venerdì 8 aprile 2011

Incidenti lavoro: CGIL e IRES, un morto su tre è giovane sotto 35 anni


Secondo un'anticipazione della ricerca IRES CGIL che si inserisce negli approfondimenti del sindacato per promuovere le ragioni dello sciopero generale del 6 maggio, i giovani hanno il tasso infortunistico più elevato. Dal 2005 al 2009, sono stati 44.478 i lavoratori sotto i 35 anni che hanno subito un danno permanente a causa di un incidente sul lavoro » Anticipazione della ricerca sulle condizioni di lavoro dei giovani

Sfruttati e malpagati, in gran parte disoccupati e senza futuro, eppure per i giovani non è tutto. Quelli che lavorano corrono spesso gravi rischi per la loro vita e la loro salute. Secondo una ricerca condotta dall’IRES sulle condizioni di lavoro dei giovani (finanziata dal Ministero del Lavoro e a breve pubblicata dalla casa editrice Ediesse), nel corso del 2009 un infortunio sul lavoro su tre ha coinvolto un lavoratore sotto i 35 anni (secondo dati Inail ne sono stati registrati 262.233 su 790.112) così come un morto sul lavoro su tre (295 su un totale 1.050 vittime) è un giovane.
Nel rapporto dell’istituto di ricerca della CGIL, che si inserisce negli approfondimenti del sindacato per promuovere le ragioni dello sciopero generale del 6 maggio, si rileva come in cinque anni, dal 2005 al 2009, sono stati 44.478 i lavoratori sotto i 35 anni che hanno subito un danno permanente a causa di un incidente sul lavoro, un’invalidità che li segnerà per il resto della loro vita. E proprio i giovani hanno il tasso infortunistico più elevato: secondo le elaborazioni IRES si registrano 5,06 infortuni ogni 100 occupati per chi ha fino a 34 anni e 3,72 infortuni ogni 100 occupati per chi ha più di 34 anni.
Sono dati che forniscono una prospettiva diversa della condizione dei giovani e offrono una motivazione in più per scendere in piazza sabato 9 aprile nelle manifestazioni promosse dal comitato “Il nostro tempo è adesso - La vita non aspetta”. I giovani, infatti, “oltre a dover subire le difficoltà occupazionali e la dequalificazione all’interno dei processi produttivi, vivono anche il dramma poco rilevato delle difficili condizioni di lavoro”, si legge nel rapporto. Condizioni che hanno un impatto negativo sul loro stato di salute, comportando un malessere fisico e psicologico. Difatti, oltre a condurre un’analisi delle statistiche ufficiali, l’IRES ha intervistato mille lavoratori sotto i 35 anni, di diversa tipologia professionale e contrattuale, su tutto il territorio nazionale, tramite un questionario telefonico per far emergere il vissuto reale dei giovani al lavoro.

Fatica e rischio, smascherata retorica di generazione che fugge da lavoro
La ricerca dell'istituto dimostra che “la dura realtà del lavoro per i giovani è la ragione principale della loro elevata esposizione ai fattori di rischio”. Osservando il carico da lavoro dal punto di vista fisico, dalle interviste emerge che molti giovani lavorano sotto sforzo e in situazioni di rischio. “Un dato utile - denuncia l’IRES - anche per smascherare la retorica di una generazione che fugge dal lavoro di fatica”: più di un giovane lavoratore su tre solleva carichi pesanti o fa degli sforzi fisici considerevoli (35,2%) e quasi un giovane lavoratore su cinque ammette di lavorare in condizioni di effettivo pericolo (17,8%). Considerando il carico di lavoro dal punto di vista organizzativo, emerge l’elevata intensità dei ritmi di lavoro che caratterizza sia le mansioni operaie che quelle concettuali: circa due lavoratori su tre hanno un ritmo di lavoro eccessivo (60,5%); la metà del campione lavora con scadenze rigide e strette (il 48%) e non ha abbastanza tempo per svolgere il lavoro (47,5%).
I risultati rilevano anche il ridotto margine di autonomia dei giovani, “nonostante un aumento dei contratti a progetto che invece promettevano di garantirlo”. Due lavoratori su tre non possono scegliere o cambiare i metodi di lavoro (64,2%) e questa costrizione è più forte, paradossalmente, per chi ha un contratto di collaborazione occasionale o a progetto (per il 65,7% di loro) piuttosto che per chi ha un tempo indeterminato (55,4%) svelando come la flessibilità favorisca più la subordinazione che l’autodeterminazione. Del resto, più della metà dei collaboratori non può nemmeno cambiare la velocità con cui svolge il lavoro (55,6%) o scegliere con una certa libertà i turni di lavoro (54,7%) e nemmeno decidere quando prendere i giorni di ferie (57%), due su tre non possono cambiare i metodi di lavoro (65,7%) e nemmeno cambiare l’ordine dei compiti assegnati (70,7%), uno su cinque non può nemmeno prendere una pausa quando ne ha bisogno (20,6%). Dunque, in molti casi, la precarietà si traduce in un vero e proprio sfruttamento. Nel complesso, un lavoratore su quattro non può prendere una pausa quando ritiene di averne bisogno (il 24,8%) e ben più di un lavoratore su tre sostiene di svolgere il lavoro che spetterebbe ad altri (il 41,7%).
Considerando l’espressione delle capacità individuali, la ricerca osserva che i giovani sono scarsamente valorizzati: un lavoratore su cinque dichiara che i meriti e le competenze sono poco o per nulla considerate nel posto in cui lavora (21,2%) e solo il 14,9% sta in un posto che utilizza al meglio le sue capacità. Dentro un presente difficile per molti, anche le prospettive del futuro tendono ad essere nere: per quasi due lavoratori su tre non c’è nessuna possibilità di carriera nel posto in cui lavora (58,2%) e per molti aleggia lo spettro del licenziamento (uno su tre, il 35,4%, è preoccupato di perdere il posto di lavoro).

Questione generazionale riguarda anche reali condizioni lavoro
Questi risultati spingono a riflettere sulla reale situazione del mondo del lavoro giovanile. Nel rapporto si legge: “Da un lato c’è il ricatto occupazionale provocato da una disoccupazione crescente, ormai al 30%, a cui è da aggiungere la forte presenza di lavoro irregolare, un fattore rilevante se consideriamo che dei nostri intervistati il 40% dichiara di avere lavorato senza contratto almeno una volta nella vita. Dall’altro lato, quello ‘fortunato’, di chi ha un lavoro con un contratto, ci sono tanti giovani più o meno qualificati che operano spesso in condizioni di fatica e di pericolo”.
Le difficili condizioni di lavoro emerse, secondo l’IRES, “si traducono in difficili condizioni di salute, tanto da provocare malesseri fisici e psicologici che caratterizzano una parte rilevante delle nuove generazioni”, osserva il rapporto mettendo in risalto che tra i molti problemi di salute rilevati si osserva che quasi un lavoratore su tre soffre di mal di schiena (30,4%) e un lavoratore su tre soffre di stress, depressione, ansia o ha problemi di insonnia (34,4%) a causa del proprio lavoro. La ricerca mostra, inoltre, che la questione generazionale non riguarda solamente il problema noto dell’accesso al lavoro ma anche l’altra faccia della medaglia: le condizioni reali nelle quali il lavoro è svolto.
La sofferenza sul lavoro, si rileva, “è un elemento drammaticamente presente in molte biografie giovanili ed il lavoro è troppo spesso un vettore di sfruttamento piuttosto che uno strumento capace di favorire la tutela, l’emancipazione individuale e la promozione sociale”. Più in generale, l’analisi della condizione giovanile aiuta a comprendere non solo le specificità di una precisa classe generazionale ma anche “le tendenze generali dell’epoca contemporanea, che comportano delle nuove sfide per affermare la dignità dei lavoratori”. Per questo, conclude la ricerca IRES, “è urgente capire come costruire un modello di sviluppo efficace e coerente, che miri ad elevare la qualità complessiva dei processi di lavoro italiani, per coniugare la competitività delle aziende con il benessere dei lavoratori”.

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