lunedì 21 marzo 2011

La Piaggio non si piega al «modello Colaninno»

Lettera aperta ai movimenti, ai sindacati e a chi si riconosce nel percorso di «Uniti contro la crisi» 
 
In queste settimane i lavoratori della Piaggio stanno resistendo ad un pesante attacco alle loro condizioni di lavoro. A provocarlo non è la crisi, ma l’ultimo diktat emesso da Roberto Colaninno. La più grande azienda italiana delle due ruote gode, infatti, di ottima salute: neanche un mese fa ha annunciato una crescita sul mercato italiano di 2,7 punti rispetto al febbraio 2010 e un aumento degli utili lordi di 9,7 milioni di euro rispetto al 2009.
Ma la crisi offre un alibi imperdibile a chi vuole ristrutturare la fabbrica. E così, agitando lo spettro di nuove delocalizzazioni, Colaninno ha deciso di ricorrere alla «mobilità volontaria» per circa 300 operai e 100 impiegati, subordinando a questa procedura e all'andamento del mercato, le stabilizzazioni di altri 262 lavoratori già previste dal precedente accordo del 2009. Risultato immediato: un calo netto degli occupati del 10% e un conseguente aumento dei ritmi di lavoro, già insostenibili, per i restanti lavoratori. Il tutto in assenza di un piano industriale e di garanzie per l'occupazione, e con un ricorso abusivo alle risorse pubbliche messe a disposizione dall’Inps per la mobilità, ma destinate a reali situazioni di crisi.
Noi stiamo coi lavoratori della Piaggio che in assemblea si sono espressi contro l’accordo e l’uso distorto del referendum, e con quelle RSU della FIOM che coerentemente li sostengono. Ma parole chiare devono venire anche da tutti i movimenti, i sindacati e i soggetti politici che in questi anni si sono uniti contro la gestione autoritaria e capitalista della crisi, per difendere la democrazia, i diritti, i beni comuni. Alla Piaggio i diritti di sciopero e di rappresentanza sindacale non sono in discussione, ma questo non cambia il fatto che siamo di fronte ad una precisa strategia di riduzione dell’occupazione e di intensificazione dello sfruttamento. Colpisce molto che i vertici della FIOM provinciale, regionale e nazionale non lo comprendano: com’è possibile al tempo stesso considerare positivo l’accordo e non sottoscriverlo, salvo rinviare la firma al risultato di un referendum che rischia di assomigliare a quelli, assai poco democratici, voluti dalle aziende quando l’esito è scontato?
Alla Piaggio si gioca una battaglia che riguarda tutti, perché in Toscana si sta sperimentando un «modello Colaninno» generalizzabile ad altri contesti. Con l’avallo del Partito Democratico, si fa strada un nuovo patto sociale che, invocando il senso di responsabilità dei lavoratori e mettendoli in concorrenza con gli operai dell’estremo oriente, fa crescere gli utili a spese dell’occupazione e delle condizioni di lavoro, nonché a spese dei contribuenti che pagano la mobilità. Il rinvio delle stabilizzazioni, unito alle dichiarazioni di Colaninno sul superamento del contratto a tempo indeterminato e sulla necessità che si lavori sabato e domenica, costituisce un evidente salto di qualità nella mercificazione della forza lavoro, a cui opporre resistenza.
Che in Piaggio la FIOM non faccia proprio l’orientamento dei lavoratori e della maggioranza delle proprie RSU, e in alcuni casi le metta sotto forti pressioni, appare come un passo indietro rispetto alle mobilitazioni di Pomigliano e Mirafiori. Noi siamo nati anche nel vivo di quelle mobilitazioni e nella grande piazza del 16 ottobre. Se vogliamo davvero generalizzare lo sciopero generale del 6 maggio abbiamo bisogno di unire tutte le forze, per bloccare il paese e invertirne finalmente la rotta. Ma questa rotta si inverte solo mettendo in discussione anche il «modello Colaninno».

Coordinamento Uniti contro la crisi Pisa

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