punta a una struttura in grado di fornire soltanto i servizi burocratici minimi, quelli indispensabili a mantenere monitorata la popolazione, i suoi redditi, i suoi consumi e i comportamenti sindacal-politici. Ma non più in grado di fornire servizi sociali.
Il welfare è già stato praticamente cancellato (e ancor peggio andrà dal 2016, quando andrà completamente a regime la controriforma del mercato del lavoro e degli ammortizzatori sociali); la sanità pubblica viene drasticamente amputata di parti essenziali per favorire al massimo la migrazione della domanda verso quella privata (che mantiene il vantaggiosissimo, per lei, sistema delle “convenzioni”). Idem per l'istruzione o l'università, la ricerca.
È un disegno di privatizzazione generale, che lascia i singoli – e ovviamente soprattutto i meno abbienti, a cominciare dai lavoratori dipendenti – praticamente esclusi dai servizi necessari. In una macchina statale così ridotta, il cittadino diventa un “nemico” portatore di istanze e bisogni irrisolvibili. Potenzialmente ostile proprio nella misura in cui la sua domanda è destinata a rimanere inevasa. Per questo gli “enti della sorveglianza” debbono rimanere solidi, ben nutriti, approvvigionati, tutelati. Meno welfare, da sempre, significa più bastonate, prigione, spionaggio nei luoghi del malessere sociale e dell'organizzazione sindacale e politica. “Repressione” in senso lato (quella che si usa chiamare “prevenzione”) e all'occorrenza più “fisica”. Del resto, come hanno insegnato i democristiani, la “mediazione sociale” si fa spendendo; se si tagliano le spese, salta la mediazione. E se questa non è più prevista...
Ci sembra perciò indispensabile evidenziare quel che Il Sole 24 Ore mette in un angolo, come un dettaglio insignificante:
"Revisione degli organici e individuazione degli esuberi, del resto, era esattamente quello che tutte le Pubbliche amministrazioni avrebbero dovuto fare nei primi sei mesi di quest'anno, come imposto (in teoria) dalla legge di stabilità votata a novembre come atto finale del Governo Berlusconi (legge 183/2011). La legge pensava anche a come trattare le eccedenze, introducendo un meccanismo (già provato in Grecia nel primo pacchetto di misure anti-crisi) con una mobilità di due anni all'80% dello stipendio prima dell'uscita definitiva dall'amministrazione. Lo stesso strumento che ora torna in auge con la spendig review: sempre che il secondo tentativo sia più fortunato del primo".
Come si vede, non c'è nulla di “originale” nella linea del governo Monti. 
Fa esattamente le stesse cose che ha fatto il governo greco, seguito da quelli del Portogallo e della Spagna. C'è una linea europea che non riguarda soltanto i “conti pubblici”, ma che deve rivoltare come un guanto gli assetti sociali, gli equilibri tra le classi, le caratteristiche dei sistemi politici.
La differenza sta nel comportamento dei sindacati “ufficiali”. In Grecia, con tutti i limiti delle divisioni esistenti anche all'interno di quel paese e di quella sinistra (in senso molto lato), è stata messa in campo una resistenza di massa forte, potente, consapevole di sé e dei propri diritti, della necessità di opporsi subito, in tempo reale, a quel che stava avvenendo.
Qui abbiamo un trio di mezze calzette, “complici” soggettivamente e scientificamente di un potere criminale che non prevede - marchionnescamente – opposizione legittima. Tre figuranti che recitano malamente il ruolo di “sindacalisti” e che, proprio facendolo, delegittimano la funzione e la presenza del sindacato. Lo rendono impresentabile al punto che, probabilmente, nel prossimo futuro, chiunque voglia svolgere la stessa funzione sociale dovrà probabilmente adottare un altro nome. Così come dovrà fare chiunque voglia svolgere un ruolo “da partito”.
Non stiamo dunque parlando solo della mattanza dei dipendenti pubblici, che sarà ampia, sanguinosa (molta gente resterà senza stipendio per anni, magari dopo aver superato i 50 anni ed essere perciò assolutamente “non ricollocabile”), condotta con metodi intimidatori. Stiamo parlando di un modello sociale che viene rovesciato con metodi di guerra, in assenza di guerra e in preparazione di altre guerre.
È la logica della “competitività”. Quando si scopre che azzerare i propri lavoratori (in tutta l'Europa) non basta ad avere un mercato che assorba la propria produzione, la “competizione” da economica si trasforma in militare.
Si può fermare quest'opera di distruzione? Sì, certamente. Ma bisogna mettere il proprio cervello all'altezza di questa sfida. Battersi nel “locale” è sacrosanto. Ma bisogna unire le soggettività, superare la logica dei piccoli cortili, riconoscere e allontanare gli infiltrati e i seminatori di zizzania, parlare alla gente reale invece di considerare “l'avanguardia del cortile accanto” come un possibile “seguace” di un manipolo che non diventerà mai esercito...
Questo ed altro, bisogna fare nel micro-universo dell'antagonismo. Diventare adulti, insomma, davanti a un futuro a tinte fosche.

D.Barontini - 04/07/2012
http://www.contropiano.org

 

martedì 10 luglio 2012

Spending review: il rosario della vergogna

Questa spending review rappresenta un vero e proprio rosario della vergogna. Vergogna numero uno: la bugia del governo nel presentare come taglio degli sprechi una manovra economica, né più né meno uguale a quelle precedenti, pesantissima e con effetti strutturali di lungo periodo. Non tagli lineari? Che cosa sono i tagli lineari? Quando si tagliano servizi, posti di lavoro, risorse per lo sviluppo, si taglia e basta, in modo lineare o mirato, è la stessa cosa!
E ci voleva un consulente, lautamente pagato (140mila euro!, anche se lui voleva rifiutarli), per fare una cosa che da vent’anni a questa parte, più o meno, ogni governo fa e che tanti funzionari dello stato avrebbero saputo fare “meglio”?
Vergogna numero due: quella particolare e personale del Presidente Monti, che per mesi ha negato che l’Italia avesse bisogno di una manovra correttiva. Ebbene la manovra eccola qui, servita e di che tinta! Questa bugia fa il paio con quella sull’Iva, perché col nuovo intervento l’aumento dell’Iva non è definitivamente scongiurato, ma solo allontanato nel tempo, a luglio 2013. Il tempo, diceva Andreotti, è galantuomo. Vedrete, purtroppo, che tra un anno, forse prima, anche a causa dell’effetto depressivo di questa ultima manovra, si dovrà necessariamente mettere mano anche all’aumento dell’Iva. Ma allora Monti (forse) non ci sarà più…
Vergogna numero tre: l’informazione. Si un’informazione tutta sostanzialmente piegata (specialmente la cosiddetta grande stampa e i maggiori talk show televisivi) ad accreditare la versione del governo sul carattere della manovra (spending review) e la sua bontà, senza il minimo vaglio critico e una minima capacità (o volontà) di reale e autonomo esame di merito. Il capitalismo liberista è compatibile con la democrazia?
Vergogna numero quattro: i contenuti della manovra. Lasciamo perdere l’attacco ai diritti della persona (il taglio dei posti letto negli ospedali e di altri servizi essenziali, la possibilità di licenziamento dei dipendenti pubblici e la diminuzione del loro stipendio; il buono pasto congelato o ridotto a 7 euro che cos’è?), lasciamo perdere i tagli, più o meno significativi, alla giustizia, all’Università, a centri di ricerca di eccellenza, l’umiliazione che viene inflitta alle amministrazioni locali (ne trattiamo nel paragrafo successivo) il fatto è che la manovra nel suo complesso si profila come recessiva. Non ci stancheremo mai di ripetere che in una economia come quella italiana (tradizionalmente debole di capitali e investimenti privati) anche le spese che, in una logica aziendalista, vengono definite improduttive, hanno, in realtà, una funzione di stimolo e sostegno allo sviluppo dell’economia o quantomeno di contrasto ad una ulteriore caduta dei consumi (che costituisce il problema della crisi attuale). Questa funzione della spesa pubblica è ancora fondamentale in vaste aree del Centro del Paese e del Mezzogiorno. Di conseguenza anche le spese correnti, che sono certo tendenzialmente da ridurre, vanno però “maneggiate” con equilibrio e realismo e non con quella furia monetarista dogmatico-ideologica, staccata dalla realtà, di cui Monti è il sommo sacerdote.
Il taglio deciso alle risorse per gli enti locali, se abbiamo capito bene, sarà “applicato” in maniera “selettiva” in relazione al rispetto, da parte loro, di parametri, studiati a tavolino e imposti dal governo, che ne dovrebbero attestare livelli diversi di “buona amministrazione”. Ma, in questo modo, dove va a finire quel poco che rimane di autonomia e potere decisionale locale e quindi di “vicinanza ai cittadini”? Altro che federalismo! Si rischia, senza dirlo e scriverlo, di annullare definitivamente una intera stagione, di chiudere un’epoca e una grande ipotesi, quella dell’autonomia e del decentramento istituzionale, che ha caratterizzato la vita politica di decenni del nostro Paese.
  
Dopo le vergogne, passiamo a quelli che, per carità di patria, chiameremo interrogativi. 
Primo: i sindacati. La Uil e la Cisl, quest’ultima credo ancora la più rappresentativa tra gli statali, hanno accettato che, negli ultimi anni a partire da quando ministro era Brunetta, si dicesse di tutto contro i dipendenti pubblici”, additati, in quanto “vagabondi e fannulloni”, come responsabili dell’inefficienza della macchina pubblica. Non ci può meravigliare se, al culmine di questa campagna di denigrazione e quasi criminalizzazione, senza reazioni all’altezza, si sia arrivati a questi ultimi provvedimenti. E’ inteso che, proseguendo nella politica dei cedimenti, peggio ancora potrà venire da un governo che, predicando a parole la coesione, si è dimostrato maestro nel seminare divisioni e conflitti tra i lavoratori, le categorie e le generazioni.
Interrogativo secondo: la Cgil. Che senso ha proclamare uno sciopero generale per settembre, a, per così dire, cose fatte!? Dopo, tra l’altro averne già deciso e annullato uno a primavera. Chi parteciperà allo sciopero a settembre, quando tutti i principali provvedimenti del governo saranno già legge? Per chi conosce la sua storia, la Cgil sembra tornata alle sue peggiori stagioni “riformiste”, quando un evidente eccesso di moderazione la spingeva ad assumere iniziative che sembravano studiate apposta per farle fallire. In questi ultimi anni la CGIL, pur con tutti i limiti, è apparsa l’unica ancora di salvezza ancora in campo contro, come si diceva una volta, l’offensiva governativa e “padronale”. Se cade anche quella…
Interrogativo terzo: il Pd. Non sappiamo come e se riuscirà anche stavolta a cavarsi d’impaccio, stretto (sempre più stretto) tra l’appoggio a Monti, la protesta dei suoi amministratori e un disorientamento crescente della base. Forse, come è stato per la sedicente riforma del mercato del lavoro, presenterà come “sostanziali” modifiche, che tali non saranno, ottenute in Parlamento a quest’ultima manovra di Monti. Ci riuscirà? Il substrato di senso comune dei suoi elettori, sui quali gioca il Pd , è che i provvedimenti di Monti sono un male necessario, ma “transitorio” e che, una volta trascorsa l’”emergenza”, ci sarà la “ricostruzione”, con una politica di sinistra. Bisognerebbe spiegargli che si tratta di una illusione ingenua e di un fatale errore. I provvedimenti di Monti hanno un carattere “definitivo” e strutturale, stabile nel tempo. Hanno cambiato l’Italia (in peggio!) come neanche Berlusconi era riuscito a fare e l’hanno vincolata a politiche di rigore monetarista che impediranno per un bel numero di anni al nostro Paese di mettere in campo, attraverso una ripresa selettiva e qualificata degli investimenti pubblici, una vera politica di espansione sviluppo.
Interrogativo ultimo: non sarebbe il caso di mandare via Monti e il suo governo prima che finiscano l’opera e compromettano qualsiasi “ricostruzione”?
   
L. Caponi -10/07/2012
http://www.esserecomunisti.it