venerdì 30 marzo 2012

L’articolo 18 non serve a niente? Leggete questa storia.

Mi chiamo Viola, i miei ultimi tre anni di vita sono stati inaspettati, terribili e travolgenti. La banca nazionale per cui lavoravo e lavoro, in qualità (al tempo) di direttore di una delle agenzie di Milano – per questo chiedo l’anonimato-,  un’azienda che conta circa cinquemila dipendenti, mi ha licenziata, e da un giorno all’altro mentre, all’apice della mia carriera, in odore di promozione.
Sono donna, ho cinquantadue anni, sono divorziata, ho un mutuo per la prima e unica casa, un prestito personale per la ristrutturazione, e un figlio di ventisei anni, insomma una persona normale che lavora e vive un’esistenza impegnativa e banalmente dignitosa.

Esattamente tre anni fa, mi sono addormentata stanca ma tranquilla, e orgogliosa della mia vita, e mi sono risvegliata in un incubo, devastata da un licenziamento che non ho mai capito né mai accettato. Stando ai dirigenti, io non avrei accettato di collaborare a un’operazione per conto terzi.
Dopo i primi tre/quattro mesi nei quali disperata, attonita e incredula, ero sostenuta dall’amore vero e disinteressato di pochi amici e familiari che dopo la caduta mi erano rimasti accanto – perché sì, è solo quando cadi in disgrazia che ti accorgi di quanta poca compassione ci sia- ho iniziato a capire. Tamponati grazie a chi ha creduto in me, non certo al welfare, i troppi, e improvvisi problemi economici, abbandonati i sensi di colpa -in quanto impiegata da trentacinque anni non avevo neppure il coraggio di andare dal panettiere per non dover giustificare la mia presenza fuori ufficio in ore lavorative-, è cominciata la mia battaglia.

Proprio grazie all’Articolo 18, dovevo e potevo riconquistare la mia dignità, lottando s’intende ma piena di speranza.
Faccio causa alla mia azienda con la certezza di vincere e tornare al mio lavoro perché, il licenziamento era ingiusto e lo Statuto dei Lavoratori in questo mi avrebbe tutelata.
Dopo un anno e mezzo di umiliazioni e tutto quanto non posso raccontare per ragioni di spazio, ho vinto. Il giudice ha ritenuto assente la “giusta causa”, il licenziamento illegittimo, e ha imposto all’azienda il mio reintegro (sebbene in un’agenzia non più in città, ma in provincia).
Senza l’articolo 18 avrei finito la mia esistenza lavorativa e non solo, perché nella migliore delle ipotesi, con le attuali proposte di legge, avrei avuto ventisette mesi di stipendio -che oggi sarebbero finiti- e sarei una disoccupata di cinquantacinque anni piena di esperienze e idee ma in miseria.

Tutto ciò che sento dire in giro è falso.

Le Aziende licenziano da sempre e nonostante l’Articolo 18: dal gruppo Facebook “lavoro e dignità” leggo alcuni dati: dal 2007 al 2011 ci sono state 31000 cause per licenziamenti illegittimi di cui vinte 300. E probabilmente una buona ragione ci sarà.
L’Articolo 18 non è un deterrente al licenziamento ma una FONDAMENTALE TUTELA per i lavoratori licenziati ingiustamente.
Di fronte al pagamento di ventisette mensilità, qualsiasi Azienda si permetterà di licenziare chiunque e senza motivi validi.
Vincerà la strafottenza dei superiori che ti girano le spalle perché guadagni troppo, perché improvvisamente non servi più, perché c’è stata una fusione, perché -ma chi se ne frega di quella-, perché non piace il giornale che leggi, perché porti i calzini azzurri e per mille ragioni che si possono addurre per sbarazzarsi di te. Punto.

Nel periodo di disoccupazione ho percepito 900 euro mensili per 12 mesi a fronte di un mutuo di 1000 euro e un prestito di 700.
Non ho potuto usufruire della sospensione del mutuo (una moratoria inutile per i miserabili e chi ne ha veramente bisogno) perché il mutuo era superiore ai 150mila euro. Mi hanno sbattuto le porte in faccia perché vecchia, perché prima del licenziamento guadagnavo troppo perché “macchiata” da un licenziamento, perché troppo qualificata, perché poco specializzata o troppo… non lo so più. Comunque, troppo giovane per la pensione e troppo vecchia per un nuovo lavoro.

All’improvviso mi sono trovata in un limbo, in una non esistenza dal futuro che ha il nome di MISERIA. Corsi di riqualificazione modello tedesco? Zero. Offerte di lavoro? Zero. Corsi della Regione?  Zero.
L’ufficio di collocamento non ha mai funzionato e che non ci raccontino balle visto che in Italia funziona tutto per vie traverse. Parlano i dati, non io.
La difesa dell’Articolo 18 è importante per chi, come me, sa di essere stata licenziata illegittimamente e può, combattendo, e credendo fermamente nelle legge, ottenere giustizia.

Se passerà questa legge, saremo tutti vinti, per sempre sepolti dalle ingiustizie, e alla fine, drammaticamente sepolti vivi, cremati assieme al ricordo della nostra semplice, quotidiana e dignitosa esistenza…, improvvisamente in un mattino qualunque.

29/03/2012
glialtrionline.it

giovedì 29 marzo 2012

L'Art. 18 non si tocca - Maurizio Landini

La lezione di Mario sbarca in Europa: i paletti per incrociare le braccia

Mario monti colpisce ancora, stavolta a livello continentale: il 21 marzo scorso la Commissione europea ha varato un testo che rischia di imbrigliare il diritto di sciopero. Autore: l'allora libero docente Super Mario
Mario Monti colpisce ancora. Ma questa volta, data la sua nota vocazione europea, colpisce a livello - per ora - continentale. Il 21 marzo la Commissione europea ha varato un testo basato sul documento chiesto da Barroso all'allora libero docente Mario Monti, che rischia di imprigionare il diritto di sciopero.
Il testo va sotto il nome di «consigli di regolamentazione dell'esercizio del diritto di promuovere azioni collettive nel contesto della libertà d'impresa e della garanzia dei servizi». La filosofia insita nel testo varato dalla Commissione sulla base del documento Monti è semplicissima: i diritti dei lavoratori vanno armonizzati con quelli economici. Siccome non esiste sciopero degno di tale nome che non vada in contrasto con l'impresa contro cui esso è rivolto, è ovvio che si vuole fortemente ingabbiare ogni possibilità di conflitto. A meno che, naturalmente, l'esercizio di un diritto sacrosanto non sia ritenuto «compatibile» con gli interessi, tanto per essere espliciti, del padrone. Cioè mai, almeno sul piano della logica.


Da Strasburgo, dove il testo della Commissione Josè Manuel Barroso è appena stato recapitato, arrivano i primi allarmi. Innanzitutto a preoccuparsi sono alcuni parlamentari italiani che hanno imparato a conoscere la filosofia del presidente del consiglio Monti. Tra questi c'è sicuramente Sergio Cofferati, il cui rapporto con l'articolo 18 non va certo spiegato ai lettori del manifesto. Quando il parlamento europeo incaricherà le commissioni competenti di analizzare il testo della Commissione, l'ex segretario generale della Cgil si occuperà, molto probabilmente, di spiegare ai suoi colleghi europarlamentari la pericolosità di una tale svolta nell'area geografica del perduto «modello sociale europeo». Le commissioni non hanno possibilità di emendare il documento ma soltanto di «proporre alcune modifiche», oppure di rigettarlo in toto, che sarebbe l'opzione più tranquillizzante.


Quel che emerge dal testo Monti-Barroso è che i diritti connessi alla sfera economica vengono prima dei diritti dei lavoratori. Di conseguenza, il diritto del lavoro può essere condizionato quando non impedito da quello dell'impresa. Se questa filosofia dovesse essere approvata dall'europarlamento, i vincoli già esistenti per i dipendenti pubblici sarebbero estesi anche ai lavoratori occupati nei settori privati. E di conseguenza si estenderebbero a tutti i limiti al diritto di sciopero. Per fare un esempio, l'essenzialità del lavoro di un operaio alla catena di montaggio sarebbe equiparata a quella di un medico ospedaliero. Si va oltre il liberismo per sfociare nell'assurdo e nella provocazione. C'è di più. Cosa potrebbe accadere per la rappresentanza dei lavoratori nelle aziende? Il libero esercizio dell'attività sindacale potrebbe addirittura essere considerato in contrasto con i «diritti dell'impresa», visto che è nelle facoltà delle rappresentanze sindacali indire scioperi e in generale iniziative di lotte a tutela della condizione e dei diritti di chi lavora.



C'è un filo logico che tiene insieme la cosiddetta «riforma del mercato del lavoro» e questa fantastica trovata europea. Se guardiamo all'impianto dei provvedimenti presi sul mercato del lavoro, è evidente nell'approccio dei professori la priorità dell'impresa sui lavoratori. Il presidente Monti sta attraversando l'Estremo Oriente per spiegare che finalmente in Italia si è introdotta la libertà di licenziamento. Persino il giudice è stato tolto di mezzo e ora finalmente i diritti connessi alla sfera economica sono considerati prevalenti sui diritti connessi al lavoro.
Il padrone ha sempre ragione, al massimo sarà tenuto a monetizzare il danno prodotto. Addirittura l'onere della prova in caso di licenziamento per motivi economici non è più dell'imprenditore, ma dell'operaio che dovrà dimostrare che invece il suo licenziamento ha ben altre motivazioni, rappresenta cioè una discriminazione. Questa filosofia, che grazie al presidente Monti da Roma rischia di estendersi all'intera Unione europea, segna il rovesciamento del fondamento stesso della nostra Carta costituzionale, nonché evidentemente dello Statuto dei lavoratori, basati sul presupposto che il soggetto più debole va protetto con maggiori tutele. Oggi invece il soggetto degno di maggiori tutele e diritti rischia di diventare il più forte, cioè l'impresa. Alla base di tutto c'è il mercato, alle cui esigenze tutto va piegato: leggi e uomini.


Il testo consegnato al parlamento europeo ha già subito una prima serie di correzioni che ne hanno addolcito il gusto, senza però privarlo del suo veleno. Tant'è che, secondo l'ufficio giuridico della Cgil, «i rischi di impatto sui sistemi di relazioni sindacali sono ridimensionati, seppur non scongiurati». La partita è aperta e ora il mazzo delle carte passa nelle mani dell'Europarlamento di Strasburgo. Sarebbe utile che le organizzazioni sindacali facessero sentire la loro voce, non solo nel ruolo di «mediatori» istituzionali ma anche di promotori di conflitto sociale in difesa di quel che resta del modello sociale europeo. 

Loris Campetti - 28/03/2012
il Manifesto

mercoledì 28 marzo 2012

Pensioni - Manifestazione unitaria il 13 aprile a Roma

Anticipata l'iniziativa della Cgil del 17 aprile. La leader: "Agitazioni e mobilitazioni in tutto il Paese, le tensioni sono evidenti". Bonanni (Cisl): "Governo e Parlamento rispondano agli esodati"



“Abbiamo deciso comunemente con Cisl e e Uil, di anticipare al 13 aprile la manifestazione di tutti i lavoratori” contro la riforma delle pensioni e gli interventi sugli esodati e “su tutti quei soggetti che pagano un prezzo altissimo di una riforma che è stata fatta senza considerare la realtà. Lo ha annunciato Susanna Camusso, spiegando che sarà quindi anticipata l’iniziativa Cgil prevista per il 17.

La leader della Cgil ha anche risposto a Mario Monti, convinto che il governo incasserà l’ok della Commissione europea anche sulle pensioni, come è accaduto per il lavoro, visto che “non ci sono motivi per ritenere che non avvenga lo stesso”.

“Credo che nessuno possa impedire al Parlamento di decidere legittimamente quali sono i testi finali che voterà rispetto al testo, tutt’ora non noto, che dovrebbe arrivare alle Camere”, ha commentato la Camusso. E ha aggiunto: “Credo che non sia mai stato in discussione che il Parlamento approverà la riforma, il tema in discussione è come la cambia”.

E’ intervenuta anche in merito alla situazione dei lavoratori di oggi e ha sottolineato che “le tensioni sociali sono già evidenti” visto che l’Italia è attraversata da scioperi e mobilitazioni. “Ci sono scioperi in tutti i luoghi di lavoro, continueranno a esserci e a essere programmati. I lavoratori – ha osservato – sono giustamente preoccupati che in una stagione così difficile invece di preoccuparsi di fisco, crescita e creazione di occupazione si cerca di licenziare più facilmente”. Inoltre ritiene che “convenga a tutti costruire di nuovo un effetto deterrente a fronte dell’illegittimità dei licenziamenti, e ragionare del licenziamento illegittimo e non delle singole tipologie”.

La Camusso non è stupita che siano “i metalmeccanici i primi che danno un segno, anche formale, di proclamare gli scioperi”, visto che “è uno dei settori che più ha crisi e difficoltà, e più teme che venga usato quello strumento per risolvere problemi che invece andrebbero risolti diversamente”. Alla richiesta dei giornalisti di una stima sull’impatto della riforma dell’articolo 18 in termini di occupazione ha risposto che “le stime si fanno su cose credibili, noi non riteniamo credibile che si possa andare ai licenziamenti facili”.

Interviene anche il segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni secondo cui lo la manifestazione del 13 serve affinché governo e Parlamento risolvano “il problema di centinaia di migliaia di persone che sono rimaste già senza stipendio e senza pensione per effetto della riforma”. Bonanni ha ricordato che il sindacato aspetta di essere convocato su questo tema, come ha già annunciato il ministro Fornero ma, ha avvertito, “deve essere chiaro che su questo problema delle pensioni non faremo sconti a nessuno”. Si tratta di infatti di “una questione di giustizia sociale e di equità”, ha detto, perché “non possiamo far pagare a questi lavoratori ‘esodati’ il prezzo della riforma delle pensioni che si scarica essenzialmente su di loro, visto che sono rimasti senza ammortizzatori e senza pensione”. Esodati di cui ancora non si conosce il numero, come ha detto oggi nel corso di un’audizione alla Camera il presidente dell’Inps Antonio Mastrapasqua.
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il Fatto Quotidiano - 28/03/2012

martedì 27 marzo 2012

Nel modello tedesco il reintegro c'è

di Giovanni Orlandini

Nel testo troppi i margini di discrezionalità al datore che vuole licenziare, ma gli studi più seri dicono che la flessibilità in uscita non produce occupazione. Ok solo alle misure su dimissioni in bianco e disabili.

Si è fatto un gran parlare in questi giorni di “modello tedesco” di licenziamento (ma anche di relazioni industriali), spesso senza conoscerne realmente i contorni e spesso piegandolo alle convenienze. Non sembra però che quel modello sia preso in considerazione dal governo, a giudicare dalla proposta di riforma presentata. In Germania spetta in primo luogo al consiglio di fabbrica valutare la fondatezza delle ragioni del licenziamento, mentre da noi manca perfino una legge sindacale che riconosca ai lavoratori il diritto di scegliere chi li rappresenta in azienda. In quel paese poi il controllo del giudice sui licenziamenti economici è molto accurato e può sempre portare alla reintegra del lavoratore.
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lunedì 26 marzo 2012

Stangata in busta paga per pensionati e dipendenti


Brutte sorprese in busta paga per dipendenti e pensionati: l'assegno di marzo sarà più leggero. Se non bastassero infatti i continui aumenti dei prezzi cui far fronte, guidati dall'impennata dei prezzi della benzina (che ormai viaggia inesorabilmente verso i 2 euro al litro), i cittadini dovranno fare i conti anche con lo sblocco delle addizionali regionali e comunali. A fare i conti in tasca a questo nuovo aumento del prelievo é il Caf-Cisl nazionale. Ecco cosa emerge.

IRPEF REGIONALE, STANGATINA PER TUTTI
L'aumento del prelievo scatterà per tutti sulle addizionali regionali e sarà dello 0,33%, con un effetto che varierà dai 51 euro per un salario da 1.200 euro mese ai 137 per uno stipendio da 3.200 euro per l'Irpef Regionale. Pagheranno invece 73 euro i contribuenti con 1.700 euro di stipendio e 94 euro quelli che con una busta paga mensile di 2.200 euro.

IRPEF COMUNALE, SOLO PER CHI HA GIA' DELIBERATO
C'é però l'incognita Irpef Comunale. L'aumento in questo caso va deciso dalle singole amministrazioni comunali che, se non lo hanno ancora deliberato, farà scattare l'eventuale aumento solo dopo. Qualche Comune ha però già deciso di utilizzare questa leva per aumentare i propri introiti tanto che, in questo caso, l'impatto annuale sulle buste paga potrà salire - è il caso di Chieti - fino a a 193 euro.

POCHI I COMUNI CHE HANNO GIA' DELIBERATO Fortunatamente i Comuni che hanno deliberato aumenti allo stato non sono molti. La manovra di Ferragosto firmata Tremonti-Berlusconi ha riconosciuto ai Comuni la possibilità di deliberare, a partire dal 2012, aumenti dell'addizionale comunale fino a raggiungere un'aliquota massima complessiva pari allo 0,8%, possibilità che era stata 'congelata' nel 2008 dallo stesso Tremonti. Ma nei casi in cui l'aumento sia già stato deliberato il conto arriverà martedì prossimo (altrimenti scatterà successivamente): si andrà, ad esempio, da un aumento (comunale) di 47 euro a Catanzaro (+51 euro per l'addizionale regionale, in tutto 98 euro in più) per un pensionato o lavoratore dipendente con 1.200 euro mensili (lordi) fino ad arrivare ai 193 euro di un pensionato/dipendente con 3.200 euro lordi mensili di Chieti (+137 euro di addizionale regionale e 56 euro per quella comunale). Insomma non un vero e proprio salasso ma una mini-stangata che si aggiungerà a tutte le altre in attesa del temuto arrivo dell'Imu a giugno e del 'temutissimo' rincaro di 2 punti delle aliquota Iva da ottobre prossimo, anche se in quest'ultimo caso il Governo sembra stia cercando vie alternative.

NIENTE PRELIEVO PER I REDDITI BASSISSIMI
Ad essere salvaguardati saranno solo i pensionati e i dipendenti con i redditi più bassi, che hanno redditi talmente sottili non dover pagare nemmeno l'Irpef principale. In particolare non dovranno alcuna addizionale i pensionati fino a 75 anni che guadagnano fino a 7.535 euro l'anno e quelli oltre 75 anni che guadagnano fino a 7.785 euro. I lavoratori, invece, saranno esenti fino a 8.030 euro.

IMU E IVA, STANGATE IN ARRIVO
Ma il vero salasso per le tasche degli italiani arriverà a giugno con l'Imu. La nuova imposta municipale è una nuova Ici che si pagherà anche sulle prime case e che sarà ancora più alta sulle seconde. La chiamata alla cassa, per il debutto di questa nuova tassa, è per il 20 di giugno. Ad ottobre, poi, è in arrivo l'aumento dell'Iva dal 21 al 23%. Introdotto come norma di "salvaguardia" per raggiungere il pareggio di bilancio potrà essere sostituito da altre fonti di entrata come la riduzione delle agevolazioni o il taglio delle spese con la spending review.

l'Unità - 26/03/2012


venerdì 23 marzo 2012

PER CHI NON AVESSE ANCORA CAPITO BENE

L'azzeramento dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori non è una misura per rendere flessibile il mercato del lavoro, ma per rendere rigidi (fino al parossismo) il regime di fabbrica e la stretta sui ritmi di lavoro. Certamente nei prossimi mesi e anni ci saranno, uno a uno, o, meglio, quattro a quattro ogni quattro mesi, decine di migliaia di licenziamenti individuali per "motivi economici". Sappiamo già chi verrà colpito, perché da qualche mese i capi girano nei reparti e minacciano i delegati non allineati e gli operai che resistono all'intensificazione del lavoro, annunciando loro che, «appena passa l'abolizione dell'art. 18, sei fuori!». Così, se alla manifestazione della Fiom del 24 febbraio, su 50 mila partecipanti, almeno 40 mila erano lavoratori e lavoratrici della Fiom, possiamo essere sicuri, con uno scarso margine di errore, che, al ritmo di 12 all'anno per azienda, quei lavoratori verranno espulsi dal loro posto di lavoro ottenendo con il tempo quello che Marchionne ha realizzato in un colpo solo, cambiando nome allo stabilimento di Pomigliano e tenendovi fuori tutti i tesserati Fiom. E lo stesso avverrà con altre migliaia di lavoratori, già ben identificati, nella maggior parte delle aziende di altri settori. Se Barozzino, Pignatelli e La Morte, i tre operai della Sata di Melfi licenziati dalla Fiat per rappresaglia contro uno sciopero, ci hanno messo più di un anno per dimostrare le loro ragioni di fronte ai giudici e, nonostante l'ordine di reintegro, non viene loro concesso di rientrare in fabbrica, possiamo immaginare che cosa succederà con le decine di migliaia di lavoratori già in lista per essere licenziati individualmente "per motivi economici".
I quali, per dimostrare di essere stati oggetto di una discriminazione, e non di una esigenza "economica", dovranno andare a cercare tra i loro compagni di lavoro qualcuno disposto a testimoniare in loro favore, sotto la minaccia di entrare così anche lui, nel giro dei successivi quattro mesi, nella lista degli esuberi per motivi "economici".
Così diverse decine di migliaia di lavoratori andranno ad aggiungersi, grazie all'azzeramento dell'articolo 18, all'esercito dei disoccupati senza reddito che i tagli di bilancio, la riforma degli ammortizzatori sociali a costo zero e le crisi aziendali stanno moltiplicando nel nostro paese. 
Con in più il fatto che, se è quasi impossibile per un giovane trovare oggi un posto di lavoro, per i lavoratori e le lavoratrici di una certa età sarà ancora più difficile, e per quelli usciti dal loro impiego con un licenziamento individuale - cioè con le stimmate di una espulsione discriminatoria - il licenziamento equivarrà all'iscrizione in una lista di proscrizione.
È una cosa che le persone di una certa età ricordano bene quando alla Fiat, prima dell'autunno caldo di quarant'anni fa, imperversava il regime imposto da Vittorio Valletta. Siamo ritornati là; anzi peggio, perché allora l'economia tirava mentre adesso non c'è alcuna speranza di tornare in tempi accettabili a una qualsiasi forma di ripresa della crescita. E soprattutto dell'occupazione. 
Ma l'uscita dalle aziende di alcune decine di lavoratori con posto fisso non apre certo le porte a nuove assunzioni, come è ovvio a qualsiasi persona che non sia in malafede. Semplicemente chiude per sempre davanti ai lavoratori licenziati le porte di un altro impiego. Perché la domanda di lavoro non c'è e non saranno certo le politiche economiche di Monti e della Bce a crearla (basta vedere quello che la Bce ha combinato in Grecia e in Portogallo, paesi solo di un anno davanti a noi nella corsa verso il disastro). 
Ma quei lavoratori licenziati non avranno più né cassa integrazione (né ordinaria, né straordinaria, né in deroga), né mobilità, né "scivolo" verso il prepensionamento; solo una modesta somma di denaro e un anno di disoccupazione.  
Poi si ritroveranno per strada senza reddito e con nessuna possibilità di un nuovo lavoro: nemmeno d un lavoro precario: perché se mai ci sarà da assumere qualcuno in un call-center o in una cooperativa di facchinaggio, non andranno certo ad assumere un 40-50enne licenziato, quando è e sarà pieno di giovani più adatti a lavori del genere. Così, nel giro di qualche anno, assisteremo a questo rovesciamento dei rapporti intergenerazionali: se fino ad oggi molti dei giovani assunti in qualche forma di lavoro precario e intermittente hanno potuto contare sulla casa, la pensione, lo stipendio fisso o qualche altra forma di aiuto da parte dei loro genitori, nei prossimi anni saranno i lavoratori anziani (cioè ultracinquantenni) senza pensione né salario a dover contare sui redditi saltuario dei loro figli precari per sopravvivere.
Ma se questo è il panorama che ci aspetta fuori delle fabbriche e delle aziende, quello che si prospetta al loro interno è anche peggio. Perché là si vivrà sotto il ricatto permanente del licenziamento individuale "per motivi economici"; e se questo potrà colpire solo pochi lavoratori per volta - non più di dodici all'anno per azienda - funzionerà perfettamente da deterrente per tutti gli altri. 
Perché, con poche eccezioni, le imprese e l'imprenditoria italiana ormai impegnate a difendere i loro sempre più risicati margini di competitività contando esclusivamente sull'intensificazione dei ritmi di lavoro e la compressione dei salari, non hanno certo la cultura aziendale e la lungimiranza per farsi sfuggire un'occasione del genere: non avrebbero insistito tanto per l'abrogazione dell'art. 18. Posto fisso vuol dire accumulo di esperienza, quel patrimonio aziendale - a patto di saperlo e volerlo valorizzare - che tante imprese italiane hanno sacrificato ai vantaggi offerti dall'ingaggio del lavoro precario e malpagato.
L'azzeramento dell'articolo 18 è un invito a continuare su questa strada, perché rinunciare all'esperienza dei lavoratori anziani vuol dire ricominciare ogni volta da capo e mantenersi ai livelli tecnologici più bassi. Così, quello che non sono riusciti a fare Berlusconi, Maroni e Sacconi in 17 anni, Monti lo sta portando a termine in pochi mesi. Il piatto è servito e quello che resta da fare, prima che passi in Parlamento il cosiddetto decreto sul mercato del lavoro - in realtà, sulla disciplina di fabbrica e l'ampliamento dell' "esercito industriale di riserva" - ma anche dopo, se sarà approvato, è continuare ad opporsi senza se e senza ma. La posta in gioco e troppo alta e anche coloro che in azienda non ci sono ancora, non ci sono più, o non ci saranno mai, dovrebbero capirlo e agire di conseguenza. Quale che ne sia l'esito, questa mossa di Monti e Fornero deve diventare per tutti il simbolo dell'ipocrisia, della malafede e della pochezza di questa campagna di governo.

G Viale - 23/03/2012
il Manifesto

Matrix : costruita intorno a te

Tutto il mondo del lavoro si sta mobilitando contro la riforma del lavoro, 
ma nessuno ne parla 
 


Nel quarto giorno consecutivo degli scioperi a difesa dell’art. 18 non solo la lotta coinvolge nuovi luoghi di lavoro, ma cresce il numero delle iniziative unitarie.
Particolarmente significativo quanto accaduto in Liguria in alcuni cantieri navali del gruppo Fincantieri.


Al Muggiano, in provincia di La Spezia, i dipendenti del cantiere si sono riuniti stamattina presto in assemblea e hanno deciso di proclamare uno sciopero unitario. Dalle prime luci dell’alba più di 300 lavoratori hanno stazionato davanti ai cancelli della fabbrica. Intorno alle ore 8:30, quando gli scioperanti erano diventati circa 800, i lavoratori, preceduti dallo striscione della Rsu sono usciti dal cantiere imboccando la strada che va verso La Spezia. Lo sciopero, cui ha aderito la quasi totalità dei dipendenti, ha avuto una durata di 4 ore.
 

Sempre in Liguria un altro sciopero unitario è stato proclamato dalla Rappresentanza sindacale Fim, Fiom, Uilm della Fincantieri di Riva Trigoso (Genova). Qui lo sciopero è stato proclamato per 2 ore, e cioè dalle 9:00 alle 11:00 per i lavoratori del turno mattutino e di quello centrale, e dalle 14:30 alle 16:30 per i lavoratori del turno serale; compresi, in entrambi i casi, i dipendenti delle ditte di appalto.
 

Iniziativa unitaria, assunta in questo caso dalle segreterie provinciali dei sindacati metalmeccanici Fim, Fiom, Uilm, Uglm, anche all’AnsaldoBreda – comprese le aziende dell’indotto - di Pistoia. Durante lo sciopero, i lavoratori hanno manifestato per le vie cittadine fino a raggiungere la Prefettura.
 

Inoltre, due ore di sciopero sono state indette per oggi dalla Rsu della Indesit di Caserta.
 
Uno sciopero di 2 ore con manifestazione davanti ai cancelli della Saras, la raffineria petrolifera dei fratelli Moratti, si è svolto stamani nella zona industriale di Sarroch (Cagliari).
Secondo un comunicato della Fiom-Cgil Sardegna, “tutto il settore degli appalti si è fermato” mentre “hanno partecipato all’iniziativa anche i delegati di tutte le altre categorie dell’area industriale, tra cui molti delegati di Fim e Uilm che hanno condiviso le considerazioni e le proposte della Fiom”. 

Sempre in Sardegna, altre iniziative di lotta sono attese per domani.
 

“Contro lo stravolgimento dell’art. 18”, dalle 14:45 alle 16:45 di oggi hanno scioperato, su iniziativa della Fiom, anche i metalmeccanici delle aziende dell’indotto negli impianti petrolchimici di Priolo, Melilli e Augusta in provincia di Siracusa.
 
Per tutta la giornata sono giunte notizie relative all’andamento degli scioperi in Piemonte e Lombardia.
In particolare, hanno scioperato a Torino i lavoratori della Thales Alenia Space, dell’Alenia e della Microtecnica, oltre all’Avio di Rivalta, alla Pininfarina di Cambiano, alla Fga (ex Itca) di Collegno e alla Eaton di Bosconero

Quattro ore di sciopero sono state effettuate in provincia di Cuneo in 6 aziende: Alstom, Falci, Merlo, Bitron, Mahle e Caroni.


Due ore alla Lagostina (Verbania-Cusio-Ossola) e alla Magnola di Santhià (Vercelli).
 

In provincia di Milano, l’ondata di scioperi ha coinvolto le seguenti aziende: Bcs di Cusago, Cemp di Senago, Lastra di Vimodrone, Otis e Nokia Siemens di Cassina de’ Pecchi, Lottomatica di Pero, Metrica di San Donato, Cedaspe di San Giuliano, oltre alla Rockwell e alla Geodis di Milano città.
 

Alte le adesioni agli scioperi indetti per oggi dalla Fiom nella fabbriche nel settore aeronautica in Campania: Alenia Aeronautica di Pomigliano (70%), Nola (60%), Capodichino (50%), Casoria (75%) e Magnaghi (80%).
 

Infine, due ore di sciopero a fine turno sono state proclamate per oggi dalla Fiom di Taranto in tutte le imprese metalmeccaniche della provincia. 
 
*

La verità non ci piace? Nascondiamola. 
Ovvero quando un sondaggio fallisce.



Che triste storia per il Corriere della Sera, il quotidiano di Via Solferino si trova a dover fare i conti con lettrici e lettori consapevoli, che non hanno ingoiato le menzogne istituzionali sulla riforma del mercato del lavoro. E quando la verità è scomoda la si caccia via dalla pagina.
 

Una storia misera che rende bene l'idea dello stato dell'informazione in Italia, per nulla superato con la caduta di Berlusconi. La cronaca è semplice, di mattina presto, il quotidiano on line lo fa quasi ogni giorno, è partito il solito sondaggio per captare la volontà dei lettori. 
La domanda è semplice: La Cgil indice 16 ore di sciopero per difendere l'articolo 18, siete favorevoli o contrari?
E quì entriamo nel campo della grafica, un mestiere complesso. 
Dopo un paio d'ore i contrari allo sciopero risultavano essere la maggioranza, circa il 55% dei votanti, il 45 % favorevoli. 
Si arriva alla tarda mattinata e il divario rapidamente diminuisce, intorno alle 12 i contrari erano il 51% i favorevoli il 49%. 
Casualmente e in assenza di rilevanti notizie lo spazio grafico riservato al sondaggio diminuiva visibilmente. 
Alle 14 i favorevoli allo sciopero erano quasi il 57% i contrari il 43%. 
Sorpasso avvenuto con ampio margine. 
In serata la sorpresa, il sondaggio spariva dalla home page, votare risultava impossibile. 
A quel punto una rapida ricerca in rete e si svela l'arcano: oltre il 59,2% dei votanti al sondaggio hanno dichiarato di appoggiare lo sciopero 
Sondaggio da far sparire, risultato pericoloso, meglio continuare a far credere che con questa riforma calerà lo spread (peraltro oggi in salita) e usciremo tutti lieti e felici dalla crisi. 
Del resto, trovando scarsa contestazione anche da Repubblica si erano sparati in tema grandi colpi di cannone fino a dire che l'abrogazione dell'articolo 18 vale 200 punti di spread. 
Mentono sapendo di mentire e di poter contare su un controllo pressoché totale dei media. 
Ma le persone in carne e ossa hanno memoria e certe cialtronaggini cadono nel fango, tanto da essere occultate.  

controlacrisi.org - 22/03/2012

giovedì 22 marzo 2012

Anche i Travagli, nel loro piccolo, si incazzano

Ma davvero il presidente della Repubblica ha il potere di intimare alle parti sociali di rinunciare a “qualsiasi interesse o calcolo particolare”, cioè di non rappresentare più le categorie che dovrebbero rappresentare, per inchinarsi alla cosiddetta riforma dell’articolo 18 unilateralmente imposta dal governo del prof. Monti e della sig.ra Fornero con l’inedita formula del “prendere o prendere”?
Ma dove sta scritto che quella cosiddetta riforma è buona? Ma chi l’ha stabilito che risolverà “i problemi del mondo del lavoro e dei nostri giovani”? Ma chi l’ha detto che “sarebbe grave la mancanza di un accordo con le parti sociali”?
Ma, se “sarebbe grave la mancanza di un accordo”, perché il capo dello Stato non dice al governo di ritirare la sua proposta che non trova l’accordo delle parti sociali, anziché dire alle parti sociali di appecoronarsi alla proposta del governo in nome di un accordo purchessia?
E che c’entra la commemorazione del prof. Biagi con l’art. 18?
Non si era detto che la flessibilità avrebbe moltiplicato i posti di lavoro?
Ora che ha sortito l’effetto opposto, anziché ridurla, si vuole aumentarla?
E perché mai un lavoratore licenziato senza giusta causa dovrebbe rinunciare ad appellarsi al giudice perché valuti la discriminatorietà del suo licenziamento?
E poi: perché mai sarebbe così urgente cambiare l’articolo 18, che riguarda l’1% dei licenziamenti?
E che senso ha rispondere, come fa la sig.ra Fornero, che così si tutelano i lavoratori non tutelati?
Per tutelare i non tutelati si tolgono le tutele ai tutelati cosicché nessuno sia più tutelato?
E siamo sicuri che, in un paese dove è facilissimo uscire dal mondo del lavoro e difficilissimo entrarvi, la soluzione sia rendere ancor più facile uscirne?
E chi l’ha stabilito che la trattativa deve chiudersi il 22 marzo, non un giorno di più?
E che libera trattativa è quella in cui il capo dello Stato getta la sua spada su uno dei piatti della bilancia, quello del governo, per farlo prevalere sull’altro?
E che senso ha la frase della sig.ra Fornero: “Non si può discutere all’infinito, indietro non si torna”?
Infinito in che senso, dopo un solo mese di negoziati? Indietro rispetto a cosa?
E il Parlamento? Esiste ancora un Parlamento libero di approvare o bocciare le proposte del governo, o è stato abolito a nostra insaputa?
E perché mai il Parlamento ha potuto svuotare a suon di emendamenti il decreto liberalizzazioni, snaturarne un altro con l’emendamento Pini contro i magistrati, mentre l’abolizione dell’art. 18 sarebbe sacra e inviolabile?
È per caso un dogma di fede?
Siamo proprio sicuri che l’insistenza del governo e del Quirinale sull’art. 18 risponda a motivazioni economiche e non al progetto tutto politico di isolare le voci stonate dal pensiero unico, tipo Fiom, Idv, Sel e movimenti della società civile e di cementare l’inciucio Pdl-Pd-Terzo Polo?
Se il governo gode nei sondaggi della fiducia del 60% degli italiani e tutti se ne felicitano, perché ignorare il fatto che lo stesso 60% degli italiani è contro qualunque “riforma” dell’art. 18?
È proprio ininfluente la maggioranza degl’italiani sulla scelta di un governo che nessuno ha eletto, anzi di cui nessuno, alle ultime elezioni, sospettava la nascita?
E perché mai gli unici che devono rinunciare a rivendicare i propri diritti sono i lavoratori e i pensionati, mentre la patrimoniale non si fa perché B. non vuole e le frequenze tv non si vendono all’asta perchè B. non vuole?
Il Quirinale smentisce l’indiscrezione apparsa ieri sul Foglio, secondo cui Bersani sarebbe “sempre più insofferente per l’interventismo del capo dello Stato” che “lo riprende e lo bacchetta” non appena “tenta di smarcarsi dal governo o dagli alleati” (nel senso di Casini e Alfano) “su Rai e giustizia”, per “ripor tare all’ovile il Pd” in nome della “stabilità del governo”?
Ma, se il Parlamento deve ratificare senza batter ciglio i decreti del governo e i partiti e le parti sociali devono prendere ordini dal Colle e dal governo sottostante, siamo proprio sicuri di vivere ancora in una democrazia parlamentare?
E in una democrazia?

M. Travaglio
Il Fatto Quotidiano - 21/03/2012.
 

mercoledì 21 marzo 2012

Volantino - Riforma del Lavoro 2012

Le RSU della Fiom dell'Insiel di Trieste reputano inaccettabili le modifiche all'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori e il ridimensionamento degli ammortizzatori sociali (cassa integrazione guadagni e mobilità). Questa linea politica è stata attuata da un Governo di banchieri intenzionato a smantellare i diritti sul lavoro con la complicità di chi si definisce sindacato, ma purtroppo può soltanto ambire al ruolo di sicario della classe lavoratrice.

Riforma del Lavoro 2012
ecco le novità sull'articolo 18
della legge 300/70

Licenziamenti discriminatori: non cambia la sostanza, già oggi nessun lavoratore può essere licenziato per le sue scelte individuali politiche o religiose.

Licenziamento disciplinare: è previsto il rinvio al giudice che deciderà il reintegro "nei casi gravi(di dolo da parte del datore di lavoro) o l'indennità con massimo 27 mensilità, soltanto nel caso in cui venga riconosciuto in sede processuale il danno.

Licenziamento economico: è previsto solo l'indennizzo, che va da un minimo di 15 mensilità a un massimo di 27, soltanto nel caso in cui venga riconosciuto il dolo a seguito di una sentenza.

Quindi questa Riforma del Lavoro ha solo lo scopo di poter licenziare liberamente, impedendo il reintegro del lavoratore che ha subito ingiustamente un sopruso in cambio di pochi denari utilizzando la motivazione del licenziamento economico. In quanto questa formula garantisce che il lavoratore non possa essere reintegrato.

A tutti coloro, anche appartenente ad altri sindacati, che siano sinceramente democratici, chiediamo di schierarsi a fianco dei lavoratori e della FIOM - CGIL per contrastare questa ignominia per poterci organizzare per la prossima lotta.

Questa battaglia vogliamo farla
e abbiamo l'obbligo di vincerla!!!

La CGIL si prepara a una mobilitazione dura che cambi le norme del governo

“I provvedimenti del governo sul mercato del lavoro, uniti alle precedenti scelte contengono un evidente tratto di ingiustizia verso lavoratori e pensionati e ripercorrono le strade di altri paesi sul superamento del modello sociale europeo. Il governo punta a imporre un ruolo residuale del sindacato confederale italiano e delle forze sociali e a introdurre un modello assicurativo individuale al posto del patto sociale storico”. Così Fulvio Fammoni, Segretario Confederale della CGIL, ha introdotto i lavori del Direttivo della CGIL riunito a Roma per discutere le contromosse del sindacato.

“Nel corso dei tre anni di governo Berlusconi – ha spiegato Fammoni -  abbiamo svolto un ruolo fondamentale: abbiamo tenuta aperta la speranza di cambiare. Ora dobbiamo passare ad una fase diversa dobbiamo ottenere risultati tangibili e mirare ad un disegno sociale e culturale alternativo: il primo nostro obiettivo è la modifica in parlamento delle norme proposte dal governo a partire da quelle sull'articolo 18”.


Fammoni ha analizzato punto per punto tutte le proposte del governo per la riforma del mercato del lavoro, smontando anche molte delle affermazioni dello stesso governo in particolare sui giovani e gli ammortizzatori. Al contrario moltissimi sono i punti ancora non risolti, soprattutto per quanto riguarda l'accesso dei giovani e per quanto riguarda l'universalità degli ammortizzatori sociali.


“Con le nuove norme – ha detto Fammoni – è molto facile prevedere che nei prossimi due/tre anni si avvii un vero e proprio processo di espulsione di massa di lavoratori ultracinquantenni che si troveranno senza lavoro e senza aver raggiunto i requisiti per la pensione. Con la fine prospettata della mobilità ci sarà un incentivo oggettivo ad espellere il maggior numero di lavoratori e le norme sul lavoro si mescoleranno a quelle sulla pensione. Migliaia di persone potrebbero così restare senza lavoro e senza pensione”.


Fammoni ha criticato anche i meccanismi di accesso alla nuova Aspi e la necessità di fare di più per la cancellazione delle variegate forme di contratto falso autonomo, che nascondono lavoro subordinato a tutti gli effetti.


Fammoni ha anche spiegato che il ruolo del sindacato nel corso della trattativa ha portato comunque a risultati. “Abbiamo introdotto il tema della crisi e dell'emergenza occupazione, spostato la fine degli ammortizzatori in deroga oltre il 2012. Abbiamo ottenuto che la Cassa integrazione straordinaria fosse mantenuta, mentre l'ipotesi iniziale era la sua cancellazione, una transizione di 5 anni".


Altri risultati sono in tema di stage, tirocini con la cancellazione di una delle forme più precarizzanti come gli associati in partecipazione ma le proposte del governo sui licenziamenti facili e sulla cancellazione dell'istituto della mobilità non vanno bene, così come occorre un vero sistema universale di ammortizzatori sociali.
Per questo la CGIL si farà carico di una sua proposta da presentare in Parlamento per cambiare quella del governo.

In ogni caso la CGIL è già pronta a dare battaglia contro le norme proposte dal governo per la riforma del mercato del lavoro e in particolare per l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Una mobilitazione che sarà dura e articolata e che punta a ottenere risultati concreti durante il dibattito parlamentare della riforma. “Non sarà la fiammata che si esaurisce in un giorno che il governo ha messo in conto e abbiamo il dovere di portare a casa dei risultati prima che si avvii un biennio di espulsioni di massa nelle aziende”, ha detto oggi Fulvio Fammoni, segretario confederale, introducendo la riunione in corso del Direttivo nazionale.


Ecco una prima scaletta di massima delle iniziative:


1) Petizione popolare per raccogliere milioni di firme

2) Iniziative specifiche con i giovani per contrastare le norme sbagliate sul precariato
3) Campagna nazionale a tappeto di informazione in tutti i territori
4) Prime mobilitazioni nei posti di lavoro e nei territori
5) Assemblee in tutti i luoghi di lavoro
6) Avvio del lavoro con la Consulta giuridica per i percorsi legali (ricorsi, ecc)
7) 16 ore di sciopero: 8 per le assemblee e iniziative specifiche e 8 ore in un'unica giornata con manifestazioni territoriali e assemblee nei posti di lavoro. La data sarà definita sulla base del calendario della discussione in Parlamento.

http://www.cgil.it - 21/03/2012