lunedì 28 maggio 2012

Senza che si senta un belato

L’assemblea nazionale autoconvocata da delegati Rsu, attivisti sindacali e semplici lavoratori svoltasi al teatro Ambra Jovinelli per tentare di mettere in campo mobilitazione adeguate a contrastare l’attacco gravissimo all’art.18 e, più in generale, a tutte le politiche antisociali del governo Monti-Napolitano, è stata un buon inizio.
Tanti lavoratori appartenenti alla Fiom, alla Cgil e ai sindacati di base, Usb in primis, superando le rispettive sigle sindacali si sono confrontati e hanno discusso di come sia possibile rilanciare, insieme, il conflitto sociale: tutti gli interventi che si sono susseguiti miravano a capire come costruire iniziative realmente includenti e fornire una risposta “complessiva e duratura”, alle “cure anti-crisi” imposte dalla Bce e attuate dal governo “tecnico”. Significativamente la platea era sovrastata da un grande striscione: “via il governo Monti!”.
Tanta la rabbia tra i lavoratori presenti, ma anche la convinzione che se si torna a lottare con determinazione tutti insieme si può aprire uno spiraglio di speranza. Unanime il desiderio di superare sia la subalternità dell’attuale segreteria Cgil al PD e alle pratiche sindacali “complici” di Cisl, Uil e Ugl, sia la debolezza e la frammentazione del sindacalismo di base
Tra i primi a prendere la parola Dante De Angelis, rappresentante dei ferrovieri per la sicurezza, reintegrato per ben due volte sul posto di lavoro proprio grazie all’articolo 18. La sua storia testimonia in modo inequivocabile l’importanza delle tutele contro i licenziamenti discriminatori. Tutele conquistate dopo anni di lotte culminate nell’autunno caldo del 1969 e sancite dallo statuto dei lavoratori del 1970 e che sono messe pesantemente in discussione dalla controriforma del ministro Fornero.
Francesco Staccioli, cassintegrato e responsabile assistenti di volo Usb, porta l’esempio della sua esperienza in Alitalia, azienda paradigmatica di quanti non hanno potuto usufruire delle tutele previste dall’art. 18: in cinquemila hanno subito un’ingiustizia che ha fatto da apripista alla libertà totale delle aziende di prendersi tutto “senza che si senta un belato”.
Pierpaolo Pollini, Rsu-Fiom Cgil della Fincantieri di Ancona, prima di intervenire è già sul palco ed è arrabbiato. Manifesta assoluta distanza dal moderatismo del linguaggio sindacale comune, delle cose dette e non dette. A suo avviso, buona parte delle colpe della fine di ogni tutela e diritto risiede anche tra quelle burocrazie sindacali che sostengono che gli scioperi generali non servano a nulla: la Grecia invece sta lì a dimostrare che se fatti con la dovuta convinzione e radicalità gli scioperi generali servono, “là ne hanno fatti tanti ed a qualcosa hanno portato: abbiamo visto i risultati delle recenti elezioni”.
Poi senza mezzi termini accusa di corruzione tutte quelle forze che sostengono questo governo in parlamento, ed invita gli altri delegati a farsi promotori di lotte ad oltranza: “alla Fincantieri siamo stati lasciati soli, in tanti ci hanno detto che non c’era alternativa, ma noi abbiamo risposto che non era vero che non potevamo fare nulla, che avremmo deciso noi. Quando ci hanno detto che non ci avrebbero dato lavoro, che non ci avrebbero dato la fabbrica, noi ce la siamo presa, l’abbiamo occupata. Non è vero che non possiamo fare niente.” E finisce il suo intervento, applauditissimo, con un invito che è già un programma: “ora non è più tempo di suicidi ma di ribellione”.
Paolo di Vetta, responsabile AS.I.A. Usb, da sempre in prima fila nelle lotte del movimento per la casa, sostiene che “il vero bene comune è la rivolta, e si tratta del terreno da costruire in sinergia tra i conflitti nel mondo del lavoro e quelli che riguardano il territorio.”
Sergio Bellavita, della segreteria nazionale Fiom, sostiene che la Cgil, per non aver dichiarato battaglia in difesa dei lavoratori, porta con sé una responsabilità enorme: il sindacato è attraversato da una grossa crisi perché i lavoratori capiscono che non basta uno sciopero di 4 ore, né uno di 8, così come lo sciopero generale non sarà di per sé sufficiente. Ma per aprire qualunque prospettiva, “l’elemento decisivo è non rassegnarsi e dare battaglia”.
Secondo Giorgio Cremaschi “c’è un palazzo politico, ed uno sindacale, che è quello che farà l’inutile manifestazione del 2 giugno, e poi ci siamo noi, che non siamo un palazzo, siamo il sindacato vero.” Ascoltando le dichiarazioni di Monti nella trasmissione Piazza Pulita abbiamo avuto esempio del politichese bocconiano, per Cremaschi, in cui tra tante “formulette” e frasi fatte, l’unico punto chiaro era quello sulla Grecia: Monti infatti ha detto che alle prossime elezioni si augura non vincano i partiti “estremi”, perché se così dovesse essere potrebbe verificarsi un contagio alla Spagna, al Portogallo. Non ha citato l’Italia.
“Ma noi la lotta di liberazione del popolo greco dobbiamo trasportarla qui. Dobbiamo dirci che sull’art.18 il movimento c’è stato ma si è fermato perché non è stato fatto proprio dalla dirigenza della Cgil”, la quale ha dimostrato “un coraggio politico inferiore a quello di Cofferati” capace di mantenere una difesa intransigente dello Statuto dei lavoratori. Oggi, invece, la classe dirigente del principale sindacato italiano, rinunciando a qualunque iniziativa efficace si è coperta di “una macchia indelebile”.
Pertanto la convinzione di Cremaschi è che “se anche non dovessimo riuscire a fermarli, dovremo almeno far loro pagare il prezzo più alto. Diamo pure la colpa a Cgil, Cisl e Uil per tutto quello che gli spetta, ma assumiamoci la responsabilità di fare, di spenderci.” Questa è una assemblea di rottura.” Nel rivendicare il suo diritto all’unità trasversale con chi lotta, Cremaschi ha denunciato “pressioni sui compagni della Cgil per non farli venire in questa assemblea”.
Riprendendo lo stesso concetto Paolo Leonardi, coordinatore Usb, sostiene che “bisogna rompere con l’apartheid sindacale per cui le lotte si fanno fuori dalla Cgil o al suo interno”, è tempo dell’unità di tutto il sindacalismo conflittuale. A suo avviso, si tratta di una fase difficile perché è forte la rassegnazione, infatti anche tra i lavoratori sta passando il messaggio che non è possibile fare nulla per fermare l’attacco feroce del padronato e del governo Monti. Pertanto “oggi non dobbiamo vivere nell’autoreferenzialità di quanto costruito sino ad oggi. Se fino a ieri si marciava divisi per colpire uniti, oggi bisogna anche saper marciare uniti per colpire uniti”.
Luigi Sorge, operaio Fiat di Cassino, critica la strategia di Landini, a suo avviso sbagliata perché inadeguata alla portata dello scontro attuale. “ Dobbiamo costruire uno sciopero generale vero che porti la Grecia in Italia”, è l’invito di Luigi, perché “il nostro obiettivo è cacciare Monti, ma non per avere un Governo Bersani   magari supportato da Ferrero ma per aprire la strada ad una autentica prospettiva anticapitalista.”
Dopo di lui, prende la parola un delegato Fiom di Filippi srl, azienda in provincia di Padova che produce elettrodomestici ma ha deciso di chiudere lasciando a casa 234 dipendenti: “o alziamo il livello dello scontro o non ne veniamo fuori: la Fiom, senz’altro sindacato conflittuale, può essere un cimitero di buone intenzioni se la lotta nelle singole fabbriche non si coordina e non si generalizza a tutto il mondo del lavoro”.
L’assemblea è terminata con una mozione conclusiva che, “tenendo conto dei diversi equilibri” tra le varie forze presenti, ha fissato per l’8 giugno, sotto Montecitorio, durante la discussione della controriforma del lavoro alla camera, una manifestazione per “assediare” il parlamento in contemporanea agli scioperi del settore dei trasporti e del pubblico impiego. In prospettiva l’obiettivo è quello di costruire nella lotta “un progetto sindacale complessivo per di difendere il mondo del lavoro ed elaborare una piattaforma unificante in grado di ricomporre le lotte dei lavoratori con le lotte per i beni comuni”.

Anna Lami - 27/05/2012
www.megachip.info

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