mercoledì 15 febbraio 2012

La Fiom sciopera e la Cgil tratta, non è proprio la stessa cosa

Quando ancora si facevano le trattative per i contratti nazionali, era uso sia dei padroni che dei sindacati mettere il salario in fondo. Prima si affrontavano tutte le questioni normative, poi, alla fine, si faceva l’affondo finale sul salario. Questo quando si voleva andare all’accordo.
La ministra Fornero, con il consenso di tutti, ha proposto di affrontare l’articolo 18 alla fine della trattativa sul mercato del lavoro. Nello stesso tempo, il presidente del Consiglio annuncia che, in ogni caso, sull’articolo 18 interverrà. Questo significa che il tavolo delle parti sociali è segnato dal ricatto del governo, e che dentro quel confronto la modifica dell’articolo 18 è inevitabile.
Per questo lo sciopero della Fiom deciso per il 9 marzo, che formalmente ha il sostegno della Cgil, in realtà va contro la trattativa in corso. Questo anche al di là delle dichiarazioni ufficiali dell’organizzazione. E’ evidente, infatti, che questo sciopero ha un senso solo e se riesce a precipitare sulla trattativa che si sta preparando a tagliare l’articolo 18. In questo le logiche della Fiom e della Cgil non sono le stesse, anche se Landini e Camusso continuano a dichiarare il contrario. Infatti la Cgil è segnata dalla paura di sottrarsi al tavolo, mentre la Fiom spera che quel tavolo salti. D’altra parte se la Cgil fosse davvero d’accordo con lo sciopero, lo farebbe suo e lo estenderebbe, visto che l’articolo 18 non riguarda solo i metalmeccanici. Invece, nulla di tutto questo.
La sostanza è che sul tavolo del mercato del lavoro non c’è nulla di positivo per i lavoratori, anche per i più precari, se non qualche formuletta e qualche buona intenzione. Mentre invece di negativo c’è la flessibilità che si deve generalizzare e non solo nella forma del ridimensionamento della funzione del’articolo 18, ma in quella della cosiddetta libertà di licenziamento economico, cioè nella possibilità delle aziende di saltare la Cassa integrazione e andare direttamente ai licenziamenti con mobilità nella crisi.
E’ la ricetta greca e spagnola. Per questo i padroni sono convinti di strappare qualcosa e tutto l’impianto del confronto porta in quella direzione. 
Come nei vecchi tavoli contrattuali alla fine l’accordo sul salario arrivava perché lo si voleva fare, così alla fine il nuovo massacro di diritti, l’estensione della libertà di licenziare ci sarà. E se a quel punto la Cgil si sottrarrà al consenso, non sottoscrivendo quella parte dell’intesa, questo non cambierà molto la sostanza. Già sulle pensioni Cgil, Cisl e Uil hanno subito una secca sconfitta praticamente senza lottare, cosa che ogni lavoratore ancora ricorda e rimprovera. Se passerà la libertà di licenziamento non ci saranno scusanti per chi non ha fatto tutto per impedirlo.

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