martedì 13 marzo 2012

Il governo comincia a scoprire le carte. E' la macelleria

Ammortizzatori nuovi (e di meno) dal 2015, ma da subito si cancella cig per cessazione attività e mobilità. Un'«ecatombe sociale», anche per Bonanni. Apprendistato per i nuovi assunti.


Quella sulla «riforma» del mercato del lavoro è una partita che il governo ha condotto a carte coperte. Ma ora si comincia a vedere qualcosa di concreto. E fa orrore. 

Il ministro continua a scommettere che la conclusione arriverà tra il 21 e 23 di questo mese. Al tempo stesso, però, ammette che «non sono in grado di dirvi dove saranno trovate le risorse, il governo è impegnato a cercarle». Erano tutti entrati convinti che erano stati trovati 2 miliardi per la «riforma degli ammortizzatori sociali». Un vecchio volpone delle trattative come Raffaele Bonanni aveva subito fatto notare che quella cifra viene spesa ogni anno soltanto per la cassa integrazione «in deroga» (l'unica forma a carico dello stato), e che quindi «il governo doveva chiarire». 
Sull'argomento ci si è dilungati parecchio, e Fornero è intenzionata a mandare a regime la sua «riforma» a partire dal 2015 anziché dal 2017, come chiedeva persino Confindustria. Peggio: vuol fare iniziare oggi stesso il processo di «transizione», cominciando dall'abolizione sia della della cig «per cessazione di attività» che della «mobilità»; un gesto che mette a rischio tutte le vertenze per crisi oggi sul tavolo (compresa quella che riguarda proprio il manifesto). Accoppiata al già varato aumento dell'età pensionabile, dice anche Bonanni, «sarebbe un'ecatombe sociale». È anche il primo punto su cui si è espressa Susanna Camusso, segretario generale della Cgil: «il dato di oggi è un passo indietro». L'accelerazione dell'ingresso della riforma degli ammortizzatori, spiega, «si traduce nel breve periodo, durante la crisi, in una riduzione della copertura e nessun vantaggio sulla prestazione economica». Insomma, nessuna nuova risorsa sugli ammortizzatori sociali da parte del governo, ma «solo una diversa redistribuzione di quelle esistenti».
In mancanza di notizie certe, tutti si erano fin lì esercitati ieri sul «modello tedesco». Se n'era parlato soprattutto in riferimento all'art. 18, che governo e Confindustria (più Cisl e Uil) vorrebbero modificare in due punti sostanziali: la «reintegra» sul posto di lavoro (con sentenza del giudice) sparirebbe in caso di licenziamento per «motivi economici» e per «motivi disciplinari». Resterebbe così in piedi solo il divieto di licenziare «motivi discriminatori», il caso più difficile da dimostrare in aula. In pratica: scomparirebbe. In ogni caso, da oggi partiranno «incontri bilaterali» tra il ministro e i leader delle varie «parti sociali» proprio su questo tema, «lasciato per ultimo».
Il «modello tedesco» delega il giudice a decidere tra reintegra e indennizzo (proprozionale a stipendio, età, carico famifliare). Ma il sistema di protezione sociale complessivo è molto più forte che non in Italia. Ad esempio, ci sono almeno tre forme di sussidio per i disoccupati: indennità (dai 6  ai 32 mesi, secondo l'età), sussidio (equivalente alla nostra «mobilità») e «aiuto sociale» per quelli esclusi dale prime due forme. In pratica, la Germania spende per le politiche del lavoro complessivamente il 2,26% del Pil, mentre l'Italia solo l'1,84.
Il governo sembrava stesse perfezionando un'«assicurazione sociale» (Aspi) per tutelare le forme di lavoro «non a tempo indeterminato». I dettagli tecnici sono andati cambiando di ora in ora; alcuni sembravano più che altro esche per far fare i titoli sui giornali, come il «bonus per tutti i disoccupati da 1.119 euro al mese». Se si dovesse prendere sul serio la cosa - visto che i disoccupati sono ufficialmente 2 milioni e 300mila - il governo dovrebbe spendere quasi 3 miliardi al mese (mentre, si diceva all'inizio, fanno fatica a trovarne 2 per un anno). Poi si è capito che in realtà si tratta solo dell'indennità che dovrebbe sostituire - con perdita secca - tutte le tutele attuali, compresa la mobilità, tranne la cig ordinaria. «L'«ecatombe sociale» di cui parla Bonanni, ma presentata come un «fatto positivo».
Sulla flessibilità in entrata (assunzioni), Fornero propone un «contratto dominante» ma «non unico». Anche Angeletti (Uil) e Bonanni (Cisl) hanno storto il naso parlando di «aspetti da correggere», anche se «sono stati fatti passi avanti sui contratti a termine». La convergenza con i sindacati avverrebbe sul «contratto di apprendistato a tempo indeterminato», ma resterebbero in vigore moltissimi contratti «atipici» anche se il ministro ha detto che «dovrebbero costare un po' di più».
Che misure come queste siano in grado di abbattere il tasso di disoccuparione dall'attuale 9,2% all'obiettivo dichiarato dal governo (4-5%), appare decisamente utopistico. Certo, le imprese avranno un bel po' di mano libera sui lavoratori che decidono di tenere o di licenziare. Ma non c'è nulla in queste proposte che, onestamente, possa essere considerato un «incentivo all'assunzione». Solo un abbattimento violento del grado di copertura degli ammortizzatori sociali, nell'illusione che poi «il mercato» sappia mettere ordine da solo nei disastri che ha provocato.

F. Piccioni - 13/03/2012
il Manifesto

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