martedì 30 agosto 2011

Manovra indecente, finirà la crociata “progressista”?


Chissà se anche ora, dopo il pacco confezionato ad Arcore, continueremo ad assistere al coro, talvolta minaccioso talaltra petulante, di forze politiche o di parti di esse, che chiedono alla Cgil di rinunciare all’effettuazione dello sciopero generale contro la manovra del governo. Dal governo, ovviamente, non ci si può aspettare nulla di diverso. Stupisce semmai che gli appelli, ora accorati ora indignati, siano, una volta di più, bipartisan, con in testa un gruppo consistente di “responsabili” del Pd che rimproverano alla Cgil di avere smarrito quella paralizzante vocazione unitaria che tanto era loro piaciuta negli ultimi tempi. A Cisl e Uil, per altro, non è necessario rivolgere alcun invito perché la loro inerzia, la loro servile acquiescenza filopadronale e filogovernativa sono così scontate da rendere superfluo che ad esse si chieda alcunché. 
Il padre, diciamo “nobile”, di questa nuova crociata “progressista” è Walter Veltroni, capace come nessun altro di ricollocarsi, di volta in volta, a destra di se stesso. Per lui (e per la nutrita truppa “democratica” che ne segue le gesta) il solo sciopero buono non è quello unitario, ma - semplicemente - quello che non si fa. Tuttavia, la cosa più sconcertante l’abbiamo letta qualche giorno fa su “la Repubblica” per la firma di Tito Boeri, autore di quello stupefacente “La Cgil sciopera contro una manovra che non c’è”. Purtroppo, sia pure all’insaputa della corte “giavazziana”, la manovra c’è. Eccome. E l’accordo raggiunto lunedì ad Arcore dal direttorio della maggioranza è lì a benedire la più dura ed indecente persecuzione dei lavoratori e della povera gente e l’assoluzione da ogni contributo dei ricchi, a partire da quelli che lucrano, che barano, che rubano, che malversano di più. 
Una perla, fra tutte, è uscita dal maleodorante cilindro: gli anni di studio riscattati dai laureati non potranno essere più computati ai fini dell’età pensionabile. Una cosetta che in un colpo solo aumenta fino a 12 (dodici) anni il tempo di lavoro necessario per guadagnare il diritto alla pensione! Berlusconi può legittimamente brindare a champagne! Si tratta ora di vedere come, alla fine della giostra, si comporrà il colpo solenne: se col gas nervino o con la mazza chiodata; se con i tagli agli enti locali o col ripescaggio dell’aumento dell’Iva; se distruggendo ciò che resta delle pensioni di anzianità o eliminando quelle di reversibilità; se smantellando le prestazioni assistenziali o revocando ogni voce deducibile dalla denuncia dei redditi. Oppure “mixando” questo campionario. 
Di certo c’è quello che è stato già fatto e che è bene ricordare: dai tickets sulle visite diagnostiche e sul pronto soccorso al blocco degli stipendi e dei contratti degli statali, dalla mancata rivalutazione delle pensioni al taglio lineare su tutte le prestazioni previdenziali, dal prelievo fiscale esteso al piccolo investimento azionario al sequestro dei trasferimenti agli enti locali e alla privatizzazione delle aziende municipalizzate. Poi c’è quello che è già acquisito e che nessuno (né dal centrodestra né dal centrosinistra) più contesta, come il congelamento del Tfr e lo scippo delle tredicesime imposto ai dipendenti pubblici. Altrettanto certo è che non sarà colpita e neppure tiepidamente ostacolata la speculazione finanziaria: della “Tobin tax”, volta a colpire le transazioni finanziarie speculative, sistematicamente evocata e subito tumulata, non si farà nulla; l’imposta patrimoniale non vedrà la luce, neppure nelle forme più blande e simboliche, perché - come senza senso del pudore piagnucola Marcegaglia - i ricchi pagano già troppo; i capitali frutto di mille pratiche evasive e trasferiti nei paradisi fiscali (della cui fantastica consistenza ci ha reso edotti la Banca d’Italia) non saranno neppure sfiorati. 
Con assoluta certezza non si porrà alcun limite agli stupefacenti stipendi, pensioni e buone uscite dei grandi manager pubblici, mentre a nessuno viene in mente di chiedere che la Chiesa paghi almeno l’Ici sugli edifici da essa destinati ad attività commerciali. Di sicuro non si tagierà il bilancio della Difesa, che fra spesa corrente, missioni di guerra e potenziamento dell’arsenale bellico (cacciabombardieri Eurofighters, fregate Fremm, elicotteri Uh 90 e altre diavolerie) divora più di 23 miliardi l’anno. Sappiamo invece che della manovra farà parte la soppressione del divieto di licenziare senza giusta causa o giustificato motivo, che si materializzerà attraverso il preventivo consenso del duo Bonanni-Angeletti e dei loro solerti fiduciari aziendali, colpendo al cuore la protezione che l’articolo 18 della legge 300 del 1970 garantisce (almeno nelle aziende con più di 15 dipendenti) a quei lavoratori che siano colpiti da licenziamenti ingiusti. Come a dire che la crescita della produttività del nostro malandato sistema industriale è affidata non già agli investimenti e all’innovazione di processo, di prodotto e di sistema, bensì alla restaurazione di rapporti di lavoro servili fondati sul ricatto imposto alla parte più debole e sulla soppressione del contratto nazionale di lavoro. 
Contro questo scempio sociale si è schierata la Cgil, proclamando uno sciopero generale di otto ore per il prossimo 6 settembre, rompendo il grottesco sodalizio che la teneva avvinta a Confindustria e ai banchieri, vale a dire agli attori protagonisti - in partnership con il governo in carica - del dissesto sociale, economico e politico in cui versa il paese. Il nostro augurio è che ora il sindacato di Corso d’Italia sappia resistere alle bordate del fuoco “amico”. Di più: vogliamo sperare che in Cgil si faccia finalmente strada la consapevolezza che la direzione intrapresa con l’accordo del 28 giugno l’ha cacciata in un angolo dal quale è necessario presto uscire. Perché quel patto serve soltanto ad irretire, a bloccare sul nascere ogni conflittualità sociale, ogni propensione rivendicativa, ogni autonomia culturale del mondo del lavoro. 
La ripresa di un movimento sindacale animato da una forte carica progettuale, come sempre è stato quello italiano, è condizione decisiva per rimescolare le carte, anche quelle ingessate della politica, e muovere il pendolo dei rapporti di forza che oggi volgono a favore di un blocco sociale a trazione confindustriale, sicuro di poter dettare le proprie condizioni - diciamolo pure: di governare indisturbato - tanto con il centrodestra quanto con l’odierno, anemico centrosinistra. 
Il fatto è che governo e opposizione parlamentare si contendono la guida del paese chiusi nello stesso recinto culturale, entrambi persuasi che le regole fondamentali che disciplinano le relazioni fra gli esseri umani siano già date oggi e per sempre e che nulla di veramente nuovo possa essere pensato, tanto meno tentato. Lo scontro fra di loro può divenire (a parole) molto aspro, ma è una tempesta in un bicchiere d’acqua. Perché nessuno di quei trepidi duellanti immagina che sia davvero possibile (e neppure auspicabile) un governo pubblico dell’economia, avendo essi attribuito al mercato (regolato? temperato?) virtù quasi taumaturgiche, nelle quali si continua a credere a dispetto delle devastanti prove che il mercato continua a dare di sé. 
E forse questi apprendisti stregoni neppure sospettano che rinunciare a controllare politicamente l’economia non significa arrendersi ad una legge di natura, ma compiere nient’altro che una scelta politica, sposare nient’altro che un’ideologia. La salvezza del paese - e quella del pianeta - non verrà né da questa manovra, né dal paradigma monetarista che ci domina, né dal liberismo che depreda esseri umani e natura compromettendone presente e futuro. 
Lavorare, subito, come ci siamo reciprocamente promessi all’indomani della vittoria nei referendum, alla costruzione di una Costituente dei Beni Comuni significa cominciare a progettare altre strade, indicare altre soluzioni, concrete e radicali, fondare un’altra idea di politica e di democrazia, solidale ed egualitaria, capace di offrire risposte alla ribellione e alle rivolte che attraversano la società. Solo se sapremo stare a questa altezza potremo costruire consenso e movimento, coagulare generazioni, forze sociali e intellettuali capaci di rendere attuale e possibile un mutamento profondo.

di Dino Greco (Liberazione del 31 agosto 2011) 

Si scende in piazza e ci si resta


Sommano già a ben 131 miliardi di euro gli interventi complessivi, 2010-2014 decisi dal governo. E per qualcuno i mercati non sarebbero ancora contenti di questo massacro senza precedenti. In realtà, con gli ultimi provvedimenti e modifiche, il governo ha ulteriormente aggravato l’impatto antisociale della manovra. Viene salvata dal contributo di solidarietà la casta dei supermanager e dei direttori dei grandi giornali, che può festeggiare. In compenso vengono sostanzialmente cancellate le pensioni di anzianità, con una vera e propria truffa a danni dei lavoratori che hanno fatto il servizio militare o che hanno pagato di tasca loro i contributi per l’università. E con un disastro occupazionale che si preannuncia perché ci saranno centinaia di migliaia di persone costrette a rimanere a lavoro, con altrettante persone che non troveranno posto. Inoltre, migliaia di lavoratori e lavoratrici posti in mobilità rischiano di non arrivare più alla pensione. Nello stesso tempo la manovra sui contratti distrugge il contratto nazionale, aumenta gli orari di lavoro per chi ha un posto, incrementa la precarietà e i licenziamenti selvaggi. Anche per questo la Cgil deve immediatamente ritirare la firma dall’accordo del 28 giugno, trasformato dal governo in decreto liberticida.  Tutto il costo della manovra è, alla fine, a carico del lavoro dipendente, dei pensionati e dei più poveri. I ricchi non pagano, niente, per l’evasione fiscale si fanno chiacchiere. Questa è una brutale manovra di classe, fatta da un governo squalificato, che si aggancia all’Europa solo per giustificare la propria esistenza.
Lo sciopero generale  a questo punto è ancora più giustificato, ma deve dare il via a un movimento  che punti a rovesciare il governo e la manovra. Dobbiamo fermarli. Dobbiamo fermare il disastro provocato da Berlusconi, ma dobbiamo anche dire basta al governo unico delle banche europeo che sta portando l’Europa a una recessione drammatica, per difendere la speculazione e la finanza. Basta con Berlusconi, basta con la Bce e l’Europa delle banche. Su questo si scende in piazza e ci si resta.

di Giorgio Cremaschi

CGIL: Sciopero Generale 6 settembre SPOT

sabato 27 agosto 2011

Intervista a Gianni Rinaldini: «Decreto lavoro incivile, la risposta è il conflitto»


Gianni Rinaldini, lo sciopero generale della Cgil contro la manovra del governo sta ricevendo più consensi dalla società civile che dalla politica. Solo le forze minori della sinistra vi appoggiano, il Pd oscilla tra l'aperta ostilità dell'area liberal e la prudenza del segretario Bersani, il quale si è limitato a dire che il suo partito sarà presente «a tutte le diverse iniziative» che le forze sociali assumeranno. Tra le critiche alla Cgil, la più ricorrente è che scioperare da soli, senza Cisl e Uil, è un errore. Come rispondi? 
E' la solita litania. Ogni volta che decidiamo uno sciopero, l'unica cosa che ci sentiamo dire è «dovete essere uniti». Il che è un modo come un altro per non entrare nel merito delle questioni alla base della nostra mobilitazione. Quando c'è uno sciopero generale, con le relative proposte, uno dice se le condivide o no. Il resto fa parte di quell'incomprensibile linguaggio politicista che poi è alla base della frattura sempre più evidente tra politica e società civile. La cosa che mi impressiona è il fatto che in questa manovra - oltre agli aspetti di iniquità nella redistribuzione della ricchezza, con misure che penalizzano le fasce popolari - c'è un decreto lavoro che rappresenta un'enormità. Nel senso che ci troviamo di fronte alla cancellazione di parte della storia del movimento operaio. Se dovesse passare questa operazione, d'ora in poi attraverso i contratti aziendali si potrà intervenire su tutte le materie relative alla prestazione lavorativa inclusi gli aspetti legislativi, dal controllo degli ambienti di lavoro anche con strumenti audiovisivi, fino alla scelta di non applicare l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. In sostanza, salta l'equilibrio costituzionale fondato sui diritti sociali, che sono la sostanza della democrazia, dal momento che quei diritti in quello schema diventano una variabile del mercato. Ora a me pare straordinario che un'operazione di siffatta natura non abbia sollevato l'indignazione delle forze politiche, tanto più di quelle che storicamente avevano rappresentato la sinistra nel nostro paese. Tra l'altro non è un caso che in commissione bilancio del Senato, sul decreto lavoro il Terzo Polo abbia votato assieme al governo. Il che sta a indicare che, quando non c'è il merito, non si fa molta strada. 

La Cisl non la vede così drammatica. Per Bonanni il decreto lavoro non è un problema, anzi «rafforza il potere delle parti». 

Che non sia preoccupato Bonanni non mi sorprende, perché negli atti compiuti nel corso di questi anni - dal condono fiscale al collegato lavoro - Confindustria, Cisl e Uil hanno perseguito questa strada. Una strada per cui nella globalizzazione non ci sono più vincoli sociali di solidarietà ma tutto viene ricondotto a una logica di mercato. Esattamente ciò che prevede questo decreto. 

Secondo Susanna Camusso, l'articolo 8 della manovra «è un tentativo di cancellare l'intesa del 28 giugno con Confindustria», che invece confermerebbe il ruolo primario del contratto nazionale. 

Penso esattamente l'opposto. E cioè che non l'accordo ma l'ipotesi di accordo siglata il 28 giugno abbia contribuito ad aprire la strada all'intervento successivo del governo. Così come è stato un errore partecipare al blocco delle forze sociali, sottoscrivendo un documento in sei punti, quando, alla prova dei fatti, è emerso che non c'era nessuna posizione vera di carattere unitario. Oggi i soggetti firmatari del 28 giugno interpretano quell'accordo sostenendo che il decreto lavoro corrisponde a quello che anche la Cgil ha sottoscritto. Mi pare evidente che in queste condizioni quell'accordo non esiste più. 

La proclamazione dello sciopero generale da parte della Cgil rappresenta un cambiamento rispetto alla linea del dialogo con Cisl e Uil portata avanti dalla segreteria nei mesi precedenti? 

Io credo che questo decreto rappresenti uno spartiacque. A me pare evidente che il sindacato e la Cgil si trovino ad affrontare una situazione totalmente nuova, sconosciuta nella storia repubblicana di questo paese. E quindi lo sciopero generale del 6 non può essere uno sciopero "una tantum" e dopo riprendono le cose come prima. Dobbiamo invece ragionare su come aprire una fase conflittuale nel paese, definendo proposte e pratiche rivendicative che disegnino concretamente una alternativa sociale a quello che sta avvenendo. E' lì che vedremo se tutta la Cgil è disponibile a questo confronto. In un contesto completamente diverso e molto peggiore, richiamarsi a quelli che sono stati i documenti congressuali lo riterrei un errore. 

Però è vero che uno sciopero generale fatto dalla sola Cgil è meno efficace. Davvero l'unità con Cisl e Uil oggi non ha più senso? 

Io sono per l'unità sindacale, è nel dna della Cgil. Il problema è che oggi ci troviamo di fronte al fatto che Cisl e Uil hanno scelto, rispetto anche alla crisi dei sindacati provocata dai processi di globalizzazione, un'idea di modello sindacale del futuro che non è quello della Cgil. Ciò fa si che in questa fase non sia all'orizzonte il processo di unità sindacale così come è stato concepito classicamente, perché le differenze tra le organizzazioni sindacali non sono su questo o su quel punto ma sono proprio di carattere strategico. Altra cosa è l'unità d'azione sulle singole questioni, che però può essere possibile nella chiarezza e con le procedure democratiche. 

Secondo Bersani, se Cgil Cisl e Uil sono divise è solo per colpa del governo... 

Insisto. La cancellazione del contratto nazionale, in una fase di recessione e di crisi, determinerà il fatto che i lavoratori saranno costantemente ricattati dalle aziende: "o accettate le nostre condizioni o vi chiudiamo la fabbrica". Come ha fatto la Fiat. Ciò rappresenta per questo paese un salto all'indietro di civiltà. Ora, nel merito, dicano se sono d'accordo. 

Per la verità, il Pd ha già detto che l'articolo 8 va eliminato. 

E allora ne traggano le conseguenze.

di Roberto Farneti su Liberazione del 27/08/2011

giovedì 25 agosto 2011

Bonanni e Angeletti sottosegretari aggiunti "Sono corresponsabili della crisi"

Giorgio Cremaschi, presidente del comitato centrale della Fiom ed esponente della sinistra Cgil, accusa i leader di Cisl e Uil, Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti, di essere la stampella del Governo. "Hanno sostenuto la politica economica del Governo in tutti questi anni e sono corresponsabili della crisi - dice ad Affaritaliani.it - Angeletti e Bonanni sono stati sostanzialmente sottosegretari aggiunti del Governo. Sono stati totalmente schierati con Berlusconi e perciò non mi stupisce che non cerchino di lottare". Cremaschi aggiunge che "in tutta Europa c'è una ripresa di mobilitazione dei sindacati, perché è evidente che questa crisi sta colpendo i diritti dei lavoratori. Ed è altresì evidente che Angeletti e Bonannni guidano i due sindacati più moderati d'Europa".

mercoledì 24 agosto 2011

CGIL: 6 settembre Sciopero Generale 'un'altra manovra è possibile'


Dallo sciopero all’opposizione sociale

Solo tre settimane fa la signora Emma Marcegaglia parlava come portavoce di tutte le parti sociali, compresa la Cgil. Ora questa stessa organizzazione proclama per il 6 settembre uno degli scioperi generali più veri e duri nella storia del Paese. Tra questi due fatti di segno diametralmente opposto non c’è solo di mezzo la manovra disastrosa del governo. La decisione della Cgil è il segno della crisi totale della concertazione, della complicità, della politica di patto sociale. Nonostante le affermazioni del presidente della Repubblica, che ha scelto comunque una delle platee più faziose, quella di Comunione e Liberazione, per esternare il suo appello alla coesione nazionale, l’Italia oggi ha bisogno prima di tutto di un vero conflitto sociale. 
La manovra economica unisce le rappresaglie contro il lavoro di un governo che oramai ha concluso la sua storia politica, con il disegno dei poteri forti dell’economia, in Italia e in Europa, di uscire dalla crisi con una radicalizzazione a destra del sistema economico sociale. E’ inutile nasconderlo o far finta che non sia così.
In queste settimane abbiamo assistito a un confronto surreale ove l’opposizione sembrava volere prima di tutto il taglio delle pensioni mentre la maggioranza invece preferiva l’aumento delle tasse per gli stipendi più alti. Nessuno parlava davvero della distruzione del contratto nazionale, dello statuto dei lavoratori, dei diritti del lavoro e, ancor di più, nessuno parlava davvero di una tassazione che colpisca i patrimoni, le grandi ricchezze, la speculazione.
Così questa crisi si è avvitata in un confronto tra due destre. Quella liberale che proponeva qualche piccola penalizzazione per i ricchi in cambio del liberismo selvaggio per tutti e quella populista che invece preferiva scaricare tutto sugli enti locali e sui dipendenti pubblici. Alla fine ne è venuta fuori una salsa mefitica, di cui una sola cosa è chiara: il 98 per cento di tutti i costi della crisi sono pagati dal mondo del lavoro. La Cgil di fronte a questo ha scelto di fare uno sciopero vero in tempi rapidi per farsi sentire sul serio.
E’ un segnale importante che deve essere raccolto. Tuttavia è chiaro che questa scelta pratica è in totale contraddizione con i balletti, i documenti, gli incontri del consorzio delle parti sociali. Già la parola parti sociali è un’insopportabile retaggio democristiano. Non ci sono le parti sociali; ci sono i ricchi e i poveri, i padroni e i lavoratori, gli speculatori finanziari e le vittime della crisi. Non sono tutti nella stessa barca. Ora lo sciopero ristabilisce un minimo di senso della realtà in un momento drammatico ma è chiaro che a questa svolta nei comportamenti deve corrispondere un’analoga svolta sul piano della strategia. Mai più, neanche ai tavoli del caffè, la Cgil dovrà affidare alla signora Emma Marcegaglia o a chi per essa il ruolo di portavoce.
L’accordo del 28 giugno, che il governo ha trasformato in un decreto liberticida deve essere disconosciuto dalla Cgil che deve ritirare la propria firma. Occorre che la crisi la paghino davvero i ricchi e la finanza e occorrono misure immediate a favore del lavoro. Per questo non si può pensare che Monti e Draghi siano un’alternativa a Berlusconi. Essi sono semplicemente l’espressione di un liberismo radicale, tanto più coerente di quello di Berlusconi, quanto più pericoloso. Non si tratta più di inseguire parti sociali o accordi unitari con Cisl e Uil che ancora una volta hanno mostrato di essere dall’altra parte. Bisogna invece organizzare una vera e forte opposizione sociale in grado di mettere in crisi la manovra e per questa via far cadere da sinistra questo governo.
Questo sciopero è dunque un primo segnale di una svolta. Adesso sta a noi fare in modo che le cose cambino davvero. Bisogna in primo luogo che la giornata di lotta sia di quelle che si ricordano. Bisogna fermare il Paese per fermare la manovra e poi si deve partire da qui per dire definitivamente basta con le politiche di concertazione e complicità che ci hanno condotto a questo disastro.

Articolo di Giorgio Cremaschi pubblicato su Liberazione di oggi, 24 agosto 2011

L'USB per la generalizzazione dello sciopero del 6 settembre

L’Esecutivo nazionale confederale USB riunito a Roma il 24 agosto 2011 ha ampiamente discusso l’attuale grave fase politico economica che attraversa il Paese.
L’ Esecutivo  nazionale ritiene che non ci sia alcuna possibilità di uscita dalla crisi economica finanziaria in corso attraverso i consueti strumenti già utilizzati dai governi in passato e riproposti oggi dal Governo Berlusconi. 

La finanziarizzazione dell’economia ha prodotto un crisi sistemica che sta aggredendo i paesi avanzati del nord  del mondo e sta foraggiando la speculazione finanziaria. L’Unione Europea  a guida Franco/Tedesca sta approfittando della crisi per imporre di fatto un governo unico europeo che sta soppiantando definitivamente la funzione degli stati nazione ed imponendo il comando di Bruxelles  e dell’Euro sulle scelte di politica economica dei governi nazionali.

L e manovre di luglio e di agosto del governo Berlusconi non solo sono evidentemente di classe, perché scaricano i costi della crisi sui lavoratori e le loro famiglie aggredendo i salari, imponendo agli enti locali, cui vengono tagliati i trasferimenti, di aumentare le tasse, attaccano a fondo le pensioni e il tfr ma rischiano di essere assolutamente contingenti ed inutili perché non aggrediscono le vere cause della crisi che sono il mercato finanziario, la speculazione il sistema bancario. La stessa contro manovra proposta dal PD non si discosta da questa impostazione e  si colloca nello stesso solco con un’ottica di riduzione del danno fatta comunque di privatizzazioni, liberalizzazioni, flessibilità, riduzione del welfare eccetera.

La crisi sta producendo una svolta politica profonda e strutturale e va affrontata dal movimento sindacale indipendente e conflittuale in questa ottica.

Il problema non è semplicemente cacciare Berlusconi e sconfiggere il berlusconismo. Qualsiasi ipotesi politica che non metta in discussione le scelte dell’Unione Europea sarà destinata  a proporre analoghe e continue manovre di rientro dal debito che però non modificheranno minimamente la situazione. 

A tal proposito l’Esecutivo USB ritiene anche indispensabile ricercare ogni relazione a livello europeo ed internazionale per concordare iniziative di lotta e di mobilitazione a livello continentale contro le politiche dell’Unione Europea sostenute anche dalle organizzazioni sindacali presenti nella CES.

L’Esecutivo nazionale USB invita tutta l’organizzazione a proseguire la mobilitazione per contrastare le manovre di classe del governo già avviata con lo sciopero nazionale del pubblico impiego di luglio e le manifestazioni di luglio e di agosto e a tal fine decide di proporre alle organizzazioni sindacali conflittuali, già invitate al confronto sulla situazione, di proclamare assieme per il 6 settembre lo sciopero generale e generalizzato con proprie manifestazioni territoriali come primo momento di risposta di massa e unitario contro le manovre del governo Berlusconi, contro le politiche dell’Unione Europea, per riaffermare i diritti democratici e contrattuali, contro ogni nuovo patto sociale fra sindacati complici, padroni, banchieri.

L’esecutivo nazionale USB ritiene che la proposta di proclamazione dello Sciopero generale e generalizzato con autonome manifestazioni territoriali vada estesa anche a tutti quei settori sociali e di movimento in lotta per la difesa dei beni comuni, del territorio, del diritto al reddito e all’abitare, della scuola pubblica e del diritto allo studio, per i diritti dei migranti.

L’esecutivo nazionale USB invita pertanto tutte le proprie strutture a revocare gli scioperi già proclamati dalle categorie e dai settori, in particolare gli scioperi nazionali del pubblico impiego del 9 settembre e quello del TPL del 19 settembre per farli convergere sulla data del 6 settembre

L’esecutivo nazionale USB conferma l’adesione dell’organizzazione all’Assemblea Nazionale del 10 settembre promossa da “Roma bene comune” con la certezza che da quel momento di confronto scaturirà un calendario unitario di ulteriori mobilitazioni contro la crisi, le manovre del governo e l’Unione Europea

L’esecutivo nazionale USB ritiene importante raccogliere e rilanciare la proposta di Mobilitazione Europea avanzata dalle piazze degli Indignados per la giornata del 15 ottobre e mobilita tutta l’organizzazione per la massima partecipazione alla Manifestazione Nazionale che si terrà in quella data

martedì 23 agosto 2011

La CGIL proclama per il 6 settembre lo Sciopero Generale contro la manovra


La Segreteria Confederale della CGIL, a conclusione della riunione dei segretari generali di categoria e territoriali sulla base del mandato ricevuto dal Direttivo nazionale dell'11 e 12 luglio, ha indetto per martedì 6 settembre uno sciopero generale di 8 ore per ogni turno contro (e per cambiare) la manovra iniqua e sbagliata del governo.
Prende il via in Commissione Bilancio del Senato l'esame della manovra economica che lo scorso 13 agosto ha ricevuto il via libera dal Consiglio dei Ministri. Un provvedimento da oltre 45 miliardi che andrà a sommarsi ai 47 dell'intervento di luglio, per un impatto complessivo che supererà i 90 miliardi da qui al 2013 e che la CGIL, fin da subito, ha fortemente contrastato poiché ritiene essere nella forma “depressivo, socialmente iniquo, innefficace e antisindacale” e contro il quale ha rafforzato la sua mobilitazione, proclamando per martedì 6 settembre uno sciopero generale di 8 ore per ogni turno.
La protesta inizierà domani, 24 agosto alle ore 9, davanti alla sede del Senato con un presidio proclamato dalla Confederazione, al quale parteciperà, insieme ai componenti della Segreteria Nazionale, il Segretario Generale della CGIL, Susanna Camusso. Prevista in piazza per le ore 11 laconferenza stampa della leader del sindacato di Corso Italia, la quale illustrerà  le proposte alternative della CGIL e le ragioni e le modalità dello Sciopero Generale promosso oggi. Come spiegato dalla CGIL, la completa bocciatura della manovra sta nel fatto che con questo provvedimento si “condanna il paese alla recessione e alla disgregazione sociale” per difendere invece “le grandi ricchezze e gli interessi che rappresentano la base di consenso del Governo”.
In particolare per la CGIL la manovra è “depressiva” e “socialmente iniqua”, perchè non viene destinata alcuna risorsa né alla crescita, né all'occupazione, mentre i redditi e i consumi dei cittadini continuano a ridursi. Per la CGIL ad essere colpiti dal provvedimento sono, ancora una volta, i soggetti sociali più deboli: lavoratori, pensionati, famiglie, mentre si continua ad evitare di intervenire sull'evasione fiscale, sulle rendite finanziarie e sulle grandi ricchezze. Il decreto del 13 agosto oltre ad essere “inefficace”perchè, come spiega la CGIL, “non affronta in maniera strutturale le cause del deficit, né pone le basi per ridurre realmente il debito”, possiede“caratteri antisindacali” in quanto “pretende di cancellare per legge uno strumento di regolazione generale dei diritti dei lavoratori come il Contratto Nazionale di lavoro”.
La manovra di ferragosto prevede, infatti, che gli accordi aziendali possano regolare le condizioni di lavoro in deroga al CCNL e alle leggi anche in materia di licenziamento. Per la CGIL questa norma rappresenta un “nuovo gravissiom taglio ai diritti dei lavoratori”. E' proprio sull'articolo 8 del decreto ('misure a sostegno dell'occupazione') che la CGIL si sofferma nella lettera inviata a CISL e UIL, il 22 agosto scorso. Alle due Confederazioni la CGIL apre una serie di questioni: “L’art. 8 della manovra non è un attacco alla autonomia delle parti?”, “Non è forse chiaro che trasformare l’art. 18 in materia contrattabile di non meglio identificate 'rappresentanze sindacali operanti in azienda', mina l’efficacia dell’articolo stesso?”, “Non è forse evidente che una norma che non si basa sulla rappresentanza, e affida poteri su tutte le materie fuori dai contratti, è la proliferazione di qualunque forma di sindacalismo ed un attacco esplicito al sindacato confederale?”.
Altra scelta contenuta nella manovra e fortemente criticata dalla CGIL è quella di spostare o accorpare alla domenica le festività civili e laiche, per la CGIL significa “colpire l'identità e la storia del nostro Paese, indebolirne la memoria”, rappresenta, prosegue “un grave limite per il futuro”, producendo per altro un “irrisorio beneficio economico”. Per questo motivo la CGIL ha deciso di lanciare una petizione popolare a difesa delle feste della Liberazione, del Lavoro e della Repubblica. Raggiunte al momento oltre 23mila firme.  E' possibile firmare la petizione sul sito della CGIL (www.cgil.it) o direttamente presso le diverse sedi delle Camere del Lavoro dietro le parole “alziamo insieme la nostra voce perché l’identità ed il futuro dell’Italia sono un bene indisponibile ad ogni manipolazione”

venerdì 19 agosto 2011

La Camusso, e quella pistola carica per B.

Giorni fa, mentre ero ai giochi nel parco di piazza Vittorio con mio figlio, avevo ricevuto la telefonata di una signora iraconda: “Sono Susanna Camusso!“. Avevo appena fatto in tempo a rispondere “Buongiorno”, che lei mi aveva investito come un fiume in piena: “ Quand'è che lei la finisce di scrivere falsità su di me?”.

Avevo in realtà scritto due articoli sul cosiddetto “accordo del 28 giugno” che, per uscire dalle solite fumisterie del sindacalese, e per renderne più comprensibile il senso, ho ribattezzato “porcellum sindacale“. Aveva ragione ad arrabbiarsi con me, la Camusso. In base a quel patto, infatti, in una fabbrica basta mettere insieme il cinquanta per cento dei delegati sindacali per non dover sottoporre al voto dei lavoratori qualsiasi accordo si sottoscriva. Un bel passo verso la democrazia diretta, non c’è che dire, tanto per far capire in che direzione voleva andare la burocratja sindacale, dopo la vittoria partecipativa dei referendum sull'acqua e sul nucleare. A quell’articolo, e a tante altre critiche, la Camusso aveva risposto con una intervista (in ostrogoto) al nostro Stefano Feltri. Un complicato e contorto ragionamento, come sempre quando c'è di mezzo il sindacalese, in cui la segretaria della Cgil (é una mia sintesi arbitraria, chi vuole se lo vada a leggere) diceva che il sindacato non deve cedere al plebiscitarismo, e che il sindacalismo é “delega”. Ovvero: tu mi deleghi la tua rappresentanza, e io tratto per te. I sindacati di oggi, abituati a trattare male o malissimo, si sono convinti – con l’eccezione solare della Fiom – che meno si permette alla gente di giudicare i pasticci che fanno, e meglio é. Da questo spirito sono nati contratti para-schiavili, come quello del commercio, o vessatori contro i giovani, come quello del giornalismo, o più limpidamente padronali, come quelli che Cisl e Uil hanno firmato, fregandosene della loro base, alla Fiat.

Il secondo articolo che faceva incazzare la Camusso spiegava il metodo con cui la segreteria della Cgil si preparava a controllare la consultazione sull'accordo. Giá, perché in questi tristi anni i sindacati si sono specializzati nel pompierare i dissensi spiacevoli per i vertici, nel taroccare i voti sgraditi. Ed ecco cosa succede: circolari interne prescrivono come silenziare il voto dei non iscritti (voluto dalla Fiom), inseriscono nel voto categorie che con l’industria non c’entrano nulla (come gli edili), si prescrive che non possa essere illustrato in assemblea nessun altro documento se non quello della segreteria (cioè quello della Camusso!), fa sì che non si voti in modo segreto (come fa la Fiom nelle sue fabbriche), e addirittura per alzata di mano. Poiché avevo scritto queste cose, con la brutalità che i giornalisti di settore non usano mai, si incazzava con me, giustamente, la Camusso.

Oggi, a quasi un mese da quella burrascosa telefonata, siamo in grado di capire di più. La mossa con cui la Camusso si illudeva di rompere l’accerchiamento e di rientrare nel grande gioco (chissà perché i sindacalisti coltivano queste ambizioni, rispetto al sacro dovere di rappresentare i loro iscritti) si è rivelata un regalo insperato a Berlusconi, Sacconi e Brunetta. Con le norme inserite nella finanziaria, infatti, con un accordo aziendale si può negoziare qualsiasi diritto, derogare (cioè cancellare) lo statuto dei lavoratori, rimuovere l’articolo 18 (che la Cgil di Cofferati aveva difeso con una trionfale battaglia di popolo). Ci volevano dei ministri socialisti, (e una segretaria socialista della Cgil!) per produrre questo capolavoro. La Camusso, io credo senza sapere fino in fondo quello che sarebbe accaduto, é entrata nel saloon dove c’era il pistolero prepotente, ha caricato il tamburo di una pistola, e gliela ha messo in mano, dicendo: “Però così esco dall'isolamento e rientro in gioco”. Il pistolero Sacconi, subito dopo, ha tirato il grilletto, e ha puntato la pistola alla tempie della Camusso: “Adesso, pupa, con questa pistola ti ordino di consegnarmi i tuoi diritti”. Come sarebbe bello se la Camusso ammettesse l’errore, scaricasse la pistola dell’accordo Porcellum, e uscisse dal saloon chiamando a raccolta il popolo degli indignados contro il pistolero prepotente. Se facesse così le perdonerei l’intervista in ostrogoto al nostro incolpevole Feltri, e persino quella telefonata al parco.

di Luca Telese
http://www.ilfattoquotidiano.it/

martedì 16 agosto 2011

Chiedo tre cose ora a Susanna Camusso.... Giorgio Cremaschi

Chiedo tre cose ora a Susanna Camusso:
La prima e' ritirare la firma dall accordo del 28 giugno che e' diventato un decreto legge liberticida. La seconda e' di proclamare subito lo sciopero generale in tempi utili per essere davanti al parlamento quando si decide sul decreto. La terza e' di dimettersi subito dopo queste due decisioni perché' aver affidato alla presidente di confindustria il ruolo di portavoce e' stato un danno imperdonabile per la cgil e i lavoratori.

Nota di Giorgio Cremaschi

sabato 13 agosto 2011

Mobilitazione straordinaria fino allo sciopero generale per cambiare la manovra per decreto del governo e per una diversa uscita dalla crisi


Non era mai successo che per decreto legge un governo provasse a cancellare l'esistenza del Contratto Nazionale e aprisse alla libertà di licenziare. Inoltre il governo fa una legge "ad aziendam" pro Fiat violando principi costituzionali e la carta europea dei diritti dell'uomo.
Tutto ciò all'interno di una manovra economica classista che per decreto colpisce in particolare i lavoratori dipendenti sia privati che pubblici, i pensionati ed i giovani, attaccando i principi democratici del nostro paese e non affrontando i nodi e le ragioni che hanno prodotto il debito pubblico e la crisi del nostro Paese.
La Cgil deve trarre le dovute conseguenze dell'uso fatto dal governo dell'accordo interconfederale del 28 giugno 2011 e delle proposte delle parti sociali del 4 agosto 2011 e convocare urgentemente una riunione dei propri organismi dirigenti.
E' una manovra, quella del governo, iniqua e sbagliata che colpisce i diritti e il salario dei lavoratori dipendenti, taglia i servizi sociali erogati dai Comuni e dalle Regioni, non colpisce l'evasione fiscale e la corruzione, non introduce una vera patrimoniale ed una vera lotta alle speculazioni finanziarie e non delinea nessuna nuova azione di politica industriale affermando l'idea tragica per il Paese che per uscire dalla crisi bisogna tagliare i diritti, il Contratto Nazionale e lo Statuto dei lavoratori.
Una manovra in contrasto con il pronunciamento popolare avvenuto nei referendum dello scorso giugno, che riapre alla privatizzazione e liberalizzazione dei servizi pubblici.
Così il Paese non esce dalla crisi, ma se ne mette in discussione la sua stessa coesione sociale.
E' necessario pertanto mettere in campo fin dai prossimi giorni una campagna straordinaria di discussione e di mobilitazione in tutto il Paese, per cambiare radicalmente la manovra, compreso il ritiro dei provvedimenti che sanciscono la derogabilità delle leggi vigenti e del Contratto Nazionale e della libertà di licenziare in deroga all'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, fino alla proclamazione dello sciopero generale.

Maurizio Landini
Segretario generale Fiom-Cgil
Roma, 13 agosto 2011

Al diavolo il patto sociale e chi lo propone... che lo sciopero generale sia l'inizio di un grande rivolta.


Stanno distruggendo tutto, stanno vendendo tutti i nostri diritti, tutti i beni comuni per coprire i loro fallimenti e soddisfare la speculazione. 
Rivolta sociale e democratica di vastissima portata... questo ora e' necessario per fermare la devastazione operata dal fallimentare governo Berlusconi, ma anche dal potere finanziario che esercita la sua dittatura in europa. Dobbiamo scendere in lotta perché paghi chi questa crisi ha provocato, banche finanza e multinazionali in primo luogo,  e perché tutta questa ridicola classe politica se ne vada.. Dobbiamo fermarli e per farlo dobbiamo sconfiggere ogni rassegnazione, passività e complicità sindacale e politica, dobbiamo mandare al diavolo il patto sociale, la responsabilità nazionale e chi li propone... adesso basta, lo sciopero generale sarà solo l'inizio.

Nota di Giorgio Cremaschi

venerdì 12 agosto 2011

Sciopero Generale ma per fermarli tutti


Mentre il teatrino della politica italiana continua , il governo di destra si prepara a stangarci, ma un fatto oramai e' chiaro.  
Il massacro sociale non e' solo preparato da berlusconi e tremonti, ma anche da draghi e dall europa delle banche e dei padroni.
La segreteria cgil ora parla di sciopero generale, ma dopo aver perseguito una linea fallimentare di patto sociale, fino al ridicolo documento unico con padroni e sindacati complici.
Si' sciopero generale, ma non come gli ultimi, ma per fare sul serio. La lettere della bce annuncia addirittura il diritto a licenziare, dobbiamo fermarli! 
Dobbiamo dire basta a berlusconi, ma anche a questa europa guidata dal governo unico delle banche. Occorre stare distanti da questa opposizione politica che vuol  far cadere berlusconi, ma senza proporre nulla di diverso dal massacro sociale voluto dal governo unico.
 Sciopero generale contro berlusconi, ma anche contro draghi e trichet...o si fa sul serio o si perde tutto.

Nota di Giorgio Cremaschi

mercoledì 10 agosto 2011

La cgil rompa e cambi gruppo dirigente…


Proprio il patto sociale e la politica di patto sociale sono sbagliati, ingiusti e aggravano la crisi.
Oramai e' chiaro che le cosiddette riforme chieste da quei poteri finanziari che sono tra le cause e ora speculano sulla crisi, sono solo l'ennesima riproposizione del massacro sociale ai danni dei lavoratori dei pensionati dei poveri. Il patto sociale serve solo a salvare le politiche economiche fallimentari della destra. Per questo la cgil deve abbandonare quel ridicolo teatrino delle parti sociali in cui l’ha colpevolmente trascinata l’attuale gruppo dirigente.  E' un dovere verso la democrazia rappresentare chi oggi si oppone al governo unico delle banche. Basta, la cgil rompa e cambi il gruppo dirigente. Serve questo oggi ai lavoratori.  

Nota di Giorgio Cremaschi

domenica 7 agosto 2011

Cofferati: la Cgil sbaglia


Sergio Cofferati, malgrado la manovra da 80 miliardi, l'Italia è nella bufera. Il differenziale di rendimento tra i titoli di stato italiani e quelli tedeschi ha toccato livelli record. L'economia è ferma: nel secondo trimestre 2011 il Pil è cresciuto appena dello 0,3%. Dopo avere negato la crisi, il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi annuncia adesso la sigla entro settembre di un patto con le parti sociali per la crescita. La presidente di Confindustria Emma Marcegaglia ha sottolineato come negli otto punti dell'agenda del governo siano presenti molte delle proposte avanzate congiuntamente da imprese e sindacati. Un accordo è perciò probabile. E' così che si esce da questa situazione?
Penso proprio di no. La situazione è drammatica perchè l'economia è ferma e la nostra credibilità sul piano internazionale è caduta verticalmente. La crescita del Pil prevista per quest'anno e per l'anno prossimo è del tutto insufficiente a garantire le risorse per, da un lato ridurre il debito e, dall'altro, creare le condizioni per attuare politiche redistributive a vantaggio della parte più debole della popolazione. In questo quadro, occorre definire interventi di emergenza capaci nel brevissimo periodo di ridurre la spesa e di migliorare i nostri conti e, al tempo stesso, utili per stimolare una crescita possibile. Di tutto ciò non c'è traccia nei provvedimenti del governo e negli annunci fatti nei giorni scorsi. Per quanto riguarda il rapporto con le parti sociali, se qualcuno si era illuso che per placare i mercati sarebbe bastato l'annuncio di un confronto su capitoli vagamente descritti e variamente interpretabili, purtroppo ora si deve ricredere.
Nel 1992 ci fu un patto tra governo, imprese e sindacati per fare entrare l'Italia in Europa. Vista la gravità della situazione, ha senso oggi provare a ripetere un'operazione di quel tipo o al paese serve ben altro?
La situazione di oggi ricorda molto il 1992 per la gravità, il contesto è però ben diverso. All'epoca non c'era l'euro, il paese doveva agire da solo. Inoltre il governo Amato e poi soprattutto il governo Ciampi avevano una forza e una credibilità, malgrado tangentopoli, che il governo Berlusconi neanche si immagina. Per questo credo che oggi la situazione sia peggiore. Nelle azioni del governo, ma nemmeno nelle proposte delle parti sociali, non si vede nulla di preciso. A cominciare da quella che dovrebbe essere la base di ogni ragionamento: una volta infatti che si dice che bisogna favorire la crescita - e vengono individuati settori di intervento come infrastrutture, opere pubbliche, reti materiali e immateriali - bisognerebbe immediatamente dopo, o addirittura un attimo prima, indicare dove si reperiscono le risorse necessarie per questi investimenti. Di ciò invece non si parla. Se il tutto si traduce in una generica intenzione di lotta all'evasione fiscale, è evidente che non si può essere credibili. In Europa si discute della creazione di Eurobond e della tassa sulle transazioni finanziarie, temi ignorati dal dibattito italiano.
Inserire il pareggio di bilancio nella Costituzione, come propongono governo e parti sociali, è coerente con obiettivi di sviluppo? Gli economisti insegnano che gli investimenti si fanno anche in "deficit spending", tanto li recuperi con la crescita.
Come dicevo prima, ci troviamo di fronte a una serie di "titoli", ma nessuno ha spiegato come realizzare gli obiettivi annunciati. E' facile immaginare che un avvicinamento anche cauto al merito di ogni singolo capitolo porterà a una divaricazione tra le stesse parti sociali. Sul fisco, ad esempio, la Cgil ha fatto una campagna per la patrimoniale. Faccio notare che nei testi di questo tema non c'è traccia, ma se verrà riproposto al tavolo, non credo che sarà ben accolto dalle associazioni imprenditoriali o dalle banche. Dunque siamo di fronte a un quadro confuso. Altra piccola considerazione: tutto ciò avviene mentre sta diventando operativa una legge finanziaria definita "macelleria sociale" persino dai commentatori più moderati. Degli effetti disastrosi di questa manovra in queste ore non si parla. Possono le parti sociali discutere di sviluppo prescindendo dagli effetti drammatici della manovra soprattutto sui più deboli, i poveri, le famiglie?
La Cgil ha espresso forti critiche alla manovra. Poi però si è fatta rappresentare dalla Marcegaglia al tavolo con il governo. Che effetto le ha fatto vedere sui giornali la foto della presidente di Confindustria che parla anche a nome dei sindacati?
Le critiche della Cgil alla manovra dovrebbero sfociare in iniziative di lotta molto diffuse e consistenti per arrivare allo sciopero generale. E' evidente che c'è un salto logico tra quelle critiche, il bisogno di mobilitazione per cambiare i contenuti più iniqui della manovra e la discussione alla quale la stessa Cgil partecipa. Una discussione che proseguirà a settembre su punti che evocano ulteriori provvedimenti destinati a colpire le fasce sociali già duramente penalizzate dal governo. E' difficile comprendere come si potrà discutere di ulteriori ridimensionamenti dello stato sociale e delle protezioni per milioni di persone e al contempo non dare uno sfogo rivendicativo e conflittuale alle esigenze di queste persone. C'è una contraddizione che la Cgil rischia di pagare pesantemente.
Susanna Camusso ha precisato che l'unico punto che la Cgil non condivide del documento delle parti sociali è quello sulle privatizzazioni. Ciò ha provocato malumori in Corso Italia, persino nella maggioranza che sostiene il segretario generale.
Le parti sociali avevano chiesto al governo discontinuità. Discontinuità che non c'è né nelle affermazioni del presidente del Consiglio e nemmeno nell'indicazione dei capitoli che il governo vorrebbe discutere con le parti sociali. Vedremo cosa succederà a settembre, quando la discussione entrerà più nel merito. Se le cose che il governo intende fare colpiscono ancora pensionati e lavoro dipendente, come può la Cgil assecondarle?
In questo caso, si fa sempre in tempo a tornare indietro...
Fermarsi non è mai impossibile, è chiaro che si rischia di pagare poi il prezzo delle proprie contraddizioni. Se la manovra presentata dal governo è stata giudicata negativa e lesiva delle condizioni materiali di tanta gente, è difficile poi rimuovere questo tema e cominciare una discussione che potrebbe addirittura produrre ulteriori danni per queste persone.

sabato 6 agosto 2011

Berlusconi cede alle parti sociali... tagli subito!


"Cedendo infine alle pressanti richieste delle parti sociali, Berlusconi e Tremonti hanno dovuto accellerare i tagli alla spesa sociale e lo smantellamento dello Statuto dei Lavoratori. Un grande successo per la segretaria della Cgil che ha firmato appelli e documenti con banche e padroni. La ringraziamo e le chiediamo di andarsene". 

Nota di Giorgio Cremaschi

venerdì 5 agosto 2011

Documento delle Parti Sociali inaccettabile. La CGIL sospenda gli incontri e convochi gli Organismi Dirigenti

Dichiarazione di Gianni Rinaldini,coordinatore nazionale La CGIL che Vogliamo

Il documento presentato dalle Parti Sociali al Governo è inaccettabile. 
Così come è inaudito che la Marcegaglia possa presentare delle proposte anche a nome e per conto delle Organizzazioni Sindacali:un’ umiliazione della CGIL e  un affronto alle lotte, agli scioperi ai sacrifici delle lavoratrici e dei lavoratori che hanno creduto nella CGIL.
Il pareggio di bilancio come obbligo Costituzionale in questo quadro europeo fondato sui vincoli monetari è una follia, in quanto contribuisce a determinare il massacro sociale nei confronti delle persone che noi dovremmo rappresentare.
Privatizzazioni, liberalizzazioni,modernizzazione del welfare, la Cassa Integrazione nel settore Pubblico e quindi l'accettazione del blocco dei Contratti Nazionali vogliono dire secca riduzione dei servizi e dell'universalità dei diritti.
Rendere strutturale la detassazione e la decontribuzione dei premi di risultato aziendali senza nulla dire sulla tassazione del lavoro dipendente e degli aumenti retributivi dei Contratti Nazionali che costituiscono la condizione minima per tutti i lavoratori, esprime una idea, una esplicita volontà punitiva sui più deboli, sul Contratto Nazionale, sulle fasce più povere della popolazione.
Parlare di oppressione fiscale sui contribuenti è semplicemente offensivo verso lavoratori dipendenti e pensionati che le tasse le hanno sempre pagate.
La CGIL mai, nella sua lunga storia, si è  sognata di sottoscrivere un documento nel quale non fosse visibile e riconosciuta la  valorizzazione della qualità e della dignità del lavoro, come asse fondante e decisivo per uscire dalla crisi e  costruire le condizioni della ripresa economica, produttiva e sociale.
Al contrario, nel documento si fa esplicito riferimento alla modernizzazione delle relazioni sindacali che non può che voler dire contrazione dei diritti del lavoro, riduzione del valore del Contratto nazionale come strumento universale di garanzia per tutti, cancellazione del diritto di sciopero.
La tesi di Governo, Associazioni datoriali,grandi manager di grandi gruppi, che all’origine della crisi della nostra economia ci sia la scarsa produttività del nostro lavoro pubblico e privato e che quindi la soluzione sia la riduzione dei suoi costi ha vinto a mani basse , per assenza di forti, convinte e coerenti posizioni di contrasto.
Si conferma anche in questo caso dopo l'accordo del 28 giugno, una gestione della CGIL come se fosse proprietà di 2 o 3 dirigenti, fuori e dentro la Segreteria, senza alcun coinvolgimento ed alcun mandato da parte dell'Organizzazione. 
Chiediamo pertanto la sospensione da parte della CGIL degli incontri previsti nelle prossime settimane e la convocazione degli Organismi dirigenti.
Dirigere in questo modo l'Organizzazione vuole dire mutarne geneticamente le sue caratteristiche democratiche.

Luciano Gallino: solo ricette suicide, anche in Cgil

La crisi che il paese sta attraversando è davvero grave, sotto ogni profilo, nel quadro della crisi che investe la Ue. Rilanciare la crescita è una strada necessaria ma ardua da trovare e da percorrere. Che in tale situazione il presidente Silvio Berlusconi si permetta prima battute quali l´invito a investire nelle sue aziende «che continuano a fare utili», poi assicuri che la situazione non può peggiorare, e spiattelli sul momento un piano anti-crisi in otto punti, vuoto di qualsiasi sostanza, offende l´intelligenza di tutti i cittadini italiani. Come uno può pensare sul serio di rilanciare la crescita mediante un ampliamento della libertà economica da inscrivere nella Costituzione, quasi che tale libertà non esistesse quando negli anni 60 il paese cresceva al tasso del 5-6 per cento l´anno? O di modernizzare il mercato del lavoro, quando alcuni milioni di lavoratori giovani e meno giovani hanno già sperimentato di persona che cosa ciò significa nell´età berlusconiana, se non precarietà, retribuzioni stagnanti da quindici anni, sindacati in difficoltà, diritti dei lavoratori in declino? 
Quando non siano battute offensive oppure trovate inimmaginabili, come modificare la Costituzione per rilanciare subito la crescita, gli otto punti del piano anti-crisi indicati dal presidente del Consiglio sembrano ripresi tal quali dalle vecchie ricette del Fondo monetario internazionale. Bisogna ridurre a ogni costo la spesa pubblica. Avviare un grande piano di privatizzazioni dei servizi pubblici. Modernizzare il sistema di welfare e le relazioni sindacali (cioè tagliare le prestazioni del primo e ridurre al minimo il potere dei sindacati). Sono ricette di destra, che la crisi iniziata nel 2007 ha contraddetto in ogni possibile modo, ma che il governo italiano e la maggior parte dei governi Ue, combinando ottusità, incompetenza e un tot di malafede, hanno ora ripreso come rimedi alla crisi, trasmessa dalle banche ai bilanci pubblici. 
Prima di indicare perché dette ricette sono suicide, sotto il profilo economico, politico e sociale, non si può far a meno di notare, con qualche preoccupazione, che le proposte avanzate dalle parti sociali contengono ricette del tutto analoghe. Il loro «drastico programma per rilanciare la crescita» chiede a sua volta di tagliare la spesa pubblica, lanciare un piano di privatizzazioni, modernizzare (rieccolo, il più minaccioso dei termini quando si parla di riforme) le relazioni sindacali e il mercato del lavoro. Che un tale piano sia stato redatto e sottoscritto da Confindustria è comprensibile. Che sia stato sottoscritto anche dalle confederazioni sindacali, tra cui nientemeno che la Cgil (anche se la segretaria Susanna Camusso ha detto di non essere del tutto d´accordo in tema di privatizzazioni), sta forse a indicare che la situazione è percepita di tale gravità da costringere tutti a non badare più all´identità del vicino nella scialuppa di salvataggio. Ma forse anche - e questo vale per tutta la Ue - che «gli dei fanno uscire di testa coloro che vogliono condurre a perdizione». 
Sia nel piano anti-crisi buttato lì dal presidente Berlusconi, sia nelle proposte delle parti sociali a lui presentate per rilanciare la ripresa, si avverte nel fondo un´idea scriteriata: che la spesa pubblica sia una passività che bisogna assolutamente ridurre allo scopo di far crescere l´economia. È un´idea che le due parti paiono condividere con la destra repubblicana in Usa, quella che ha appena voluto tagliare l´assistenza ai poveri ma non le tasse ai super-ricchi, perché così, osa sostenere, si crea occupazione. Che l´idea non stia in piedi lo dice perfino l´Onu, in un recente rapporto sulla situazione economica mondiale: «Molti governi, in specie nei paesi sviluppati, stanno orientandosi verso l´austerità di bilancio. Ciò inciderà negativamente sulla crescita economica globale durante il 2011 e il 2012». 
Ma nei due documenti in parola, oltre alle idee sballate, spiccano quelle che mancano. Non c´è in essi, ad esempio, una parola sul fatto che l´Italia non cresce perché i suoi investimenti in ricerca e sviluppo sono al fondo delle classifiche Ocse. E qui le imprese non possono puntare il dito contro lo stato, perché se è vero che questo ha contribuito alla povertà della R&S, sono esse che hanno chiuso o malamente ridimensionato i grandi centri di ricerca che l´industria italiana vantava negli anni 60 e 70, nel settore della chimica, della metallurgia, delle telcomunicazioni. Per tacere infine di un´assenza macroscopica, nei due documenti, del problema alla base della bassa crescita: la redistribuzione del reddito dal basso verso l´alto avvenuta negli ultimi decenni. Almeno 8-10 punti di Pil sono migrati in Italia (ma anche in altri paesi Ue) dai salari ai profitti e alle rendite. Se non si interviene su questo snodo fondamentale, cominciando almeno con il discuterne, di ripresa se ne riparlerà nel 22mo secolo.
Articolo pubblicato su La Repubblica, 5 agosto 2011

giovedì 4 agosto 2011

I 6 punti del disastro

Il documento comune delle parti sociali presentato a governo e opposizione 

Le parti sociali hanno presentato al Governo e alle opposizioni un documento, articolato in sei punti, per consolidare la stabilità dei conti pubblici e promuovere la crescita. 
Le parti sociali prendono atto dell'immediata disponibilita' del Governo e delle opposizioni a confrontarsi per affrontare le proposte presentate. In questo quadro, segnalano la necessita' che vi sia piena consapevolezza da parte di tutti della serieta' della situazione italiana. 
Di conseguenza, ribadiscono l'urgenza di attuare fin dai prossimi giorni i provvedimenti necessari per far rientrare le tensioni sui mercati
finanziari. 
Le parti sociali, nel proseguire il lavoro comune, si incontreranno nuovamente la prossima settimana, per un esame costante degli sviluppi della situazione economica e finanziaria.

ABI, ALLEANZA COOPERATIVE ITALIANE (CONFCOOPERATIVE, LEGA COOPERATIVE, AGCI), ANIA, CGIL, CIA, CISL, CLAAI, COLDIRETTI, CONFAGRICOLTURA, CONFAPI, CONFINDUSTRIA, RETEIMPRESE ITALIA (CONFCOMMERCIO, CONFARTIGIANATO, CNA, CASARTIGIANI, CONFESERCENTI), UGL, UIL

4 agosto 2011



PROPOSTE DELLE PARTI SOCIALI

La tempesta che stiamo attraversando è connessa a fragilità intrinseche di un'Unione Europea che è ancora carente sotto il profilo politico e degli assetti istituzionali. 
L'accordo raggiunto il 21 luglio scorso dal Consiglio europeo non è sufficiente. I mercati ci hanno detto che non basta.
Comprendiamo che è difficile convincere gli altri Paesi a fare di più, ma riteniamo che questo sia assolutamente necessario. 
Occorre, pertanto, promuovere da parte del Governo italiano un'immediata azione verso i governi e le istituzioni europee affinché l'Unione riprenda vigore e capacità d'iniziativa.
Questo contribuirebbe a ridurre la pressione sui titoli italiani. 
Il momento è grave. Va affrontato con la massima determinazione senza cercare scuse o scappatoie. Sappiamo tutti che la crisi ha in ampia misura origini internazionali. 
Ma spetta a noi e solo a noi italiani fare tutto il possibile per il nostro Paese. 
La politica di bilancio resta il cuore dei nostri problemi. Le turbolenze di questi giorni dimostrano senza alcun dubbio che i mercati non hanno fiducia nell'impegno dell'Italia a conseguire il pareggio di bilancio nel 2014. Evidentemente occorre fare di più.
L'eliminazione di ogni dubbio circa la solidità di lungo periodo dei nostri conti pubblici è un obbligo ineludibile di fronte al quale oggi ci troviamo.
Ma la solidità dei conti pubblici va accompagnata e rafforzata con misure per la crescita dell'economia. Sono anni che tutti noi chiediamo misure per la crescita. Sono anni che chiediamo meccanismi per sbloccare gli investimenti pubblici e privati. Sono anni che chiediamo di modernizzare la pubblica amministrazione per lasciare più spazio all'iniziativa imprenditoriale e al mercato e di ridurre i confini dello Stato. Sono anni che chiediamo misure vere di liberalizzazione per eliminare posizioni di rendita e restituire efficienza ai servizi. 
Ora siamo a un bivio. Occorre un drastico programma per rilanciare la crescita. Un programma da attuare subito. 
Per parte nostra, siamo pronti ad assumerci tutte le responsabilità che la situazione richiede. Ma è il governo che deve prendere in mano il timone della politica economica e assumersi l'onere e la responsabilità di farci uscire da questa situazione. 
Occorre un confronto continuo e serrato con le parti sociali ed anche con l'opposizione. Nei passaggi decisivi, come quelli che attraversiamo, le grandi scelte devono essere sostenute dalla larga corresponsabilità e condivisione delle forze politiche e sociali. Tali scelte devono consentire di imprimere all'Italia un nuovo slancio per l'orizzonte di più legislature.
La gravità del momento non consente pause. Noi siamo a disposizione nei prossimi giorni e nelle prossime settimane. Riteniamo che il Consiglio dei Ministri debba assumere decisioni rapidamente e sottoporle al Parlamento senza soluzioni di continuità. 
Non possiamo permetterci di rimanere fermi e in balia dei mercati fino a settembre. 
Il confronto non può esaurirsi in un incontro. Ma l'incontro di oggi non può esaurirsi in un avvio.
Da parte nostra indichiamo le priorità sulle quali operare immediatamente.

1. Pareggio di bilancio nel 2014. A questo obiettivo occorre dare credibilità. È questa una condizione essenziale per il ritorno alla normalità nei mercati finanziari.
Pareggio di bilancio come obbligo costituzionale. Era questo peraltro uno degli impegni assunti dal Governo nel PNR. Che fine ha fatto?
Per quanto riguarda la proposta di azzeramento del fabbisogno nell'ultima parte del 2011 osserviamo che questa rischia di scaricare maggiori oneri sul 2012. Noi, invece, riteniamo che si debbano prendere provvedimenti strutturali capaci di incidere sulle tendenze di fondo della spesa pubblica. Guardando alla struttura della spesa pubblica è evidente che non si può prescindere da interventi per aumentare la produttività del pubblico impiego e per modernizzare il sistema di welfare.

2. Costi della Politica. È un punto essenziale. Non è possibile chiedere sacrifici agli italiani senza contemporaneamente procedere a tagli effettivi e credibili a tali costi. 
Anticipare da subito le riduzioni contenute nella manovra. Non c'è bisogno di fare una Commissione per valutare i tagli da fare in relazione agli standard europei. Fare una commissione significa solo rinviare. 
Ridurre i costi delle assemblee elettive e degli organi dello Stato.
Abolire le Provincie. 
Accorpare o consorziare i piccoli comuni.

3. Liberalizzazioni e privatizzazioni. Occorre un grande piano di privatizzazioni e liberalizzazioni da avviare subito. 
Affrontare con decisione i temi essenziali della regolazione e dell'apertura dei mercati.
Intervenire nell'immediato su alcune delle situazioni critiche segnalate dall'Antitrust e procedere alla liberalizzazione delle professioni.
Avviare la dismissione e la valorizzazione del patrimonio pubblico, con un piano articolato negli anni. 
Incentivare gli enti locali a dismettere patrimoni immobiliari e società di servizi consentendo loro di utilizzarne i proventi per spese d'investimento superando gli attuali vincoli del Patto di Stabilità.

4. Sbloccare gli investimenti. Sbloccare con misure eccezionali le opere già finanziate con risorse pubbliche e private. Rimuovere gli ostacoli normativi alla realizzazione delle opere con particolare riguardo alla logistica e all'energia. 
Utilizzare, con il necessario cofinanziamento nazionale, i fondi europei per il Mezzogiorno a partire da quelli dell'anno in corso. Perdere questi fondi sarebbe inaccettabile. 
Modificare il titolo V della Costituzione per recuperare a livelli appropriati la strategia delle grandi reti ed evitare sovrapposizioni di competenze.

5. Semplificazioni e Pubblica Amministrazione. Approvare rapidamente i provvedimenti di semplificazione all'esame del Parlamento.
Non è più rinviabile la riforma strutturale della Pubblica Amministrazione che permetta un recupero di produttività e consenta di risolvere situazioni di crisi utilizzando strumenti analoghi a quelli del settore privato.
Accelerare l'utilizzo di nuove tecnologie nella PA, per accrescere la produttività e contrastare l'evasione anche potenziando la fatturazione elettronica e riducendo l'uso contante. 
Al tempo stesso vanno evitate misure di vera e propria oppressione fiscale nei confronti dei contribuenti.

6. Mercato del lavoro. Alla luce delle gravi difficoltà del Paese le parti sociali proseguiranno l'impegno per modernizzare le relazioni sindacali.

Vorremmo infine ricordare che, pur in una situazione difficilissima, le imprese e le banche italiane stanno dando un grande contributo all'economia del Paese. Sappiamo che le imprese devono crescere e recuperare produttività. 
Attuare un piano straordinario di lotta all'evasione fiscale e contributiva utilizzando i proventi per ridurre la pressione fiscale sulle imprese e sul lavoro.
Detassare in via strutturale i premi di risultato.
Incentivare la crescita dimensionale e la patrimonializzazione (ACE). 
Avviare un piano di riduzione progressiva dei pagamenti ritardati alle imprese in vista dell'applicazione della direttiva comunitaria.
Attuare politiche incisive volte alla promozione e difesa del made in Italy di qualità quale leva competitiva del Paese in grado di valorizzare il lavoro, il capitale e il territorio italiano, sfruttando il potenziale di penetrazione commerciale all'estero delle imprese italiane. 
Definire un piano energetico per la green economy con una visione al 2020, operando principalmente attraverso la fissazione di standard.
Sostenere i processi di ricerca e innovazione delle imprese cominciando con il rendere immediatamente operativo il credito d'imposta previsto dal DL Sviluppo.

Susanna Camusso sta portando la Cgil al disastro

Non mi risulta che la signora Emma Marcegaglia sia stata eletta segretaria generale della Cgil. Si potrebbe invece avere dei dubbi al riguardo vedendo che l’attuale segretaria generale, Susanna Camusso, ha firmato con la presidente della Confindustria e con tutte le altre parti sociali un documento che è estraneo totalmente ai principi e alle scelte della Cgil. La segretaria generale della Cgil è totalmente fuori da qualsiasi mandato della sua organizzazione e sta compromettendo una storia politica e sociale enorme. A settembre ci sarà una ribellione dentro e fuori la Cgil, contro un patto sociale che serve solo a sostenere il governo Berlusconi. Anche per questo abbiamo dato appuntamento il 1° ottobre a Roma, ma intanto la segretaria della Cgil dovrà rendere conto all'organizzazione del disastro verso cui si sta incamminando.
di Giorgio Cremaschi

Lotta dur con standard e pur? No grazie.

L’incontro tra Berlusconi e le parti sociali è una colossale bufala, perché tutto ciò che lo ispira si sta rivelando pura aria fritta. Il Presidente del Consiglio, alla Camera, ha spiegato che la crisi è dovuta solo a eventi internazionali, con i quali il governo non c’entra nulla e che l’unica cosa seria che si può fare è andare avanti con lo spirito di unità nazionale, con il confronto con le parti sociali e con la distruzione dello Statuto dei lavoratori. L’opposizione ha dato un chiaro esempio del suo stato confusionale, chiarendo che non è in grado di andare oltre la pur sacrosanta richiesta delle dimissioni del Presidente del Consiglio. In questo contesto l’appello delle parti sociali, riecheggiato sugli articoli di fondo dei principali giornali italiani, si rivela anch’esso come parte e non soluzione della crisi. 
Ancora una volta tutto il palazzo si orienta a chiedere sacrifici, come nel ’92, senza avere il coraggio di annunciare una sola misura che affronti davvero il tema della speculazione finanziaria e della crisi del debito. Discontinuità per la crescita, che vuol dire? Ognuno dei firmatari dell’appello ha, una ricetta diversa. E non può che essere così, visto che se non vuole suicidarsi, la Cgil dovrà chiedere che la crisi la paghino i ricchi e la finanza, mentre le banche e la Confindustria pretenderanno che la paghino tutta i lavoratori e i pensionati. Vedendo il dibattito di ieri alla Camera si capisce perché, nonostante i suoi fallimenti, Berlusconi resti lì. Perché l’alternativa al suo governo oggi sprofonda in una montagna di chiacchiere e intenzioni confuse.
D’altra parte l’attacco della speculazione all’Italia avviene sull’onda del massacro sociale in corso in Grecia. E’ evidente, allora, che un furbone come Berlusconi può anche sostenere, insieme a Tremonti, che tra coloro che lo vogliono scalzare ci sono anche quelle forze economiche che pensano che sinora il governo sia stato troppo buono, troppo poco feroce. Guardacaso, l’amministratore delegato della Fiat, Marchionne, ha attaccato il Presidente del Consiglio proprio ora. Fino a che non si chiarirà che l’alternativa alla destra non è un governo delle banche e della finanza, che smantella lo stato sociale usando l’unità nazionale per non avere contestazioni, fino a che non comparirà una vera alternativa sociale e politica a questo governo, la crisi politica italiana continuerà a degradare e con essa quella economica e sociale.
Non è un caso che un economista liberista tanto amato dalla sinistra, Francesco Giavazzi, si sia improvvisamente innamorato di Berlusconi. Può succedere, se l’unica cosa che si ha da proporre al governo è tagliare i salari, privatizzare, liberalizzare. 
Non sarà l’alleanza tra opposizioni e speculazione finanziaria che manderà via questo governo e i suoi disastri, ma solo la rottura con la speculazione internazionale e con i poteri economici che la guidano.
Lotta dur con standard e pur? No grazie. 
di Giorgio Cremaschi