giovedì 15 marzo 2012

Per il Partito FIOM: contro i drammi esistenziali della sinistra

La prima volta che decisi di iscrivermi ad un partito politico (ero giovane e idealista, sono ancora entrambe le cose, ma senza iscrizioni) arrivai in sezione, mi fecero subito la tessera e dopo dieci minuti il segretario di circolo mi stava già parlando male degli ex compagni cossuttiani che nel ‘98 s’erano fatti un partito per conto loro e andandosene avevano cambiato i lucchetti della Casa del Popolo.

Una sera andammo ad attaccare i manifesti, a ridosso delle elezioni (naturalmente affissioni abusive). Il dubbio amletico del nostro gruppo era se dovevamo attacchinare nello spazio accanto a quello di un altro partito “concorrente” della sinistra radicale, oppure se potevamo tranquillamente asfaltarci sopra i nostri, nascondendo i loro. La discussione durò un po’, alla fine si optò per l’asfaltamento indiscriminato. Anche se uno dei nostri ripeteva «ma sono compagni, dopo le elezioni dovremo fare tante iniziative insieme», e io dopotutto pensavo che avesse ragione. Cinque minuti dopo passò uno dei “concorrenti” che aveva attacchinato la sera prima, si accorse del nostro oscuramento scientifico e scoppiò la tragica e classica “lite tra  compagni”.
Quando cominciai a muovere i primi passi da cronista in un quotidiano locale, venni mandato a seguire un congresso locale di partito, sempre di sinistra. Dopo dieci minuti s’era già alla seduta psicanalitica, «il compagno Tizio mi ha fatto questo», «il compagno Caio è un burocrate» e così via. Insomma, un dramma. Il segretario provinciale decise di “allontanarmi” dai lavori, così si sarebbero potuti scannare con più tranquillità e discrezione.
Passato qualche anno e qualche scissione in più, provate a farvi un giro di chiacchiere tra i “dirigenti”: dopo circa 78 secondi – dato stimato dall’Istat – parte l’attacco virulento, in ordine, al proprio avversario di corrente prima e al partito concorrente poi. Piccole cose, vere o false, importanti o meno, beghe spicciole tra umanità ambiziose, perché è (e siamo) gente che vorrebbe cambiare il mondo ma che poi non riesce nemmeno a presentare una mozione unica per salvare un parco pubblico di provincia.
Però.
Però, se si esce dalle stanze e dal vortice dei personalismi esasperati ed esasperanti visti e stravisti in piccola come in grande scala, ci sono le piazze. Come quella di venerdì scorso. Sotto le bandiere rosse (che gran bel colore) della Fiom c’era un popolo per una volta unito. Variegato. Senza aggettivi particolari, se non quelli della voglia di cambiamento. Contro il pensiero dominante, citando proprio MicroMega. Per chi pensa che prima di un indice di borsa venga la vita delle persone. Che il profitto non sia tutto. Che tra un F35 e venti asili nido, sceglie i secondi. Che tra un’opera ciclopica ed inutile e il buonsenso, opta per il secondo. Basta poco per unirsi su tematiche di fondo necessarie, imprescindibili. Soprattutto adesso che un pezzo storicamente importante della “fu sinistra” (il Pd) pare dimenticarsi da dove sia venuta.
Chiamiamolo partito della Fiom. Partito del lavoro. Quello dei benecomunisti. Il nome conta poco. Conta una piazza unica, unita e solidale, come quella di venerdì. Senza aggettivi, ché quelli ognuno se li tiene nel proprio cuore. Senza pensare a strategie e tattiche politiciste, posti in Parlamento e carriere certo legittime ma non prioritarie per l’interesse generale. Venerdì la Fiom – in ultima analisi – ha dimostrato che è molto più facile unire che dividersi. La sinistra può davvero ripartire da qui.

Matteo Pucciarelli - 12/03/2012
micromega

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