martedì 30 agosto 2011

Manovra indecente, finirà la crociata “progressista”?


Chissà se anche ora, dopo il pacco confezionato ad Arcore, continueremo ad assistere al coro, talvolta minaccioso talaltra petulante, di forze politiche o di parti di esse, che chiedono alla Cgil di rinunciare all’effettuazione dello sciopero generale contro la manovra del governo. Dal governo, ovviamente, non ci si può aspettare nulla di diverso. Stupisce semmai che gli appelli, ora accorati ora indignati, siano, una volta di più, bipartisan, con in testa un gruppo consistente di “responsabili” del Pd che rimproverano alla Cgil di avere smarrito quella paralizzante vocazione unitaria che tanto era loro piaciuta negli ultimi tempi. A Cisl e Uil, per altro, non è necessario rivolgere alcun invito perché la loro inerzia, la loro servile acquiescenza filopadronale e filogovernativa sono così scontate da rendere superfluo che ad esse si chieda alcunché. 
Il padre, diciamo “nobile”, di questa nuova crociata “progressista” è Walter Veltroni, capace come nessun altro di ricollocarsi, di volta in volta, a destra di se stesso. Per lui (e per la nutrita truppa “democratica” che ne segue le gesta) il solo sciopero buono non è quello unitario, ma - semplicemente - quello che non si fa. Tuttavia, la cosa più sconcertante l’abbiamo letta qualche giorno fa su “la Repubblica” per la firma di Tito Boeri, autore di quello stupefacente “La Cgil sciopera contro una manovra che non c’è”. Purtroppo, sia pure all’insaputa della corte “giavazziana”, la manovra c’è. Eccome. E l’accordo raggiunto lunedì ad Arcore dal direttorio della maggioranza è lì a benedire la più dura ed indecente persecuzione dei lavoratori e della povera gente e l’assoluzione da ogni contributo dei ricchi, a partire da quelli che lucrano, che barano, che rubano, che malversano di più. 
Una perla, fra tutte, è uscita dal maleodorante cilindro: gli anni di studio riscattati dai laureati non potranno essere più computati ai fini dell’età pensionabile. Una cosetta che in un colpo solo aumenta fino a 12 (dodici) anni il tempo di lavoro necessario per guadagnare il diritto alla pensione! Berlusconi può legittimamente brindare a champagne! Si tratta ora di vedere come, alla fine della giostra, si comporrà il colpo solenne: se col gas nervino o con la mazza chiodata; se con i tagli agli enti locali o col ripescaggio dell’aumento dell’Iva; se distruggendo ciò che resta delle pensioni di anzianità o eliminando quelle di reversibilità; se smantellando le prestazioni assistenziali o revocando ogni voce deducibile dalla denuncia dei redditi. Oppure “mixando” questo campionario. 
Di certo c’è quello che è stato già fatto e che è bene ricordare: dai tickets sulle visite diagnostiche e sul pronto soccorso al blocco degli stipendi e dei contratti degli statali, dalla mancata rivalutazione delle pensioni al taglio lineare su tutte le prestazioni previdenziali, dal prelievo fiscale esteso al piccolo investimento azionario al sequestro dei trasferimenti agli enti locali e alla privatizzazione delle aziende municipalizzate. Poi c’è quello che è già acquisito e che nessuno (né dal centrodestra né dal centrosinistra) più contesta, come il congelamento del Tfr e lo scippo delle tredicesime imposto ai dipendenti pubblici. Altrettanto certo è che non sarà colpita e neppure tiepidamente ostacolata la speculazione finanziaria: della “Tobin tax”, volta a colpire le transazioni finanziarie speculative, sistematicamente evocata e subito tumulata, non si farà nulla; l’imposta patrimoniale non vedrà la luce, neppure nelle forme più blande e simboliche, perché - come senza senso del pudore piagnucola Marcegaglia - i ricchi pagano già troppo; i capitali frutto di mille pratiche evasive e trasferiti nei paradisi fiscali (della cui fantastica consistenza ci ha reso edotti la Banca d’Italia) non saranno neppure sfiorati. 
Con assoluta certezza non si porrà alcun limite agli stupefacenti stipendi, pensioni e buone uscite dei grandi manager pubblici, mentre a nessuno viene in mente di chiedere che la Chiesa paghi almeno l’Ici sugli edifici da essa destinati ad attività commerciali. Di sicuro non si tagierà il bilancio della Difesa, che fra spesa corrente, missioni di guerra e potenziamento dell’arsenale bellico (cacciabombardieri Eurofighters, fregate Fremm, elicotteri Uh 90 e altre diavolerie) divora più di 23 miliardi l’anno. Sappiamo invece che della manovra farà parte la soppressione del divieto di licenziare senza giusta causa o giustificato motivo, che si materializzerà attraverso il preventivo consenso del duo Bonanni-Angeletti e dei loro solerti fiduciari aziendali, colpendo al cuore la protezione che l’articolo 18 della legge 300 del 1970 garantisce (almeno nelle aziende con più di 15 dipendenti) a quei lavoratori che siano colpiti da licenziamenti ingiusti. Come a dire che la crescita della produttività del nostro malandato sistema industriale è affidata non già agli investimenti e all’innovazione di processo, di prodotto e di sistema, bensì alla restaurazione di rapporti di lavoro servili fondati sul ricatto imposto alla parte più debole e sulla soppressione del contratto nazionale di lavoro. 
Contro questo scempio sociale si è schierata la Cgil, proclamando uno sciopero generale di otto ore per il prossimo 6 settembre, rompendo il grottesco sodalizio che la teneva avvinta a Confindustria e ai banchieri, vale a dire agli attori protagonisti - in partnership con il governo in carica - del dissesto sociale, economico e politico in cui versa il paese. Il nostro augurio è che ora il sindacato di Corso d’Italia sappia resistere alle bordate del fuoco “amico”. Di più: vogliamo sperare che in Cgil si faccia finalmente strada la consapevolezza che la direzione intrapresa con l’accordo del 28 giugno l’ha cacciata in un angolo dal quale è necessario presto uscire. Perché quel patto serve soltanto ad irretire, a bloccare sul nascere ogni conflittualità sociale, ogni propensione rivendicativa, ogni autonomia culturale del mondo del lavoro. 
La ripresa di un movimento sindacale animato da una forte carica progettuale, come sempre è stato quello italiano, è condizione decisiva per rimescolare le carte, anche quelle ingessate della politica, e muovere il pendolo dei rapporti di forza che oggi volgono a favore di un blocco sociale a trazione confindustriale, sicuro di poter dettare le proprie condizioni - diciamolo pure: di governare indisturbato - tanto con il centrodestra quanto con l’odierno, anemico centrosinistra. 
Il fatto è che governo e opposizione parlamentare si contendono la guida del paese chiusi nello stesso recinto culturale, entrambi persuasi che le regole fondamentali che disciplinano le relazioni fra gli esseri umani siano già date oggi e per sempre e che nulla di veramente nuovo possa essere pensato, tanto meno tentato. Lo scontro fra di loro può divenire (a parole) molto aspro, ma è una tempesta in un bicchiere d’acqua. Perché nessuno di quei trepidi duellanti immagina che sia davvero possibile (e neppure auspicabile) un governo pubblico dell’economia, avendo essi attribuito al mercato (regolato? temperato?) virtù quasi taumaturgiche, nelle quali si continua a credere a dispetto delle devastanti prove che il mercato continua a dare di sé. 
E forse questi apprendisti stregoni neppure sospettano che rinunciare a controllare politicamente l’economia non significa arrendersi ad una legge di natura, ma compiere nient’altro che una scelta politica, sposare nient’altro che un’ideologia. La salvezza del paese - e quella del pianeta - non verrà né da questa manovra, né dal paradigma monetarista che ci domina, né dal liberismo che depreda esseri umani e natura compromettendone presente e futuro. 
Lavorare, subito, come ci siamo reciprocamente promessi all’indomani della vittoria nei referendum, alla costruzione di una Costituente dei Beni Comuni significa cominciare a progettare altre strade, indicare altre soluzioni, concrete e radicali, fondare un’altra idea di politica e di democrazia, solidale ed egualitaria, capace di offrire risposte alla ribellione e alle rivolte che attraversano la società. Solo se sapremo stare a questa altezza potremo costruire consenso e movimento, coagulare generazioni, forze sociali e intellettuali capaci di rendere attuale e possibile un mutamento profondo.

di Dino Greco (Liberazione del 31 agosto 2011) 

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