giovedì 19 gennaio 2012

Rifondazione capitalista

Ma l’Italia è diventata un paese dove trionfano i diritti dei lavoratori?
Così parrebbe, vedendo quello che sta succedendo in questi giorni. La protesta sociale dilaga tra i tassisti e gli autotrasportatori, tra le categorie colpite dalle liberalizzazioni. E’ questo il quadro reale del paese? E se non è così, chi ha la responsabilità di questa falsificazione? Da un lato è evidente che il governo Monti ci sta semplicemente prendendo in giro, con grande abilità peraltro. Far credere che i tassisti o i benzinai o anche i farmacisti, sono al vertice della crisi e che sconfiggendo le loro resistenze corporative l’Italia ripartirà, è una stupidaggine poco inferiore a quella di sostenere che Ruby fosse la vera nipote di Mubarak.
Eppure tutta la grande informazione italiana segue queste vicende come se attorno ad esse ruotasse il futuro economico e sociale del paese. Bravo il governo a depistare dalle questioni vere, il peso del debito, la Germania che ci manda a quel paese, il lavoro che non c’è e che non ci sarà, ma pessimi anche tutti coloro che si prestano a questo incredibile gioco.
Tra le cose pessime metto a questo punto anche il documento e l’approccio di Cgil, Cisl e Uil al confronto con il governo. Il sindacato confederale avrebbe dovuto già esser in piazza per la catastrofe delle pensioni, per la caduta dell’occupazione, per le previsioni di recessione. Invece ha fatto un documentino all’acqua di rose, prodotto da qualche confuso ufficio studi a cui è stato detto di essere il più morbido possibile. Il sindacato confederale non chiede sostanzialmente nulla a loro, se non di non esagerare, di attenuare, di aggiustare un pochino. Sembrerebbe davvero che in Italia fossimo immersi in un socialismo nel quale i lavoratori godono di diritti e benessere tali da avere ben poco da chiedere. Il governo ha aumentato di alcuni anni l’orario di lavoro, che effetti avrà sull’occupazione? E le politiche di liberalizzazioni e privatizzazioni, su cui il governo si sta scatenando, non interessano al sindacato confederale, che di solito si occupa di tutto? La privatizzazione delle grandi aziende comunali va bene al sindacato confederale? Il fatto che nei trasporti ferroviari siamo l’unico paese continentale che sta seguendo la catastrofica linea dei governi inglesi degli ultimi trent’anni, cioè la privatizzazione, non rappresenta un punto di scontro e di conflitto? Invece di tutto questo non si parla e il tavolinetto tra governo e sindacati deve affrontare la riforma del mercato del lavoro.
Anche qui si prepara una colossale ipocrisia, la difesa dell’articolo 18 attraverso il suo smantellamento. Se è vero ciò che il governo annuncia, cioè che si verrà assunti con un periodo di prova di 3 anni, con la piena libertà di licenziamento, bisogna dire che questo non è una riduzione della precarietà, anche perché tutti gli altri contratti precari non vengono cancellati ma, forse, solo un po’ più regolati. Bisogna invece dire che sull’articolo 18 è cominciato lo stesso discorso che hanno vissuto le pensioni, il contratto nazionale e prima ancora la scala mobile. Si comincia col negare un diritto a una parte, spiegando che serve per salvarlo per tutti. Fra un po’ si dirà che coloro che l’hanno conservato sono dei privilegiati che non meritano di averlo più. Il contratto unico è semplicemente la leva per cominciare a smantellare l’articolo 18 e per questo andrebbe respinto come un autentico imbroglio. Abbiamo invece la sensazione che nulla di tutto questo accadrà, e che Cgil Cisl Uil, così come gran parte del centrosinistra, diventeranno i più solidi appoggi per il governo Monti e la sua strategia liberista. Nello stesso tempo, invece, nella Confindustria cresce lo spazio per le posizioni più brutali. Questo anche perché una parte rilevante del padronato italiano ha come primo problema il recupero di Marchionne, prima ancora che di quello di un serio confronto sindacale. Per questo Alberto Bombassei, sentendo lo spirito dei tempi, ha lanciato la sua candidatura proponendo una rifondazione in senso ancor più aggressivo della Confindustria: rifondazione capitalista.
Se non vogliamo precipitare nel disastro, questo è il momento di dire basta a questo ruolo inutile e subalterno del movimento sindacale italiano rispetto al governo Monti e al grande padronato. E se questo significa rompere con le mummie del centrosinistra, beh, questa è una ragione in più per farlo.
di Giorgio Cremaschi 

Critiche da La Cgil che vogliamo al documento Cgil, Cisl, Uil

Il documento prodotto da CGIL CISL UIL per il confronto col Governo previsto per lunedì 23 gennaio rappresenta l'ennesima occasione perduta per il sindacalismo confederale di stare al centro della discussione politica ed economica e di rappresentare fino in fondo le istanze provenienti da un dilaniato mondo del lavoro.

Nel testo, infatti, non si assume la centralità del tema della redistribuzione per una fuoriuscita dalla crisi connotata, al momento attuale, solo da pesanti interventi di contenimento della spesa e di tassazione aggiuntive a carico del lavoro dipendente e delle pensioni. La somma delle due operazioni non solo accentua il carattere recessivo della nostra economia ma produce nell'immediato, con trascinamenti strutturali, un gravissimo peggioramento delle condizioni materiali delle persone che noi dovremmo rappresentare.


CGIL CISL UIL non individuano con nettezza nella creazione di nuovo lavoro e/o nella sua redistribuzione attraverso riduzione dell'orario di lavoro da incentivare fiscalmente l'unica strada per sollevare il Paese dalla crisi economica e sociale nella quale è precipitato e non rivendicano investimenti pubblici e privati finalizzati alla ricerca e all'innovazione. La riproposizione dell'aumento della produttività attraverso la detassazione di salario da contrattazione aziendale e territoriale è un obiettivo vecchio, ormai ampiamente sconfitto dalla decrescita del PIL, mentre diventa sempre più urgente intervenire a sostegno della produttività attraverso interventi per l'innovazione tecnologica e su salari e stipendi attraverso una generalizzata riduzione della tassazione.


Centralità del lavoro, nella sua qualità e quantità, e redistribuzione sono l'asse di una nuova politica economica che possa ricostruire le condizioni di un'Europa politica che combini sviluppo socialmente e ambientalmente sostenibile con la difesa e la valorizzazione del modello sociale. Questa battaglia deve diventare strategica nelle relazioni col Governo Monti che si caratterizza sempre più come esecutivo tutto politico che utilizza la gravità della crisi attuale per la definitiva affermazione di un modello sociale e politico fondato sulle disuguaglianze, sulla contrazione dei diritti e delle tutele del lavoro, riconfermando quella stessa impostazione liberista all'origine della crisi economica.


L'assenza di scelte nette sul piano generale si ripropone sul merito delle questioni legate al mercato del lavoro. Nell'attuale situazione, in presenza di tassi elevati di disoccupazione giovanile e femminile, di intollerabile pandemia di precarietà, di massicci espulsioni dal lavoro, sarebbe stato quanto mai necessaria e urgente la rivendicazione di una riforma organica dell'impianto legislativo sulle modalità di accesso al lavoro e una vera riforma degli ammortizzatori sociali in senso universale.

Nel documento unitario, invece, si elencano una serie di indicazioni di massima che non mettono minimamente in discussione l'attuale impianto legislativo, che lasciano inalterata la pletora di forme precarie non assumendo fino in fondo il tema dell'unificazione del mercato del lavoro. Il rischio è che ci si trovi al tavolo proposte come il contratto unico e / o prevalente senza che CGIL CISL UIL abbiano concordato una posizione comune o, peggio, senza che tale posizione comune sia stata esplicitata nel documento unitario.

Con buona pace della democrazia sindacale.

Nel merito, sulle questioni del mercato del lavoro:

    Sul part-time , col riferimento alle clausole elastiche e flessibili, si accentuano i rischi di disponibilità assoluta del lavoratore alle richieste dell'impresa.

    Sul contratto a termine non viene citata la rivendicazione della cogenza della causali per il ricorso allo stesso,mantenendo inalterato l'attuale utilizzo del lavoro somministrato.

    È inaccettabile che vengano salvati il lavoro parasubordinato e persino i voucher, forme le più insidiose di accesso al lavoro perchè totalmente sostitutive del CCNL.

    Sugli ammortizzatori sociali il documento è particolarmente ambiguo in merito al ruolo del sistema della bilateralità :andrebbe invece assunta la rivendicazione di una riforma strutturale che garantisca l'universalità degli ammortizzatori sociali. Non si rivendica nemmeno un rafforzamento quantitativo dell'indennità di disoccupazione.

    Non si capisce per quale ragione non sfidare il Governo sul tema del reddito minimo, rivendicandone l'immediata attuazione.

Sulle questioni della previdenza, non si assume la rivendicazione della riapertura della discussione, dopo lo smacco subito dalle organizzazioni sindacali che per la prima volta nella storia sono state estromesse dalle decisioni sul tema.

Nel merito, condividendo la necessità di modifiche per gli esodati e per i precoci, non si comprende la logica in virtù della quale si rivendica maggiore gradualità nell'attuazione della riforma e l'estensione della norma sui 64 anni ai lavoratori del pubblico, norma che di graduale non ha proprio nulla.

 La CGIL che Vogliamo conferma le proposte avanzate col proprio documento al direttivo del 12 gennaio, documento reso di fatto necessario dalla genericità dei contenuti presenti nel documento di maggioranza.

Com'è evidente, i nostri timori sono stati confermati.


Documento unitario CGIL CISL e UIL

lunedì 16 gennaio 2012

In piazza contro i governi Merkel Monti e Sarkozy

Il Presidente del Consiglio Monti ha girato per l’Europa vantandosi del consenso ricevuto alle sue devastanti manovre sociali. È un atto di accusa contro tutti noi. Contro tutti noi che non condividiamo e che subiamo i danni di quelle manovre, e che non siamo riusciti finora a farci sentire.
Naturalmente le responsabilità vanno diffuse. Il movimento sindacale ha subito una sconfitta con pochi precedenti sulle pensioni, che sono state contro riformate ostentando l’inutilità del confronto sindacale. Il movimento civile e democratico, che è stato anch’esso uno dei fattori fondamentali della mobilitazione contro Berlusconi, è stato semplicemente cancellato dal voto del Parlamento che ha mandato libero Cosentino e dalla sentenza della Corte Costituzionale, che ha cancellato il referendum. Il movimento dei beni comuni si prepara a subire l’aggressione delle liberalizzazioni e delle privatizzazioni, mascherata da lotta contro le lobbies, con un sottosegretario del governo che dichiara apertamente che il referendum sull’acqua è stato un imbroglio. Al movimento pacifista risponde il ministro della Difesa, confermando la sostanza del programma di acquisto degli F35. Gli studenti e il mondo della scuola si trovano con la conferma e l’ulteriore realizzazione delle controriforme Gelmini. Infine, i lavoratori della Fiat, che con i loro no un anno e mezzo fa diedero il via al movimento sociale politico e culturale di quest’ultimo anno e mezzo, si trovano con un contratto capestro, che viene usato come leva per scardinare ovunque il contratto nazionale e le libertà sindacali. Tutte e tutti coloro che hanno lottato per cambiare le cose e per far cadere Berlusconi sono stati colpiti dagli schiaffi del governo Monti, il quale però continua a godere di grande prestigio perché manda i finanzieri a Cortina e anche  perché i due principali governi di destra dell’Europa continentale, Merkel e Sarkozy, lo sostengono e lo apprezzano. 
E’ ora di provare ad uscire da questa terribile schizofrenia. Per cui da un lato sentiamo i colpi del governo Monti e dall’altro, però non lavoriamo esplicitamente contro chi ce li infligge. Occorre costruire un’opposizione di massa a questo governo, occorre lottare per farlo cadere, altrimenti se e quando andremo a votare tra un anno e mezzo, ci troveremo in una situazione alla polacca. Dove le alternative reali in campo saranno quelle tra un partito liberale di destra e uno schieramento neofascista e xenofobo.
Bisogna costruire oggi l’alternativa al governo Monti e questa parte dall’opposizione dichiarata al governo dei professori, alla sua logica, alla sua cultura di fondo. Abbiamo una prima occasione per farlo, il vertice dei tre governi di destra che oggi guidano l’Europa, Monti Merkel e Sarkozy. Cominciamo dal 20 a far sentire il nostro rifiuto verso questi governi. E se questo rifiuto deve coinvolgere anche le scelte politiche di un Presidente della Repubblica che oggi sostiene in maniera abnorme il potere e le scelte del governo monti, ebbene, anche questo sarà un’ulteriore elemento di chiarezza. Se il presidente della repubblica esorbita dal ruolo di garanzia istituzionale ed entra direttamente sul terreno delle scelte politiche, è giusto che ne assuma prezzi e responsabilità. Questo vale persino nelle repubbliche presidenziali, dove i presidenti pagano il prezzo delle scelte economiche e sociali sbagliate, verso cui si indirizzano. 
E’ ora di dire basta alle ipocrisie, il governo monti è un governo di destra liberale che ha solo il compito di distruggere sindacato e sinistra. Quelle parti del sindacato e della sinistra che non vogliono scomparire nella grande coalizione, devono agire.
di Giorgio Cremaschi

venerdì 13 gennaio 2012

Su Governo e Fiat la Fiom si allinea alla Cgil

Il comitato centrale del 10 gennaio ha formalizzato un dato politico inequivocabile di cui è necessario prendere atto. Allo stato attuale, su due questioni centrali come Fiat e Governo, la Fiom si è allineata alle posizioni della Cgil. Per questo la riunione si è conclusa con il voto di due documenti contrapposti: 91 voti al documento Landini, 18 a quello presentato da noi(Primo firmatario Bellavita), 35 gli astenuti.
Riconoscere il referendum significa rinunciare alla linea di Pomigliano

Sulla vicenda Fiat, la Fiom sceglie di farsi promotrice di un Referendum per abrogare il contratto separato firmato dagli altri sindacati, in base alle regole sulla rappresentanza previsti dagli accordi del 1993. Una tale posizione significa rinunciare alla linea adottata da Pomigliano in avanti. Allora, e in seguito a Mirafiori e Grugliasco, affermammo categoricamente che non avremmo mai firmato quell'accordo a prescindere dall'esito della consultazione. Tale decisione fu adottata non solo perchè si trattava di un voto sotto ricatto occupazionale, ma innanzitutto e soprattutto perchè si mettevano in discussione diritti costituzionali ed indisponibili.

Oggi la Cgil propone che in Fiat si svolga un referendum abrogativo sul contratto, il cui esito debba essere vincolante per tutti. Tradotto, se la Fiom lo perde deve firmare l'accordo. La Fiom accoglie la sostanza di questa proposta e si fa promotrice del Referendum. Così facendo apre un precedente politico di una gravità inaudita: accetta di mettere in votazione diritti indisponibili dei lavoratori. In questo modo, in un sol colpo, rinuncia alla linea adottata in questi mesi e, per di più, viola lo statuto dell'organizzazione che all'art.7 punto f) recita esplicitamente "E’ fatto espressamente divieto di sottoporre al voto tutto ciò che riguarda i diritti indisponibili delle lavoratrici e dei lavoratori". A questo ci si risponde che si sta chiedendo un referendum abrogativo e non approvativo. Davvero si pensa che una sottigliezza lessicale del genere modifichi la sostanza e la portata delle conseguenze politiche di questa scelta?

In tal senso non è davvero serio giustificarsi, come emerso in alcuni interventi, dicendo che "tanto il referendum la Fiat non ce lo darà". Innanzitutto siamo proprio sicuri? Marchionne ha già dichiarato che "Gestiremo le conseguenze se passa il referendum abrogativo". A dimostrazione che questa rischia di essere una trappola ben congeniata ai danni della Fiom. Inoltre che credibilità si può avere agli occhi dei lavoratori se si avanza una rivendicazione già sapendo che è priva di consistenza?

Lo ribadiamo con forza onde evitare fraintendimenti: I lavoratori del gruppo Fiat hanno tutto il diritto di raccogliere le firme per chiedere quel referendum, ma la Fiom ha il dovere di dire esplicitamente che qualsiasi ne sia il risultato non firmerà quell'accordo.

Certo, nella risoluzione finale approvata a maggioranza dal CC non c'è scritto che, in caso di sconfitta, la Fiom firmerà ma, se è per questo, non c'è nemmeno scritto il contrario. Tuttavia, ad esplicita richiesta di chiarimento avanzata dal compagno Durante (esponente camussiano in Fiom), Landini ha replicato che "non rispondo ora, ma se fossimo sconfitti il gruppo dirigente ed io per primo ce ne dovremmo assumere la responsabilità". Più esplicito ancora è stato Giorgio Airaudo, responsabile Fiat per la Segreteria nazionale, affermando che in caso di sconfitta il gruppo dirigente Fiom se ne deve andare (offrendo in pratica la testa di Landini alla Cgil). Quindi, seppur non scrivendolo chiaramente, la Fiom accetta i diktat della Cgil. Non a caso nel Direttivo Nazionale confederale, che si sta tenendo mentre scriviamo, l'obbiettivo della Cgil è quello di arrivare a presentare una risoluzione comune con la Fiom su Fiat. 
Non si sciopera contro il governo

L'altra questione decisiva è che la Fiom, nonostante l'abolizione delle pensioni di anzianità, una manovra lacrime e sangue, la volontà di colpire l'art.18, ha ribadito di non avere nessuna intenzione di mobilitarsi contro il Governo Monti. Ha anzi chiarito che la manifestazione nazionale dell'11 febbraio sarà contro l'accordo in Fiat, per il contratto nazionale ma non contro il governo. All'esecutivo la Fiom si limita ad avanzare una richiesta a dir poco suicida oltre che di retroguardia. Infatti chiede a Monti di intervenire per modificare l'art.19 dello statuto dei diritti dei lavoratori e poter così garantire la propria rappresentanza in Fiat. In primo luogo questa richiesta è un enorme passo indietro rispetto alla battaglia per la democrazia in fabbrica che abbiamo portato avanti negli scorsi mesi con la proposta di legge di iniziativa popolare depositata in parlamento. Quella dovrebbe essere la nostra rivendicazione alla politica sul tema della democrazia in Fiat e in tutte le fabbriche.
In secondo luogo, davvero si pensa seriamente che questo governo possa compiere un qualsiasi atto a favore della Fiom e contro la Fiat? Nella migliore delle ipotesi la richiesta di trattare sull'art.19 dello statuto sarà usata come scusa ulteriore o merce di scambio per modificare l'art.18. Che questo governo sia anche contro la Fiom lo dimostra pure l'atteggiamento da esso tenuto sulla vicenda Fincantieri. In piena coerenza con l'esecutivo precedente, anche questo non si è fatto scrupoli a firmare un accordo separato a danno dei lavoratori e della Fiom.

In questi ultimi anni la Fiom è stata, e continua ad essere, un punto di riferimento importante per i settori più combattivi della classe operaia. La linea politica uscita da questo Cc rischia di diffondere sconforto e confusione fra tutti quei lavoratori che ripongono grande fiducia nella maggioranza della Fiom.

Contratto nazionale ovvero grande la confusione sotto il cielo
In merito al rinnovo del CCNL, a fine dicembre il Segretario Landini ha scritto una lettera a Federmeccanica, Fim e Uilm in cui chiede, nonostante le differenze, di poter aprire la trattativa per la stipula di un contratto nazionale unitario (Sic!) e di giungere ad un accordo sul tema della rappresentanza. Federmeccanica ha risposto ricordando che la Fiom, non essendo firmataria del CCNL 2009, dal 1 gennaio 2012 non vedrà più riconosciuti i diritti sindacali. Fim e Uilm hanno risposto invece di essere ben disposte a cercare un'intesa a patto che il tutto avvenga nel rispetto dell'accordo confederale del 28 giugno. A tale disponibilità Federmeccanica ha risposto nuovamente dicendosene lieta e attendendo sviluppi dalle tre organizzazioni sindacali.
Ancora una volta la questione di fondo è l'accordo del 28 giugno. Le ambiguità del gruppo dirigente su questo punto, manifestate fin da Cervia, ci stanno portando ad un vicolo cieco.
Nel documento approvato all'ultimo Comitato Centrale da un lato si da indicazione di tentare azienda per azienda di arrivare ad accordi che vedano applicati i contenuti della nostra piattaforma. Sorge spontaneo chiedersi cosa questo significhi in concreto. Che stiamo aprendo una nuova stagione di pre-contratti come nel 2003/2004? Oppure che stiamo aprendo una battaglia per veder riconosciuta l'ultrattività del ccnl 2008? Oppure si rivendica siano riconosciute le agibilità e i diritti sindacali alla nostra organizzazione? Attendiamo chiarimenti.
Inoltre si dà mandato alla Segreteria per verificare le condizioni per una intesa sulle regole democratiche e la rappresentanza con Fim, Uilm e Federmeccanica. Dato che queste ultime si sono dette disponibili ad un accordo sulla base del rispetto dell'intesa del 28 giugno, stiamo forse dicendo che accettiamo quelle regole del gioco? E dato che allo scorso Comitato Centrale (28 Novembre 2011) nelle sue conclusioni il compagno Landini ha affermato, contraddicendo quanto da lui stesso sostenuto in precedenza, che la piattaforma della Fiom è in linea col medesimo accordo del 28 giugno, stiamo forse pensando di arrivare a firmare il contratto nazionale unitariamente applicando quell'intesa?
Ci auguriamo vivamente di no. Perchè se così fosse, sarebbe una vera e propria capitolazione.
Queste sono le ragioni che ci hanno spinto a presentare un documento alternativo a quello del Segretario Generale. La Fiom deve dichiarare immediatamente lo sciopero generale contro Fiat, Federmeccanica ma anche contro il Governo! Abbiamo bisogno di assumere una strategia chiara e conflittuale su ogni fronte e non rinunciare al ruolo di cuore dell'opposizione sociale e di classe. Questo significa scontrarsi duramente anche con la Cgil? Pazienza, le ragioni e le istanze della classe lavoratrice sono più importanti della diplomazia sindacale.

di Paolo Brini

I nostri disaccordi con Camusso e Landini

In tre giorni si sono svolte le riunioni del Comitato centrale della Fiom e del Direttivo della Cgil, che hanno visto una sostanziale convergenza di posizioni tra la Segretaria generale della Cgil e il Segretario generale della Fiom. Con questa convergenza di posizioni abbiamo nettamente dissentito. 
Vediamo allora quali sono i punti principali del nostro disaccordo. 

1.    Il giudizio e i comportamenti rispetto al governo Monti. Sia Landini sia Camusso non nascondono giudizi critici verso il governo, ma non intendono farli diventare un giudizio complessivo da utilizzare nella pratica sindacale delle organizzazioni. Nella sostanza si continua a giudicare il governo per i suoi singoli provvedimenti, e non per la linea liberista e distruttiva dei diritti sociali che lo ispira. Si continua a considerare questo governo come altri governi di unità nazionale, verso i quali essere criticamente interlocutori, e non si vuole invece affermare che questo governo è espressione di un drammatico disegno di restaurazione sociale guidato dai poteri economici e finanziari europei e mondiali. Nella sostanza si rinuncia a un ruolo di opposizione sociale a questo governo e si assume un orientamento contrattuale ed emendativo nei confronti delle sue scelte. Su questo punto abbiamo espresso il nostro disaccordo sia in Fiom che in Cgil, proprio perché a nostro parere ciò di cui c’è l’esigenza oggi è di trasformare l’enorme malessere sociale, la rabbia verso i singoli provvedimenti del governo, in un’opposizione e un alternativa ad esso. Pena la marginalizzazione totale del movimento sindacale e la frantumazione del conflitto. Per queste ragioni abbiamo chiesto, in Cgil assieme alla minoranza congressuale, una posizione radicalmente diversa da quella adottata dalla confederazione nella trattativa con il governo. Non si può saltare la drammatica sconfitta sulle pensioni e bisogna riaprire la partita ora al tavolo del governo, così come bisogna considerare pregiudiziale la questione dell’articolo 18, che può solo essere esteso. Senza queste precondizioni si deve andare alla rottura e non alla trattativa con il governo. 

2.    L’accordo del 28 giugno. Pur mantenendo diversità di giudizio sul passato, Landini e Camusso sostengono oggi che bisogna utilizzare l’accordo del 28 giugno per fermare l’aggressione della Fiat al contratto nazionale e ai diritti dei lavoratori e dei sindacati, e per difendere la contrattazione nazionale. Non siamo d’accordo su questo, in quanto il 28 giugno non ha chiuso ma ha aperto la via alla devastazione delle deroghe e anche a una nuova stagione di accordi separati. Esso non è stato un freno alle politiche Fiat per la semplice ragione che gli stessi firmatari di quell’intesa hanno poi sottoscritto l’accordo con Fiat che usciva dalla Confindustria. Nella sostanza quell’accordo non è uno strumento utilizzabile per fermare l’attacco, mentre viene tranquillamente utilizzato dalle controparti per ottenere deroghe ai contratti nazionali senza nessuna affermazione reale di pratica democratica  con i lavoratori. Come dimostrano gli accordi recentemente siglati nelle cooperative sociali e con la Lega delle Cooperative. La derogabilità ai contratti è la via che ha aperto la strada a Marchionne. Non può essere l’obiettivo del minor danno quello che ancora una volta ci guida, vista la drammaticità dell’attacco ai lavoratori. 

3.    Il giudizio sulla Fiat. Il Direttivo Cgil non ha affrontato, anzi ha sostanzialmente respinto, la questione della portata della vicenda Fiat. Nessuno naturalmente nega la gravità di quanto è avvenuto, ma resta una minimizzazione della vicenda rispetto a tutto il mondo del lavoro. Nella sostanza si continua a sostenere che Marchionne è un estremista e il resto del padronato va in un’altra direzione. Invece continuiamo a ritenere che il problema Fiat sia un problema di tutto il movimento sindacale e di tutta la Cgil, non per ragioni di solidarietà, ma perché quello partito a Pomigliano con l’attacco ai diritti dei lavoratori è un contagio che non può essere fermato senza sconfiggere l’opera di chi l’ha lanciato e continua a lanciarlo. Nella sostanza occorre far diventare la vertenza Fiat una vertenza confederale, di lotta di tutti i lavoratori italiani, costruendo le mobilitazioni, le iniziative, le solidarietà, i boicottaggi necessari a far sì che la Fiat sia sconfitta. Se questa scelta così netta non viene presa, e non è stata presa, l’accordo Fiat si consolida e con esso il contagio in tutto il mondo del lavoro. 

4.    Unità sindacale e democrazia. Nelle conclusioni al Direttivo della Cgil, Susanna Camusso ha sottolineato la necessità dell’unità sindacale, sia a livello confederale, sia nei metalmeccanici, per poter reggere la fase. Non siamo d’accordo e non perché non riteniamo necessaria l’unità sindacale, ma perché l’unità che si vuole realizzare qui ed ora è su un piano e con sindacati in continuità con le politiche del recente passato. Non basta dire di no assieme all’articolo 18, per reggere la portata di un attacco che, nella sostanza, vede Marchionne e Monti sullo stesso fronte, anche se ovviamente con accentuazioni e ruoli diversi. L’unità confederale che si vuole costruire, così come la richiesta alla Fiom di arrivare rapidamente a una piattaforma unitaria con Fim e Uilm per il rinnovo del contratto, o è un’ipotesi irrealizzabile o, se la si persegue a breve, comporta inevitabilmente compromessi rilevanti e per noi inaccettabili proprio sui contenuti di fondo che hanno visto la Fiom e la Cgil lottare in questi anni. Anche sul piano della chiarezza e del rapporto con i lavoratori un puro ritorno all’unità con Cisl e Uil per reggere, rischia di essere controproducente. Basta vedere i risultati delle mobilitazioni. Il 6 settembre, lo sciopero Cgil è stato fatto anche da tanti iscritti Cisl e Uil, mentre lo sciopero unitario del 12 dicembre non è stato fatto anche da tanti iscritti alla Cgil. Non è con il ritorno a una linea moderata, unitaria e concertativa, che si supera l’attacco che abbiamo di fronte. Questo è ancora più vero sul terreno della democrazia sindacale, sul quale non c’è alcun passo avanti e – anzi – si registra il totale fallimento dei buoni propositi dell’accordo del 28 giugno. I lavoratori continuano a non votare e si riduce la libertà di scelta dei sindacati. Per questo la risposta alla Fiat non può essere la modifica dell’articolo 19 per tornare al puro concetto della rappresentatività confederale. Occorre invece una legge sulla democrazia sindacale che garantisca la libertà di scelta per tutti i lavoratori rispetto alla rappresentanza sindacale.

5.    Il referendum in Fiat. Per quanto riguarda la gestione della vertenza Fiat, abbiamo riconfermato il nostro disaccordo con la scelta di fare propria la richiesta del referendum, assolutamente legittima come richiesto dai lavoratori, da parte di Fiom e Cgil. E’ evidente, infatti che, come ha detto Susanna Camusso nelle conclusioni, se un’organizzazione fa proprio un referendum deve inevitabilmente accettarne i risultati. Mentre, per quanto ci riguarda la decisione di non firmare in ogni caso gli accordi Fiat non è modificabile in nessun modo. Considerato che il referendum molto probabilmente verrà rifiutato, questa scelta rischia di non portare da nessuna parte e di indebolire la nettezza del nostro no all’accordo.


Quanto è avvenuto in questi tre giorni di discussione ha chiaramente segnato cambiamenti nel confronto politico nella Cgil e nella Fiom. Riteniamo che sia necessario affrontarli serenamente, ma con rigore. In particolare è evidente che la dialettica congressuale è stata chiaramente messa in discussione e che nella stessa area “La Cgil che vogliamo”, da lungo tempo in evidente crisi, ci sono scelte non più rinviabili da compiere. 
Per tutte queste ragioni, fermo restando il nostro impegno militante a sostegno dei lavoratori Fiat e del rientro della Fiom in fabbrica e di tutte le mobilitazioni in atto, riteniamo necessario che si apra una discussione di fondo su come fronteggiare il più grave attacco ai diritti e alle libertà dei lavoratori dal ’45 ad oggi. 
Per questo nei prossimi giorni produrremo un documento da confrontare con altre prese di posizione che sono state annunciate.
di Giorgio Cremaschi

martedì 10 gennaio 2012

10 gennaio - Comitato centrale FIOM

Comitato centrale Fiom-Cgil del 10 gennaio 2012
Al termine dei lavori del Comitato Centrale sono stati presentati due documenti che sono stati votati in contrapposizione. 
Il documento presentato Maurizio Landini, Segretario generale Fiom-Cgil, è stato approvato con 91 voti a favore, quello presentato da Sergio Bellavita, Segretario nazionale Fiom-Cgil, ha raccolto 18 voti a favore.
35 voti sono stati di astensione.

martedì 3 gennaio 2012

Basta con le chiacchiere. Lottiamo per far cadere il governo Monti


Per far del bene ai giovani il governo ha deciso che si dovrà lavorare fino a 70 anni. Saranno proprio i giovani a vedere allungata in maniera così stupida e barbara la loro vita lavorativa prima della pensione, perché proprio per essi varrà di più il meccanismo di penalizzazioni e compensazioni che costringerà chi ha lavoro, se ha la fortuna di conservarlo e di restare in salute, di restarvi fino a tarda età.
Allo stesso modo ora, sul mercato del lavoro, si vuol fare altrettanto bene sempre ai giovani. Si propone, ci par di capire, un contratto a tempo indeterminato che abbia però un lunghissimo periodo di prova, da tre anni in su, durante il quale sia libera la possibilità di licenziare per il padrone. A parte la stupidità di un provvedimento che vuole favorire l’occupazione con più facilità di licenziamento. A parte il fatto che l’essenza della precarietà è proprio il ricatto permanente sul posto di lavoro, che qui viene formalizzato nel periodo di prova infinito. A parte il fatto, insomma, che questo contratto è semplicemente il cavallo di Troia attraverso il quale passa la demolizione dell’articolo 18 per tutti i lavoratori; così come si è esteso a tutti i lavoratori il contributivo sulle pensioni, dopo che inizialmente lo si era affibbiato solo ai più giovani. A parte tutto questo, la malafede dell’operazione sta nel fatto che questo contratto “nuovo” si aggiunge semplicemente agli altri precari già esistenti, non ne cancella neanche uno. Sostanzialmente avremmo quindi il 46esimo contratto precario, dopo i 45 già definiti dal pacchetto Treu e dalla legge Biagi. Anche qui, dunque, per favorire i giovani, li si colpisce e se ne aumenta la precarietà. 
Il governo Monti, d’altra parte, ha un mandato preciso, che non è quello del parlamento italiano e neanche quello del Presidente della Repubblica, il quale dovrebbe ricordare che l’Italia non è una repubblica presidenziale. 
Il mandato di Monti nasce prima di tutto da due privati cittadini, che in virtù del potere della Banca centrale europea, si sono permessi di indicare il 5 agosto 2011 ai governi italiani, tutti, cosa dovrebbero fare. Tra i tanti appunti della lettera Draghi-Trichet è bene ricordare quello che recita: “dovrebbe essere adottata una accurata revisione delle norme che regolano l’assunzione e il licenziamento dei dipendenti…”.
Nessuno faccia il furbo, quindi. Davvero non ne possiamo più di piccoli imbrogli e ipocrisie. Il governo Monti deve portare in Europa lo scalpo dell’articolo 18, o almeno un pezzetto di esso. Questo per rendere il lavoro sempre più flessibile e precario, anche con la distruzione del contratto nazionale, anch’essa chiesta dalla Bce e praticata da Marchionne. La linea di politica economia reazionaria dell’attuale governo è in piena continuità con quella del governo precedente. Anche nelle procedure e nel linguaggio, visto che Monti, come Berlusconi, rifiuta la concertazione da destra e propone un vuoto dialogo sociale, che nella sostanza serve solo ad autorizzare il governo a fare quello che vuole.
Sulle pensioni il sindacato confederale italiano ha subito una sconfitta drammatica. E’ la prima volta, nella storia del nostro paese, che si fa una controriforma del sistema previdenziale di tale portata e contro tutto il sindacalismo confederale. E’ chiaro che questo è voluto. Il governo Monti deve dimostrare all’Europa delle banche che prende a calci nel sedere i sindacati, sperando che così lo spread cali. 
L’epoca delle chiacchiere è finita, anche per il sindacato. E’ inutile piangere, è inutile lamentarsi. Monti è lì solo per fare quel massacro sociale che a Berlusconi non sarebbe riuscito per la scarsa credibilità accumulata. Allora, visto che ci trattano come i greci, bisogna fare come in Grecia: scioperare e lottare esplicitamente contro questo governo, con l’obiettivo di farlo cadere. Tanto lo spread va comunque per conto suo, nonostante i nostri drammatici sacrifici.
di Giorgio Cremaschi