sabato 29 gennaio 2011

All’Assemblea nazionale proporremo l’avvio di una campagna straordinaria di discussione nelle aziende per decidere come proseguire la mobilitazione per il Contratto nazionale, i diritti e la democrazia

“Oggi centinaia di migliaia di lavoratrici e lavoratori metalmeccanici, quelli iscritti e non iscritti alla Fiom, sono con noi in questa come nelle altre piazze d’Italia.” Maurizio Landini, Segretario generale della Fiom-Cgil, ha iniziato così il suo intervento a Milano, guardando una Piazza del Duomo gremita a conclusione del lungo corteo partito da Porta Venezia. 
“E’ il segno - ha affermato Landini - che la maggioranza dei lavoratori non solo rifiuta il modello autoritario di Marchionne, Federmeccanica e Confindustria, ma lotta per cambiare questo paese ingiusto. E’ il segno che abbiamo ragione e anche la forza per modificare il presente e costruire il futuro. Non ci fermeremo, continueremo fabbrica per fabbrica, azienda per azienda a lottare per riconquistare il Contratto nazionale, difendere i diritti e la democrazia.” 
“Noi - ha proseguito Landini - diciamo no alla ‘modernità’ di chi vuole i lavoratori l’uno contro l’altro in nome della competizione. Sviluppo non è riduzione dei diritti, non è negazione della democrazia, ma innovazione, ricerca, intervento pubblico. A chi, nel mondo politico e non solo, ci ha spiegato cosa avrebbe fatto se fosse stato un operaio di Pomigliano o di Mirafiori, diciamo: provate a immedesimarvi tutti i giorni con chi produce la ricchezza di questo paese e cominciate ad occuparvi seriamente di lavoro. In questa piazza non ci sono solo i metalmeccanici, ci sono lavoratori di altre categorie, ci sono i giovani, gli studenti che si stanno battendo perché anche il sapere, come il lavoro è un bene comune.” 
“Il rapporto che in questi mesi abbiamo costruito è l’elemento di novità ed è prezioso, perché le questioni che stiamo ponendo sono questioni generali, di tutti. E allora – ha concluso Landini tra gli applausi - abbiamo bisogno di unificare le lotte, di mettere in campo lo sciopero generale di tutti i lavoratori e solo la Fiom e la Cgil lo possono fare. Sappiamo perfettamente che non è facile da costruire, che non sufficiente, ma lo dobbiamo fare. I lavoratori sono pronti a battersi. Va bene partecipare, ma ci sono momenti in cui bisogna avere il coraggio di osare, di agire, perché se non lo fai, di sicuro hai già perso. E noi, questa battaglia la vogliamo e la possiamo vincere.” 
“All’assemblea nazionale della Fiom - ha infine detto Landini -, assemblea che si terrà dal 3 al 4 febbraio a Cervia, proporremo l’avvio di una campagna straordinaria di discussione nelle aziende per decidere con le lavoratrici e con i lavoratori come proseguire nella mobilitazione per il Contratto nazionale, i diritti e la democrazia.”

giovedì 27 gennaio 2011

Giorgio Cremaschi - Uno sciopero generale costituente

La splendida manifestazione di Bologna ha già annunciato che quella di oggi sarà una grande giornata. In tutte le regioni d'Italia scenderanno in sciopero e in piazza i metalmeccanici e con essi lavoratrici e lavoratori di tutte le altre categorie, studenti, centri sociali, cittadini e cittadine che vogliono difendere la democrazia.
E' lo sciopero dei metalmeccanici, ma è anche una giornata di lotta che parla a tutto il mondo del lavoro. Che ha già cominciato a rispondere. Voglio qui ricordare, e so di far torto ai tanti che trascuro, le Rsu della Margheritelli di Perugia, contratto del legno, quelle della Boglioli di Brescia, tessili, quelle delle università di Torino, i lavoratori del commercio, dei trasporti privati di Trento, e tante e tanti altri, lavoratrici e lavoratori che domani daranno i primi segnali di uno sciopero generale che coinvolga tutte le categorie. Lo stesso faranno le lavoratrici e i lavoratori che sciopereranno con i Cobas, l'Usb, la Cub, il sindacalismo di base, che hanno scelto con intelligenza di far propria la giornata di lotta della Fiom senza primogeniture di date o di sigle. Questo grande movimento di lotta ha un preciso punto di avvio. Quando nel giugno dell'anno scorso, a Pomigliano, la Fiom prima e poi oltre il 40% degli operai dissero "no" al primo dei tanti ricatti messi in piedi da Marchionne, forse non era ancora chiara la portata costituente di quel rifiuto. Eppure così è stato. Da allora le relazioni sociali, i conflitti, le istituzioni e la democrazia, si sono sempre più ridefinite sul modello proposto da Marchionne e sull'opposizione ad esso. Sin dall'inizio era chiaro che quello dell'amministratore delegato della Fiat non era semplicemente un modello produttivo particolarmente feroce e ingiusto, ma un progetto reazionario per tutta la società italiana. Il primo sostegno entusiasta alla Fiat è venuto dalla ministra dell'istruzione. Mariastella Gelmini subito dichiarò che le sue riforme scolastiche si ispiravano al modello di Marchionne. E' proprio così. L'amministratore delegato della Fiat ha messo in moto la sua macchina distruttrice dei diritti e della democrazia sulla strada asfaltata da anni di governi di Berlusconi e di cedimenti della sinistra moderata al liberismo estremo.
Con la crisi, invece che provare a cambiare qualcosa nel modello liberista che l'ha prodotta, le classi dirigenti, i ricchi, la casta dei manager e la grande borghesia hanno scelto una linea di pura regressione sociale. Fabbrica per fabbrica, territorio per territorio, scuola per scuola ci si propone la cura della Grecia: pagare tutto noi perché loro possano conservare tutto. Così Marchionne ha interpretato lo spirito generale della casta dei padroni e lo ha trasformato in ideologia combattente. Gli operai sono ricomparsi sulla scena dell'informazione per subire l'accusa di essere i veri artefici della crisi. Con il loro contratto nazionale, il loro assenteismo, i loro scioperi e la mancanza di voglia di lavorare. Questa offensiva reazionaria ha conquistato gran parte della stampa e dell'informazione e la maggioranza dell'opposizione a Berlusconi. Il quale, nonostante il precipitare della sua crisi personale, si è visto così confermare la sua politica e la sua ideologia. Marchionne ha preso il posto di Berlusconi, è diventato la nuova bandiera del liberismo e dell'attacco ai diritti. La Lega Nord, che per anni ha chiesto i voti agli operai contro Roma ladrona e contro le grandi imprese multinazionali e la Fiat, è diventata il cane da guardia di Marchionne.
Di fronte alla forza e all'arroganza di questa offensiva si poteva temere un crollo della nostra democrazia e invece il no della Fiom di Pomigliano è diventato costituente di una sempre più grande opposizione sociale, culturale, morale. La notte in cui si sono scrutinate le schede di Mirafiori mezza Italia è rimasta sveglia, per seguire quel voto con più passione che se fossero state elezioni politiche generali ed in fondo era così. Con quel referendum ricatto, si imponeva ai lavoratori la rinuncia a tutto, ma si dava anche spazio a tutti coloro che volevano tirare su la testa. E così gli operai di Mirafiori in 2300 hanno detto no per conto di milioni di persone che non ne possono più e vogliono lottare. Gli operai di Mirafiori hanno detto no per conto e assieme a tutte le lavoratrici e i lavoratori che vogliono difendere le loro libertà, il contratto nazionale, lo stato sociale. Hanno detto no assieme agli studenti, che peraltro hanno subito sentito la vicinanza della loro lotta a quella dei metalmeccanici. Hanno detto no assieme a milioni di lavoratrici e lavoratori precari che hanno capito l'imbroglio di chi, anche a sinistra, spiegava che i loro guai venivano dai privilegi degli operai. Hanno detto no assieme ai migranti che lottano contro l'apartheid e le persecuzioni della legge Bossi-Fini. Hanno detto no assieme a tutti quei movimenti che sull'ambiente, sui beni comuni, sulla democrazia e i diritti, lottano contro l'arroganza del potere e le privatizzazioni.
Il no della Fiom è diventato uno spartiacque sociale e politico: chi sta con Marchionne sta di là, chi sta contro Marchionne sta di qua. Così si è messo in moto un processo unitario di massa, che certo esclude i dirigenti complici di Cisl e Uil, quei sindaci e politici della sinistra che hanno perso l'anima schierandosi con Marchionne, quel mondo dell'informazione che sbatte i tacchi appena arrivano le veline dell'amministratore delegato della Fiat. Ora si tratta di andare avanti. Bisogna chiedere con forza e ottenere dalla Cgil lo sciopero generale. Bisogna costruire un movimento in grado di durare e sconfiggere il modello sociale di Marchionne. Bisogna ricostruire una politica democratica che porti a un altro modello di sviluppo e che affermi finalmente eguaglianza e giustizia sociale. Per questo chi è in piazza oggi ha bisogno anche di ricostruire gli strumenti e i canali della propria rappresentanza. C'è un palazzo che ha ceduto armi e bagagli alla prepotenza delle multinazionali e del regime dei padroni, ma c'è un'opposizione sociale che cresce e produce impegno e cultura. Lo sciopero di oggi è dunque costituente di un grande movimento unitario e di nuove identità politiche. In pochi mesi si è rimessa in moto l'Italia, adesso bisogna andare avanti.

Bologna: Nota di Giorgio Cremaschi

“Deludente l’intervento di Susanna Camusso, non si può continuare a far finta di niente di fronte alla richiesta di massa di sciopero generale” - dichiarazione"L’intervento della Segretaria generale della Cgil, nella eccezionale manifestazione di Bologna, è stato assolutamente deludente. Di fronte a una piazza che era unita nel reclamare lo sciopero generale, la Segretaria generale della Cgil ha ostentatamente ignorato la parola.
C’è da chiedersi dove voglia andare la Segreteria della Cgil, in un momento in cui la grande maggioranza dei lavoratori e sicuramente degli iscritti all’organizzazione, chiede e vuole lo sciopero generale. E’ evidente che le cose non vanno e che subito dopo lo sciopero dei metalmeccanici si deve aprire un confronto vero nella confederazione.
Non è più accettabile il minimalismo e l’assenza di iniziativa vera di fronte alla gravità dell’attacco ai diritti e alla libertà dei lavoratori, e con la disponibilità alla mobilitazione che c’è, non solo nelle fabbriche, ma tra i giovani e gli studenti. Non si può continuare a far finta di niente di fronte a una richiesta così diffusa e convinta di sciopero generale.

sabato 15 gennaio 2011

FIAT: Camusso, bocciato modello autoritario, serve consenso

All'indomani del referendum di Mirafiori il Segretario Generale CGIL, nel corso del Direttivo Nazionale, ha affermato “ora subito accordo pattizio su regole democrazia e rappresentanza”.

“Il voto di Mirafiori, per il quale Rsu e iscritti FIOM si sono spesi, dimostra che non c'è la possibilità di governare la fabbrica senza il consenso dei lavoratori e quindi nega il ritorno del modello autoritario delle fabbriche-caserme. Sappiano Marchionne e Confindustria che così non si governa. Si tratta di un voto che conferma l'esigenza di definire regole di rappresentanza e democrazia per tutti”. Lo ha dichiarato questa mattina il Segretario Generale della CGIL, Susanna Camusso, in un passaggio della sua relazione introduttiva al Direttivo Nazionale convocato a Roma per discutere la proposta della Confederazione su democrazia e rappresentanza, all'indomani del voto di Mirafiori.Analizzando nel dettaglio il voto espresso dai lavoratori dello stabilimento torinese, Susanna Camusso ha spiegato che “tra gli operai direttamente interessati alla produzione è prevalso il no”. Il totale dei voti contrari all'accordo firmato da tutti i sindacati, ad eccezione della FIOM, si è attestato su 2.307 no. “Siccome la FIOM a Mirafiori ha circa 600 iscritti - ha affermato Camusso -, e ha ottenuto oltre 900 voti all'ultima elezione delle Rsu, l'area dei voti contrari è molto più vasta, una rappresentanza che va molto oltre”.Il Segretario Generale della CGIL, anche alla luce di questo risultato a Mirafiori, ha detto che “l'obiettivo è raggiungere un accordo con gli altri sindacati e le associazioni di impresa sulle regole della rappresentanza e sulla democrazia. L'accordo pattizio dovrà essere la base di una legge che abbia valenza 'erga omnes'”. Rivolgendosi al mondo politico, il Segretario Generale, a proposito della legge sulla rappresentanza, ha invitato ad “una coerenza con le scelte assunte dalle parti sociali”. La CGIL chiede quindi un sostegno diretto alla sua proposta che possa finalmente dare attuazione all'articolo 39 della Costituzione sui temi della rappresentatività e della rappresentanza. Su questo punto, Camusso ha annunciato che “da oggi partirà una grande campagna nazionale per la democrazia” e ha invitato tutta la CGIL “a mobilitarsi per avere la piena riuscita dello Sciopero Generale dei metalmeccanici promosso dalla FIOM per il 28 gennaio”.Rivolgendosi al Segretario Generale della CISL, Raffaele Bonanni, il leader di Corso d'Italia ha detto che “la CGIL è sempre stata d'accordo con il concetto di pluralismo sindacale. Ma il pluralismo va riconosciuto sempre, ed è in contraddizione con gli accordi ad excludendum”. Per quanto riguarda la proposta organica sulla rappresentanza e sulla democrazia, “la CGIL si misura attraverso novità con quanto è successo a partire dallo strappo sulle regole del modello contrattuale del 2009. Per questo – ha spiegato – ci esercitiamo sulla funzione del mandato e dell'allargamento della coalizione per non lavorare nella logica dell'esclusione, insieme al tema della libertà dei lavoratori di scegliere ed eleggere i loro rappresentanti attraverso la generalizzazione del voto delle Rsu”. Questi i contenuti della proposta sui temi della rappresentanza e della democrazia su cui si dovrà esprimere in serata il direttivo. “Ma - ha concluso il Segretario Generale - il tempo della discussione è finito. Il tempo della decisione è oggi”.

Fiat: Landini (Fiom), è un risultato straordinario, un atto di saggezza riaprire la trattativa

"Quello di Mirafiori è un risultato straordinario e inaspettato. Ringraziamo tutti i lavoratori e le lavoratrici che, anche sotto ricatto, hanno difeso la loro dignità e quella di tutti i lavoratori italiani."
"Alla luce di questo risultato, sarebbe un atto di saggezza da parte di Fiat riaprire una trattativa vera, perché le fabbriche, per funzionare, hanno bisogno del consenso dei lavoratori, ed è evidente che l'Azienda non ce l'ha. Il sindacato e i lavoratori vogliono l'investimento, ma vogliono anche continuare ad avere diritti e dignità." Se c'è un sindacato che, con questo voto, dimostra di essere rappresentativo è la Fiom. Ci si dovrebbe chiedere come si fa a governare le fabbriche senza consenso. La Fiom non rinuncerà ad essere in quella fabbrica''.

La maggioranza degli operai ha votato NO!

Nota di Giorgio Cremaschi - A Mirafiori la maggioranza degli operai e delle operaie ha detto NO! E' un atto di coraggio eccezionale e una colossale sconfitta politica e morale per Marchionne e i suoi sostenitori. E' chiaro a tutti che c'è la forza per andare avanti e rovesciare questo sciagurato accordo della vergogna. Ora tutti in piazza il 28 gennaio!

Fiat, il sì vince il referendum su Mirafiori con il 54%

Passa l'accordo siglato senza Fiom con 2.736 voti pari al 54,1%. I no si fermano a 2.325 pari al 45,9%. Decisivo il seggio 5, quello dei 449 impiegati



Con il 54% ha vinto il sì - L'accordo sul rilancio dello stabilimento di Mirafiori è stato approvato con il 54% dei sì. L'accordo era stato firmato da Fim, Uilm, Fismic e Ugl mentre non hanno firmato l'intesa la Fiom e i Cobas.Hanno votato in 5.060 al referendum su Mirafiori, su 5.431 aventi diritto. Le schede nulle sono state 59, i sì pari al 54,05% (2.735 voti), i no al 45,9% (2.325). L'affluenza è stata del 94,2%. Questi i dati forniti dalla Commissione elettorale.La notte più lunga di Mirafiori - Ha vinto il sì, dunque. Ma la notte più lunga di Mirafiori, quella del referendum sul piano-Marchionne, è stata un vero e proprio testa a testa.Come in una lunga, estenuante partita di poker, i seggi sono stati 'spillati' uno ad uno. A decidere, a mettere a segno l'allungo decisivo per il sì, è stato il seggio 5, quello dei 449 impiegati. Prima, nel count down iniziato con il seggio 9, il no era riuscito non solo a resiste, ma addirittura a segnare un certo vantaggio: i reparti del montaggio, roccaforti della Fiom, avevano risposto.Al voto, iniziato col turno delle 22.00 di giovedì, hanno partecipato 5.119 lavoratori, oltre il 94,2% degli aventi diritto.Un'affluenza record che la dice lunga su quanto il referendum fosse sentito dal 'popolo' di Mirafiori. Il cancello 'due', simbolo di questa 2 giorni di passione per lo stabilimento storico della Fiat, è stato affollato tutta la notte da operai, militanti sindacali degli opposti schieramenti, ex dipendenti, giornalisti, fotografi e troupe televisive. "Il clima in fabbrica è tranquillo e disteso - ha detto uno degli operai più anziani uscendo dal turno cominciato al pomeriggio di venerdì - e il voto si è svolto con lunghe code, ma in tranquillità". Ma nessuno, uscendo dalla fabbrica, aveva molta voglia di parlare.Il fronte del no ha retto per i primi 4 seggi: il 9, primo del montaggio; l'8, quello della 'riconta'; e il 7 e il 6, sempre del montaggio. Poi il sorpasso del sì, con un plebiscito dei colletti bianchi a favore del piano: 421 voti a favore e solo 20 contrari. In altalena, con lieve predominanza dei sì, lo spoglio dei seggi restanti. Fino all'ultimo, che ha segnato la vittoria ai punti: impossibile per il fronte del no recuperare lo svantaggio. Ma lo scarto, nel voto operaio, è stato solo di 9 punti.Nella lunga nottata di Mirafiori (dove alcuni militanti del no a volto coperto hanno bruciato bandiere dello schieramento avverso) non è mancato nemmeno un piccolo 'giallo', che ha coinvolto il seggio 8, dove la scomparsa di 58 schede ha costretto la commissione elettorale e congelare prima e ricalcolare poi il voto. Anche la fase finale dello spoglio, a vittoria del sì già acquisita, ha avuto attimi di confusione: l'esultanza rumorosa di un membro Fismic della commissione, ha causato infatti una lite con tanto di spintoni. Un rappresentante Fiom ha avuto un malore si e' dovuto chiamare una ambulanza per soccorrerlo.Poi, alle 6.00 di questa mattina, proprio mentre gli operai del turno di notte lasciavano lo stabilimento, che oggi non vedrà nessuno al lavoro, l'esito finale: vittoria del sì.


fonte:http://tg24.sky.it/tg24

mercoledì 12 gennaio 2011

Da questa mattina, la Fiat sta facendo le sue assemblee e dice che il testo fin qui conosciuto non è l’ultima versione dell’accordo. Su cosa si voterà nel referendum?

Giorgio Airaudo, segretario nazionale e responsabile auto della Fiom-Cgil, ha rilasciato in mattinata la seguente dichiarazione.

 

“Da questa mattina, alle Carrozzerie di Mirafiori, si sta verificando un fenomeno singolarissimo. La produzione viene fermata dall’Azienda e gruppi di lavoratori vengono riuniti dalla gerarchia aziendale che spiega loro, a modo suo, i contenuti dell’accordo separato del 23 dicembre. In pratica, la Fiat sta facendo le sue assemblee.”

“In altre parole, nel silenzio dei sindacati firmatari, l’Azienda ha assunto non solo la guida diretta del fronte del sì, ma addirittura l’iniziativa di sostituirsi ai sindacati stessi.”

“A questo fatto, già clamoroso, se ne aggiunge un altro gravissimo. I capi dicono ai lavoratori delle Carrozzerie che il testo dell’accordo - che è stato distribuito ai lavoratori solo dalla Fiom, ovvero dal sindacato che non lo ha sottoscritto - non sarebbe l’ultima versione dell’accordo stesso. Questa è una patente bugia che, evidentemente, viene diffusa a scopi puramente propagandistici.”

“Le cose non stanno come dice la Fiat, ma se quel che i capi stanno dicendo fosse vero, in quale luogo segreto l’accordo sarebbe stato modificato? E ancora: i sindacati firmatari ne sono stati informati? E soprattutto: su che cosa veramente si voterà nel referendum del 13 e 14 gennaio?”

“Altro che modernità e innovazione delle relazioni sindacali, la realtà è che oggi alla Fiat i lavoratori vengono considerati come una proprietà aziendale e non è previsto nessuno spazio per una loro autonoma rappresentanza. Siamo tornati all’epoca dei padroni delle ferriere.”

martedì 11 gennaio 2011

Sì, quello di Marchionne è fascismo aziendale

Ma davvero bisogna abbassare i toni e non usare la parola fascismo per definire quanto sta avvenendo a Mirafiori, a Pomigliano, in Fiat? In tanti hanno considerato una forzatura l’uso di questa parola. Ma che scherziamo? Questa sarebbe la dimostrazione che chi si oppone all’accordo di Mirafiori è fuori dal tempo e dalla storia. Vediamo allora in concreto cosa succederà a Mirafiori se si applica l’accordo. Oltre a danni drammatici alla condizione di lavoro e a tutti i loro diritti, i lavoratori perderanno le libertà sindacali. Gli unici sindacati ufficialmente ammessi in azienda saranno quelli firmatari dell’accordo, i quali avranno diritto a una rappresentanza sindacale da essi nominata.
Quindi la Fiom e tutti coloro che si oppongono all’accordo saranno esclusi dalla rappresentanza sindacale che però, a sua volta, non sarà più elettiva ma di nomina dall’alto. Ha suscitato scandalo anche l’accostamento che abbiamo fatto con l’accordo del 2 ottobre 1925 a Palazzo Vidoni. Allora il presidente del Consiglio, Mussolini, la Confindustria, i sindacati nazionalisti fascisti e corporativi sottoscrissero la fine delle commissioni interne aziendali elette dai lavoratori e il passaggio al regime dei “fiduciari” nominati dai sindacati firmatari dell’accordo. La si può girare come si vuole, ma questo è il solo precedente a cui far riferimento per l’accordo di Mirafiori che tanti definiscono storico. Si elimina l’opposizione e si inibisce ogni reale libertà di scelta sindacale. Non solo non ci saranno più le elezioni ma i lavoratori non potranno più iscriversi alla Fiom e ai sindacati che non hanno firmato l’accordo, né potranno più tenersi libere assemblee. Come chiamare questo? Se un presidente del Consiglio decidesse che per far quadrare i conti del bilancio pubblico bisogna cancellare il parlamento elettivo e mettere fuorilegge l’opposizione, come definiremmo tutto questo? Ma si sa, la fabbrica è considerata un mondo a parte, le regole della democrazia che sono scontate quando si sta fuori dai cancelli diventano tutte opinabili quando li si varca. Così può acquisire anche una patina di democraticità un  referendum che dovrebbe sanzionare la fine delle libertà a Mirafiori.
Dove trovare i precedenti storici rispetto a una consultazione che si presenta come l’ultima? Se dovesse passare il sì e l’accordo fosse davvero applicato i lavoratori voterebbero per l’ultima volta, anzi, rinuncerebbero per sempre a votare sulle proprie rappresentanze sindacali, sugli accordi, sulle condizioni di lavoro. Come definire un voto di rinuncia ai diritti democratici fondato sul ricatto della perdita del posto di lavoro? Non ricorda i plebisciti autoritari con cui tante dittature hanno messo fine alla democrazia?
E, infine, visto che questo a Marchionne non basta ancora, come giudicare il fatto che se passa il sì poi i lavoratori di Mirafiori, uno per uno, saranno licenziati dalla Fiat e riassunti nella nuova società di produzione solo se sottoscriveranno l’accettazione piena di tutte le condizioni di lavoro imposte e la rinuncia a qualsiasi rivalsa e tutela, pena il licenziamento? Che questo sia un moderno fascismo aziendale non c’è alcun dubbio. La domanda che si può porre è se l’Italia possa restare una democrazia se questo regime si diffonde in tutti i luoghi di lavoro.
Si sostiene che questo è semplicemente il modello americano. L’America è una grande democrazia, che resta tale anche se nelle fabbriche c’è il fascismo. E’ bene però ricordare che negli anni Trenta il presidente democratico Roosvelt considerava una forma di fascismo e una minaccia per la democrazia americana il governo autoritario della fabbrica di Henry Ford. Si può comunque pensare che la minaccia di Marchionne sia stemperata nella dimensione dei conflitti e dei problemi degli Usa. In Italia però non è così. Siamo un paese nel quale da quindici anni il berlusconismo destruttura la democrazia. L’assalto alle libertà sindacali di Marchionne potrebbe essere la goccia che fa traboccare il vaso verso un sistema autoritario.
Questa è la posta in gioco in Fiat, ed è per questo che in tanti, esterni al mondo metalmeccanico e anche, per fortuna, esterni al palazzo che a destra e a sinistra si è inchinato di fronte a Marchionne, oggi sostengono la resistenza della Fiom.

Giorgio Cremaschi

http://temi.repubblica.it/micromega-online/

Cremaschi: comunicato stampa

"Marchionne non può chiudere Mirafiori oggi, il suo ricatto serve solo a  far crescere i suoi guadagni in Borsa. Si condanni l’immoralità sociale dell’Amministratore Delegato della Fiat". Dall’alto dei 200 milioni di euro finora guadagnati da quando è Amministratore Delegato della Fiat, Marchionne si permette oggi ancora di minacciare la chiusura di Mirafiori. In realtà il ricatto che Marchionne fa sugli operai delle Carrozzerie di Mirafiori è un’operazione speculativa che serve alla Borsa, ma che non dice nulla sul futuro dello stabilimento.
Oggi Marchionne e la Fiat non possono chiudere Mirafiori perché perderebbero un po’ di risultati finanziari. E’ proprio il piano industriale presentato da Marchionne, in realtà, che non dà futuro allo stabilimento, perché lo fa diventare un’officina sussidiaria e sostituibile della Chrysler per modelli vecchi. La verità è che Marchionne agisce solo come uno speculatore finanziario che guarda solo alle stock option, che tutti hanno condannato come immorali, e che si prepara quest’anno a guadagnare il doppio di quanto ha incassato sinora.  Basterebbe che Marchionne rinunciasse a un anno dei suoi guadagni per pagare i salari di Termini Imerese, che Marchionne ha già chiuso, e delle Carrozzerie di Mirafiori, che minaccia di chiudere.
In una democrazia ci dovrebbe essere lo scandalo per un manager che quota il ricatto in Borsa e che con il ricatto accresce i suoi guadagni personali. Ci dovrebbe essere una pubblica condanna dell’immoralità sociale di Marchionne. In ogni caso è chiaro che il futuro di Mirafiori non lo può decidere e non lo deciderà l’Amministratore Delegato della Fiat.

Marchionne guadagna più di 1000 operai Fiat... e paga le tasse in Svizzera

Marchionne e lo stipendio del dipendente Fiat. Opzioni e titoli gratuiti portano i compensi del leader Fiat a 38 milioni l'anno.

In questi giorni si riparla dei compensi di Sergio Marchionne. Sono troppi? Sono giustificati? Vale la pena di seguire il consiglio di Raffaele Mattioli: fare i conti prima di fare filosofia. E vale la pena di farli come se si dovesse rispondere al Dodd-Frank Act, la riforma finanziaria di Obama che farà testo anche in Chrysler. I numeri, dunque. Dal giugno 2004 al 2009, i compensi annuali, compreso l' accantonamento per la liquidazione riportato in nota, ammontano a 35,6 milioni di euro. Fa una media di 6,3 milioni l' anno che, per comodità nei conteggi successivi, ipotizziamo essere anche la paga del 2010 non ancora nota. Poi, come ricorda Andrea Malan sul Sole 24 Ore, ecco 4 milioni di azioni gratuite disponibili a fine 2012, ovvero 69,8 milioni alle quotazioni del 7 gennaio. Infine, 19,42 milioni di stock option esercitabili quest' anno al prezzo medio di 9,64 euro che, alla stessa data, valevano 143,8 milioni, di cui 115 immediatamente realizzabili. In 79 mesi al vertice della Fiat, Marchionne totalizza un valore pari a 255,5 milioni. Ovvero 38,8 milioni l' anno. E ora il confronto. Secondo il Dodd Frank Act, la paga del capo va paragonata al salario mediano versato dal gruppo. La legge italiana non esige questa notizia. Ci dobbiamo perciò arrangiare con il costo del lavoro pro capite che, nel quinquennio 2005-2009, equivale a 37.406 euro e dal 2006 al 2009 cala dell' 8%. Morale: ogni anno Marchionne guadagna 1.037 volte il suo dipendente medio. C' è forse bisogno di un gesto, suggerisce Cirino Pomicino su Libero. Le imposte. Marchionne ha conservato la residenza fiscale nel cantone svizzero di Zug. Sull' Espresso, Maurizio Maggi ipotizza un certo risparmio sulle imposte che il top manager dovrebbe versare se trasferisse la residenza nel Paese dove forma il suo reddito. Non è stato smentito. Infine, il titolo Fiat e le regole. L' azione ordinaria raggiunge l' apice l' 8 luglio 2007, a quota 23,44 euro. La prima tranche di stock option, concessa nel 2004 ed esercitabile al prezzo di 6,583 euro, viene a maturazione nel 2008 e resta valida fino al 31 gennaio 2011. Ma nel corso del 2008 le quotazioni crollano da 15,5 a 4,8 euro. E così, nella primavera seguente, il periodo d' esercizio delle stock option viene spostato in avanti: dal primo gennaio 2011 alla stessa data del 2016. Il 10 giugno 2009 la Fiat firma l' accordo Chrysler, che già incorpora l' idea dello sdoppiamento del gruppo, che parte adesso. L' aggiornamento delle opzioni è scelta legittima, ma anche discussa, perché attenua il rischio implicito in questa parte variabile della retribuzione. Il farlo durante la gestazione di decisioni price sensitive alimenta il dubbio di un' asimmetria informativa a favore del beneficiario rispetto al mercato. Nelle start up della Silicon Valley le stock option hanno avuto un ruolo, ma nelle imprese mature? Enrico Cuccia e Cesare Romiti non vollero mai azioni di Mediobanca e di Fiat: per non essere condizionati da interessi personali e restare del tutto liberi di decidere, magari sbagliando, per il bene dell' impresa. Che va oltre quello dei suoi soci pro tempore.

Il Corriere della Sera del 9.1.2011 di Mucchetti Massimo

lunedì 10 gennaio 2011

Nè soldi né posti sicuri. La Fiat torna al fascismo

L'«accordo di Mirafiori» appartiene al genere delle «cose note» di cui ben pochi conoscono il contenuto. A pochi giorni dal «voto» dei lavoratori interessati ci è sembrato utile chiedere un parere infomato a Carlo Guglielmi, avvocato e presidente del Forum Diritti-Lavoro.

Cosa c'è in questa «proposta che non si può rifiutare?» 
C'è una «parte transitoria» e una «definitiva» con i contorni di un vero e proprio contratto collettivo di stabilimento. Già nella prima ci sono passaggi rivelatori. Per esempio, si prevede la cassa integrazione per tutti per un anno; ma «non sarà previsto e richiesto a carico azienda alcuna integrazione o sostegno al reddito sotto qualsiasi forma diretta o indiretta», neppure durante i corsi di formazione preparatori per la newco. Non è insomma una cig per ristrutturazione, ma per «evento improvviso», oltre che per la crisi di mercato.

Quale?
Non è detto. Per me può essere anche la stessa firma dell'accordo. O i tre voti al governo Berlusconi.

E non si applica l'art. 2112?
Affermano che non c'è perché «nell'operazione societaria non si configura il trasferimento di ramo d'azienda».

Com'è possibile?
Sono possibili diverse interpretazioni. La più semplice è che serviva solo a costringere i lavoratori a firmare individualmente l'accordo, in modo che fossero loro stessi ad accettare la discontinuità tra passato e futuro. Le altre sono peggio. Una sta in un comma poco noto del 2112 che dice che la «sostituzione» tra un contratto e l'altro, in caso di cessione d'azienda, può avvenire solo tra contratti del medesimo livello. Un giudice potrebbe sostenere che un contratto aziendale - come quello per Mirafiori - non lo è e quindi continua ad applicarsi il contratto dei metalmeccanici, compresa la Rsu. La terza è il modello Alitalia, ossia un fallimento controllato della vecchia società. Ma è talmente enorme che nessuno ci può pensare. 

Ma non è una «nuova società». Stabilimento, personale, prodotto, marchio, capitale sono gli stessi...
Infatti è una menzogna dichiarata. Ma tutti la prendono per buona, altrimenti l'«accordo» non ha fondamento. Nessuno ha mosso questa obiezione.

Tutti licenziati e tutti riassunti?
Anche qui va «letto». Penso cheMarchionne non abbia ancora deciso. Può essere che alla fine chieda «dimissioni volontarie» contestuali alla «nuova assunzione». Quantomeno a Mirafiori faranno una «pulizia etnica» generazionale, lasciando fuori tutti i più anziani, che sono anche lo «zoccolo duro» dei sindacalizzati. Ma da nessuna parte si afferma che saranno tutti riassunti. Né che ci sarà davvero un investimento. Il testo dice che «prioritariamente» ci si rivolgerà agli ex dipendenti ( ma senza conservare i livelli di inquadramento). Se poi ci dovesse essere occupazione supplementare, avverrà solo con contratti precari. Hanno voluto anche specificarlo...

Non c'è l'investimento?
Non c'è nessun impegno scritto né per l'investimento, né per l'occupazione sicura. Eppure tutti ne parlano...

E per il diritto di sciopero?
I giuslavoristi vicini alla Fiat sostengono che l'accordo non è anticostituzionale perché... esiste la Costituzione. Il riferimento al divieto di sciopero, comunque, c'era nel testo di Pomigliano, ma qui l'anno sostituito.

In meglio?
In peggio. C'è un discorso genericissimo e più minaccioso a «quei comportamenti individuali e/o collettivi idonei a violare... in misura significativa le clausole del presente accordo... inficiando lo spirito che lo anima».

Come si fa soppesare lo spirito?
E infatti non c'è bisogno nemmeno dello sciopero. Basta forse il malumore, o il votare in modo non gradito. Questa è una clausola «sentimentale», ampiamente discrezionale. 

Ma la produttività c'entra qualcosa?
Nulla. Avrebbero potuto risolverla molto facilmente anche con il contratto metalmeccanico del 2008 (quello firmato anche dalla Fiom, ndr). Se veramente potessero arrivare a quei picchi di produzione, non ci sarebbe problema a spendere qualche euro in più per saturare gli impianti. È come se Marchionne avesse detto: «non so cosa voglio fare, ma quando lo deciderò nessuno si deve poter mettere di traverso». Il risultato viene dal combinato disposto con lo straordinario. Potrebbero decidere, con questo accordo, di far fare sei mesi di seguito 7 giorni su 7. Fantascienza, certo. ma questo è il potere che viene dato a Fiat. 

E la rappresentanza sindacale?
L'unico sindacato ammesso è quello che ha firmato. Vado a memoria, ma la Carta del lavoro del 1927 (sotto il fascismo, ndr), fondativa dell'ordinamento corporativo, prevedeva gli stessi principi, con le stesse parole. Uno stato debole che si chiude e che attacca per prima cosa la democrazia sindacale. 

E' previsto un potere di veto per l'ingresso di altre rappresentanze?
Si mescolano due cose. Il referendum del '95, voluto dalla sinistra sindacale, che stabilisce: la rappresentanza ce l'ha chi firma gli accordi. Attutito però dal fatto che due anni prima era stato siglato l'accordo sulle Rsu. Gli unici a rimetterci, da allora in poi, erano stati i sindacati di base, fuori dal protocollo del '93. Adesso viene tolto l'«ammortizzatore» del '93 e diventa assolutamente evidente che i «rappresentanti dei lavoratori» vengono selezionati dall'azienda. Può «rappresentare» il lavoro solo chi dice sì al padrone. L'altro elemento è la clausola della «unanimità» per l'adesione. Se anche la Fiom andasse col cappello in mano dagli altri sindacati per poter firmare, basterebbe che uno solo (magari l'associazione dei capi Fiat) dicesse no per lasciarla fuori. Alla faccia della «firma tecnica»!

A chi non firma cosa resta?
Abbiamo uno Statuto che prevede diritti «onerosi» per il datore di lavoro (bacheca, permessi, ritiro quote sindacali, assemblea). Tutto questo non lo può più fare. Ma Marchionne ha voluto anche di più: è entrato nel diritto «non oneroso», ossia il proselitismo. Che in un'azienda avanzata viene fatto col sistema informatico (zero costi!). I sindacati che firmano hanno autorizzato l'azienda a «perquisire» caselle e-email e telefoni aziendali dei dipendenti, in deroga allo Statuto.
E nessuna informazione deve trapelare fuori dalla fabbrica...
Il trait d'union tra conflitto e democrazia è l'informazione. Tagliandola, chiudi il cerchio ideologico di questo «accordo».

www.ilmanifesto.it

sabato 8 gennaio 2011

46 economisti contro Marchionne

Il conflitto Fiat-Fiom scoppiato a fine 2010 sul progetto per lo stabilimento di Mirafiori a Torino – che segue l’analoga vicenda per lo stabilimento di Pomigliano d’Arco – è importante per il futuro economico e sociale del paese. Giornali e tv presentano la versione Fiat, sostenuta anche dal governo, per cui con la crescente competizione internazionale nel mercato dell’auto i lavoratori devono accettare condizioni di lavoro peggiori, la perdita di alcuni diritti, fino all’impossibilità di scegliere in modo democratico i propri rappresentanti sindacali.

Vediamo i fatti. Nel 2009 la Fiat ha prodotto 650 mila auto in Italia, appena un terzo di quelle realizzate nel 1990, mentre le quantità prodotte nei maggiori paesi europei sono cresciute o rimaste stabili. La Fiat spende per investimenti produttivi e per ricerca e sviluppo quote di fatturato significativamente inferiori a quelle dei suoi principali concorrenti europei, ed è poco attiva nel campo delle fonti di propulsione a basso impatto ambientale. A differenza di quanto avvenuto tra il 2004 e il 2008 – quando l’azienda si è ripresa da una crisi che sembrava fatale – negli ultimi anni la Fiat non ha introdotto nuovi modelli. Il risultato è stata una quota di mercato che in Europa è scesa al 6,7%, la caduta più alta registrata nel continente nel corso del 2010.

Al tempo stesso, tuttavia, nel terzo trimestre del 2010 la Fiat guida la classifica di redditività per gli azionisti, con un ritorno sul capitale del 33%. La recente divisione tra Fiat Auto e Fiat Industrial e l’interesse ad acquisire una quota di maggioranza nella Chrysler segnalano che le priorità della Fiat sono sempre più orientate verso la dimensione finanziaria, a cui potrebbe essere sacrificata in futuro la produzione di auto in Italia e la stessa proprietà degli stabilimenti.

A dispetto della retorica dell’impresa capace di “stare sul mercato sulle proprie gambe”, va ricordato che la Fiat ha perseguito questa strategia ottenendo a vario titolo, tra la fine degli anni ottanta e i primi anni duemila, contributi pubblici dal governo italiano stimati nell’ordine di 500 milioni di euro l’anno.

A fare le spese di questa gestione aziendale sono stati soprattutto i lavoratori. Negli ultimi dieci anni l’occupazione Fiat nel settore auto a livello mondiale è scesa da 74 mila a 54 mila addetti, e di questi appena 22 mila lavorano nelle fabbriche italiane. Le qualifiche dei lavoratori Fiat sono in genere inferiori a quelle dei concorrenti, i salari medi sono tra i più bassi d’Europa e la distanza dalle remunerazioni degli alti dirigenti non è mai stata così alta: Sergio Marchionne guadagna oltre 250 volte il salario di un operaio.

Questi dati devono essere al centro della discussione sul futuro della Fiat. L’accordo concluso dalla Fiat con Fim, Uilm e Fimsic per Mirafiori – che la Fiom ha rifiutato di firmare – prevede un vago piano industriale, poco credibile sui livelli produttivi, tanto da rendere improbabile ora ogni valutazione sulla produttività. L’accordo appare inadeguato a rilanciare e qualificare la produzione, e scarica i costi sul peggioramento delle condizioni dei lavoratori. Sul piano delle relazioni industriali i contenuti dell’accordo sono particolarmente gravi: l’accordo si presenta come sostitutivo del contratto nazionale di lavoro, e cancellerebbe la Fiom dalla presenza nell’azienda e dal suo ruolo di rappresentanza dei lavoratori che vi hanno liberamente aderito.

Il referendum del 13-14 gennaio tra i dipendenti sull’accordo, con la minaccia Fiat di cancellare l’investimento nel caso sia respinto, pone i lavoratori di fronte a una scelta impossibile tra diritti e lavoro. In questa prospettiva, la strategia Fiat appare come la gestione di un ridimensionamento produttivo in Italia, scaricando costi e rischi sui lavoratori e imponendo un modello di relazioni industriali ispirato agli aspetti peggiori di quello americano.
Esistono alternative a una strategia di questo tipo.

In Europa la crisi è stata affrontata da imprese come la Volkswagen con accordi sindacali che hanno ridotto l’orario, limitato la perdita di reddito e tutelato capacità produttive e occupazione; in questo modo la produzione sta ora riprendendo insieme alla domanda. Produrre auto in Europa è possibile se c’è un forte impegno di ricerca e sviluppo, innovazione e investimenti attenti alla sostenibilità ambientale; per questo sono necessari lavoratori con più competenze, meno precarietà e salari adeguati; un’organizzazione del lavoro contrattata con i sindacati che assicuri alta qualità, flessibilità delle produzioni e integrazione delle funzioni. E’ necessaria una politica industriale da parte del governo che non si limiti agli incentivi per la rottamazione delle auto, ma definisca la direzione dell’innovazione e degli investimenti verso produzioni sostenibili e di qualità; le condizioni per mercati più efficienti; l’integrazione con le politiche della ricerca, del lavoro, della domanda. Considerando l’eccesso di capacità produttiva nell’auto in Europa, è auspicabile che queste politiche vengano definite in un contesto europeo, evitando competizioni al ribasso su costi e condizioni di lavoro. Su tutti questi temi è necessario un confronto, un negoziato e un accordo con i sindacati che rappresentano i lavoratori dell’azienda.

In nessun paese europeo l’industria dell’auto ha tentato di eliminare un sindacato critico della strategia aziendale dalla possibilità di negoziare le condizioni di lavoro e di rappresentare i lavoratori. L’accordo Fiat di Mirafiori riduce le libertà e gli spazi di democrazia, aprendo uno scontro che riporterebbe indietro l’economia e il paese.

Ci auguriamo che la Fiat rinunci a una strada che non porterebbe risultati economici, ma un inasprimento dei conflitti sociali. Ci auguriamo che governo e forze politiche e sindacali contribuiscano a una soluzione di questo conflitto che ristabilisca i diritti dei lavoratori a essere rappresentati in modo democratico e tuteli le condizioni di lavoro. Esprimiamo la nostra solidarietà ai lavoratori coinvolti e alla Fiom, sosteniamo lo sciopero nazionale del 28 gennaio 2011 e ci impegniamo ad aprire una discussione sul futuro dell’industria, del lavoro e della democrazia, sui luoghi di lavoro e nella società italiana.

Margherita Balconi, Università di Pavia
Paolo Bosi, Università di Modena e Reggio Emilia
Gian Paolo Caselli, Università di Modena e Reggio Emilia
Daniele Checchi, Università Statale di Milano
Tommaso Ciarli, Max Planck Institute of Economics
Vincenzo Comito, Università di Urbino
Marcella Corsi, Università di Roma “La Sapienza”
Pasquale De Muro, Università di Roma Tre
Giovanni Dosi, Scuola Superiore Sant’Anna, Pisa
Marco Faillo, Università degli Studi di Trento
Paolo Figini, Università di Bologna
Massimo Florio, Università Statale di Milano
Maurizio Franzini, Università di Roma “La Sapienza”
Lia Fubini, Università di Torino
Andrea Fumagalli, Università di Pavia
Mauro Gallegati, Università Politecnica delle Marche
Adriano Giannola, Università di Napoli Federico II
Anna Giunta, Università di Roma Tre
Andrea Ginzburg, Università di Modena e Reggio Emilia
Claudio Gnesutta, Università di Roma “La Sapienza”
Elena Granaglia, Università di Roma Tre
Simona Iammarino, London School of Economics
Peter Kammerer, Università di Urbino
Paolo Leon, Università di Roma Tre
Stefano Lucarelli, Università di Bergamo
Luigi Marengo, Scuola Superiore Sant’Anna, Pisa
Pietro Masina, Università di Napoli “L’Orientale”
Massimiliano Mazzanti, Università di Ferrara
Marco Mazzoli, Università Cattolica di Piacenza
Domenico Mario Nuti, Università di Roma “La Sapienza”
Paolo Palazzi, Università di Roma “La Sapienza”
Cosimo Perrotta, Università del Salento
Mario Pianta, Università di Urbino
Paolo Pini, Università di Ferrara
Felice Roberto Pizzuti, Università di Roma “La Sapienza”
Andrea Ricci, Università di Urbino
Andrea Roventini, Università di Verona
Maria Savona, University of Sussex
Francesco Scacciati, Università di Torino
Alessandro Sterlacchini, Università Politecnica delle Marche
Stefano Sylos Labini, Enea
Giuseppe Tattara, Università di Venezia
Andrea Vaona, Università di Verona
Marco Vivarelli, Università Cattolica di Piacenza
Antonello Zanfei, Università di Urbino
Adelino Zanini, Università Politecnica delle Marche


http://sbilanciamoci.info/

I Cobas indicono lo sciopero generale

Comunicato 

Il potere economico e politico liberista, che ha trascinato l'Italia e parte del mondo nella più grave crisi del dopoguerra, invece di pagare per la sua opera distruttiva, cerca di smantellare ciò che resta delle conquiste sociali, politiche e sindacali dei salariati/e e dei settori popolari.
Nell'ultimo biennio il governo Berlusconi, sulla scia del centrosinistra prodiano, ha cancellato centinaia di migliaia di posti di lavoro nelle fabbriche e nelle strutture pubbliche (a partire dalla scuola: 140 mila posti in meno ed espulsione in massa dei precari), ingigantito il precariato lavorativo e di vita, imposto catastrofiche "riforme" della scuola e dell'Università, nel Pubblico Impiego bloccato i contratti e con il decreto Brunetta sequestrata la contrattazione e i diritti lavorativi e sindacali, come fatto a livello generale con il "collegato lavoro".
In parallelo, il capo-banda Fiat Marchionne guida l'assalto di un padronato parassitario e aggressivamente reazionario contro ciò che resta dei diritti degli operai, sperimentando alla Fiat la riduzione dei lavoratori/trici a "neo-schiavi" dell'arbitrio padronale. In queste settimane, però, il movimento antiliberista ha rialzato la testa e, grazie al forte contributo del movimento studentesco, in rivolta contro le umilianti "riforme" Gelmini, sta delineando un potenziale fronte sociale unito  antipadronale e antigovernativo.
L'accordo fascistoide che Marchionne, con il sostegno del governo, della sedicente "opposizione" parlamentare (con il PD in  prima fila) e dei sindacati collaborazionisti Cisl e Uil, vuole imporre a  Mirafiori - dopo quello infame di Pomigliano - può essere la goccia che fa traboccare il vaso.
I COBAS stanno lavorando perchè l'accordo ignobile venga respinto dal NO referendario dei/lle lavoratori/trici Fiat, ma ritengono anche  decisivo che venga esteso a tutti/e i/le lavoratori/trici lo sciopero che la Fiom ha  indetto per i metalmeccanici il 28 gennaio. La richiesta Fiom alla Cgil di convocazione di uno sciopero generale non verrà mai accolta, perchè la Cgil condivide le politiche liberiste, ha sottoscritto in questi anni ogni cedimento al padronato e ai governi, ed è stata la principale responsabile, con Cisl e Uil, della distruzione dei diritti sindacali e di sciopero, prima ai danni dei COBAS e del sindacalismo di base, poi di chiunque non accettasse le politiche concertative.
SPETTA DUNQUE AI COBAS LA RESPONSABILITA' DI CONVOCARE PER IL 28 GENNAIO LO SCIOPERO GENERALEDI TUTTI I LAVORATORI/TRICI PUBBLICI E PRIVATI PER L'INTERA GIORNATA, rispondendo anche alle richieste di generaliz- zazione dello  sciopero venute dal movimento degli studenti medi e universitari e da tante  strutture del conflitto sociale, territoriale e ambientale.
Mettiamo in campo il 28 il più ampio fronte sociale per battere l'arroganza  padronale e governativa, smascherare la finta "opposizione" parlamentare e i sindacati collaborazionisti, per riconquistare i posti di lavoro, il reddito, le pensioni, le strutture sociali pubbliche, a partire da scuola, sanità, trasporti ed energia, i beni comuni (acqua in primis), i diritti politici, sociali e sindacali.
CHE LA CRISI SIA PAGATA DA CHI L'HA PROVOCATA

FIAT. La bufala della sfida dei paesi emergenti

Nei primi anni Cinquanta del secolo scorso la Fiat effettuò massicci licenziamenti concentrandosi sugli operai della Fiom e dando avvio alla pratica dei «reparti confino», ove venivano inviati gli operai comunisti, socialisti e gli iscritti alla Fiom. Allora sia il Pci che la Cgil interpretavano il capitalismo italiano come dominato dai grandi monopoli e destinato pertanto a una prolungata stagnazione. In risposta alla percepita stasi e crisi dell'industria e dell'auto in particolare, Vittorio Foa elaborò per la Cgil la proposta di sviluppare la produzione lanciando l'idea di una «vetturetta» popolare. 

In realtà era quello che la Fiat stava programmando, dato che l'economia italiana, capitanata dal gruppo Iri, stava imboccando la via della grande trasformazione postbellica. Poco dopo da Mirafiori uscì l'epocale Seicento. I licenziamenti avevano quindi due obiettivi: ristrutturare completamente l'apparato tecnico produttivo dell'azienda e cambiare in senso fordista la forza lavoro, indebolendo quanto più possibile ogni autonoma controparte sociale, la Fiom appunto. Il successo della politica di Valletta fu dovuto all'insieme della crescita del paese che con l'incremento della massa dei redditi, nonché della spesa pubblica in autostrade, generalizzò la domanda e l'uso dell'auto. 
Oggi il paragone con quel periodo, buio dal lato dei diritti sindacali in fabbrica tant'è che il Pci promosse una campagna per far entrare la Costituzione nelle fabbriche, risiede nella volontà aziendale di rendere la forza lavoro malleabile a piacere, volendo formalmente espellere la Fiom che non accetta i criteri imposti dall'azienda. È come se Valletta, che fino ai grandi scioperi del 1962 privilegiava il sindacato aziendale Sida e la Uilm, avesse bandito la Fiom dal correre alle elezioni della commissione interna; cosa allora impossibile malgrado il clima di violenta repressione antioperaia. La differenza cruciale tra oggi e quel lontano periodo sta nell'assenza di prospettive di un sostenuto sviluppo capitalistico per l'economia europea. Non c'è nessuna crescita europea e italiana capace di rilanciare la Fiat. La crescita dei paesi emergenti è fuori tiro perché, a eccezione del Brasile, la presenza Fiat è inconsistente.
In questi giorni,senza nemmeno sollecitare la Fiat a rendere pubblici i piani di produzione per l'Italia, i media dominanti si sono sbracciati nel difendere l'operato politico dell'azienda giustificandolo con la sfida proveniente dai paesi emergenti. Pura ideologia antisindacale. Infatti se si vuole raccogliere la sfida cinese in Cina bisogna esserci. Nel 2010 la produzione cinese di auto è stata di 17 milioni di unità, provenienti nella stragrande maggioranza dalle locali filiali delle multinazionali dell'auto operanti in partenariato con società cinesi.
L'esportazione di automobili dalla Cina è ancora minima, prevalentemente verso alcune zone asiatiche e fra un po' verso la Turchia. Ciò significa che la sfida posta dall'emergere di Pechino si gioca tuttora sulla produzione e sul mercato interno. Con Torino la sfida cinese non c'entra. La politica della Fiat nei confronti di Torino è invece tutta in rapporto al mercato interno italiano e europeo. La strategia è derivata dall'esperienza della deindustrializzazione americana aggravata dalla stagnazione europea e dalle perdite di quote di mercato. Negli Stati uniti il requisito sociale per dare corpo al processo di delocalizzazione verso zone low cost per riesportare verso la più ricca madrepatria è stato il forte declino sindacale a partire dagli anni Ottanta. Man mano che si indebolivano, i sindacati accettavano di incorporare le esigenze delle aziende e per poi ritrovarsi con minore capacità negoziale mentre la delocalizzazione continuava. Vedi il documentario di Michael Moore sulla devastazione di Flint, sede della General Motors. Non è un caso che, come elencato da Maurizio Zipponi al Tg3 di Linea Notte il 4/5 gennaio, si conoscano i programmi di produzione della Fiat per la Serbia, la Turchia, la Polonia ma poco o niente sull'Italia. L'idea che le nuove condizioni contrattuali possano portare a spettacolari incrementi di produttività è fallace. Per ottenere significativi aumenti di produttività tali da avere effetti competitivi e di diffusione sul territorio, è necessario che le innovazioni tecnologiche si accompagnino a un salto della scala di produzione verso valori di gran lunga superiori alle 500-600 mila unità attuali. 
Se questo fosse il vero obiettivo, gli investimenti e la lista dei modelli da produrre si concentrerebbero sull'Italia e secondariamente altrove. Tuttavia, le aspettative circa l'allargamento della scala di produzione dipendono principalmente dalla dinamica della domanda aggregata, cioè dai redditi dell'insieme dei salariati europei. La domanda è stagnante ed i salari reali sono in calo, quindi spazi per espandere la scala di produzione non ce ne sono. Anzi, le innovazioni dovranno assumere per forza di cose delle caratteristiche tipo downsizing che comporta l'outsourcing. Ne discende l'importanza primaria delle zone low cost, finanziate con molti soldi pubblici, della Polonia e della Serbia nonché della Turchia, per poter poi riesportare verso l'Europa occidentale. La malleabilità richiesta ai lavoratori di Mirafiori è per Torino la strada della deindustrializzazione, della disoccupazione e della precarizzazione di massa.

Joseph Halevi - il manifesto

giovedì 6 gennaio 2011

Una lettera ai compagni del Comitato Centrale della Fiom

Cari compagni,  
sono uno dei tanti metalmeccanici che a Bari nel luglio del 1968, appena assunto in fabbrica, organizzò gli operai per chiedere al padrone alcuni elementari diritti sindacali quali quello di poterci riunire in assemblea e il rispetto del contratto nazionale di lavoro.La risposta del padrone fu violenta, venni licenziato per rappreseglia sindacale nel febbraio del 1969 e denunciato, unitamente ad altri 11 operai, per una serie impressionante di reati, perchè ritenuti responsabili di aver esercitato come forma di lotta, il picchetto davanti alla fabbrica.Tutti quanti noi fummo costretti a lasciare la fabbrica, per cercare lavoro altrove, al nord, in attesa che lo Statuto dei lavoratori, ponesse fine alle discriminazioni sindacali.A Bologna, ebbi poi modo di partecipare e organizzare nuovamente gli operai, insieme ai tanti compagni della FLM, come Claudio, Giorgio, Gianluigi, ecc..Oggi, oramai da pensionato, osservo che dopo 42 anni, il padronato cerca rivincite, abolendo il contratto nazionale di categoria.Non dobbiamo far passare questa controffensiva padronale.Come ex metalmeccanico, vi chiedo di opporvi con tutte le forze possibili. Con altri compagni metalmeccanici, oggi in pensione, siamo disponibili a partecipare a tutte le iniziative che riterrete opportune. Non possimo stare a casa con le mani in mano, la vostra lotta è la nostra lotta.Dateci la possibilità di essere con voi dapertutto, in piazza, nei picchetti e in tutte le iniziative a cui saremo chiamati.Grazie per l'attenzione e buon lavoro.

Giuseppe Triggiani
metalmeccanico FIOM che non ha mai smesso di lottare

mercoledì 5 gennaio 2011

Micromega - Appello: 100mila firme per la FIOM


Ne abbiamo raccolte in passato fino a ventimila (19916) per l'appello in solidarietà con Marco Travaglio, accusato da Fabrizio Cicchitto in Parlamento di "terrorismo mediatico", in un clima di mobilitazione delle più importanti testate contro la legge-bavaglio, mentre in piazza su questo tema si era speso anche Roberto Saviano.
Eppure riteniamo necessario provare a realizzare questo OBIETTIVO “IMPOSSIBILE” perché siamo convinti che sulla “abrogazione” della Fiom che Marchionne sta cercando di imporre, si giochi una partita cruciale per la difesa dei più elementari e intrattabili diritti e libertà costituzionali.
Per questo vi chiediamo di non limitarvi a firmare l’appello, ma di mobilitarvi per farlo firmare a tutti i vostri amici, per inserirlo nei vostri blog, per farlo girare in modo “virale”, come si usa dire, su quanti più siti siete in grado di raggiungere, partecipando a discussioni, forum e altre forme di intervento.
Proviamo a realizzare questo “IMPOSSIBILE” entro il 28 gennaio, giorno dello sciopero nazionale dei metalmeccanici, a dimostrazione che la parte più coerentemente democratica della società italiana ha capito che la lotta della Fiom è una lotta che ci riguarda tutti.
(pfd’a)
L'APPELLO
Il diktat di Marchionne, che Cisl e Uil hanno firmato, contiene una clausola inaudita, che nemmeno negli anni dei reparti-confino di Valletta era stata mai immaginata: la cancellazione dei sindacati che non firmano l’accordo, l’impossibilità che abbiano una rappresentanza aziendale, la loro abrogazione di fatto. Questo incredibile annientamento di un diritto costituzionale inalienabile non sta provocando l’insurrezione morale che dovrebbe essere ovvia tra tutti i cittadini che si dicono democratici. Eppure si tratta dell’equivalente funzionale, seppure in forma post-moderna e soft (soft?), dello squadrismo contro le sedi sindacali, con cui il fascismo distrusse il diritto dei lavoratori a organizzarsi liberamente.
Per questo ci sembra che la richiesta di sciopero generale, avanzata dalla Fiom, sia sacrosanta e vada appoggiata in ogni modo. L’inaudito attacco della Fiat ai diritti dei lavoratori è un attacco ai diritti di tutti i cittadini, poiché mette a repentaglio il valore fondamentale delle libertà democratiche. Ecco perché riteniamo urgente che la società civile manifesti la sua più concreta e attiva solidarietà alla Fiom e ai lavoratori metalmeccanici: ne va delle libertà di tutti.
Andrea Camilleri, Paolo Flores d’Arcais, Margherita Hack
Primi firmatari: don Andrea Gallo, Antonio Tabucchi, Dario Fo, Gino Strada, Franca Rame, Luciano Gallino, Giorgio Parisi, Fiorella Mannoia, Ascanio Celestini, Moni Ovadia, Lorenza Carlassarre, Sergio Staino, Gianni Vattimo, Furio Colombo, Marco Revelli, Piergiorgio Odifreddi, Massimo Carlotto, Valerio Magrelli, Enzo Mazzi, Valeria Parrella, Sandrone Dazieri, Angelo d'Orsi, Lidia Ravera, Domenico Gallo, Marcello Cini, Alberto Asor Rosa, don Paolo Farinella

Indetto il primo sciopero generale fai-da-te

Siamo un gruppo di lavoratori sia pubblici che privati, alcuni anche iscritti alla Cgil. Non riusciamo a capire come mai la Camusso tentenna ancora a indire lo sciopero generale. 
Le pene inflitte da questo governo al mondo del lavoro e della scuola si aggiungono alla vergognosa marchionnata che i metalmeccanici della Mirafiori dovranno subire: turni di lavoro di dieci ore; cancellazione della rappresentanza sindacale che non è proFiat; sette ore e mezze ininterrotte sulla catena di 
montaggio, rischio di decurtazione dallo stipendio dei primi due giorni di malattia…
Da lavoratori, anche se non metalmeccanici, sentiamo l’esigenza di dover esprimere la nostra solidarietà concreta ai lavorati della Mirafiori e di Pomigliano d’Arco, alle azioni della Fiom e, nello stesso tempo, marcare il nostro totale dissenso dalle scelte scellerate che questo governo attua per il lavoro, la scuola, il fisco. Non vediamo altra soluzione che indire uno sciopero fai da te che diventerebbe “Sciopero Generale fai da te” se mille, diecimila.. centomila dipendenti facessero la stessa cosa che faremo noi. Il giorno 28 gennaio, visto che la Fiom ha indetto lo sciopero di categoria, noi sciopereremo con loro non andando a lavoro per recarci in ospedale a donare il sangue.
Sì, andremo a donare il sangue in modo che il 28 gennaio:
- avremo il diritto previsto per legge di assentarci dal posto di lavoro;
- esprimeremo la mostra concreta solidarietà ai metalmeccanici e alla Fiom;
- daremo per scelta il nostro sangue alla collettività e non per costrizione a Marchionne e la Fiat;
- inventeremo il “Primo Sciopero Generale fai da te” che si sia mai fatto in Italia.
Chiediamo alla classe politica, alle associazioni, alle organizzazioni, ai movimenti, ai singoli cittadini di aderire e diffondere questa iniziativa al fine di riappropriarsi di un diritto al dissenso sempre più difficile da poter esprimere pubblicamente.
Alla libera stampa chiediamo di farsi carico di amplificare o reprimere questa voglia di solidarietà, dando o no la possibilità ad altri lavoratori italiani di prendere visione di questa iniziativa e, quindi, di aderirvi o meno.
Che il 28 gennaio 2011 sia una giornata di Lotta e di "Sangue".
Il Comitato Organizzatore  0522/421057 - 328/4324254
primoscioperogeneralefaidate@gmail.com

martedì 4 gennaio 2011

Cremaschi: NON possiamo firmare!

"Lo Statuto della Cgil e quello della Fiom escludono esplicitamente che l'organizzazione possa firmare accordi come quelli di Pomigliano o Mirafiori".
"La delibera 4, assunta dal Direttivo della Cgil il 25 novembre 2010, infatti, stabilisce precise limitazioni ai comportamenti dell'organizzazione riguardo: '.le possibili lesioni dei diritti dei lavoratori, pensionati e disoccupati, sanciti dalle leggi e dalla contrattazione collettiva nazionale.'."
"Di fronte a tali lesioni il punto 4.3 delle delibere statutarie stabilisce che tale limitazione può arrivare fino al divieto della '.sottoscrizione dell'accordo, anche in presenza dell'esercizio pieno della democrazia di mandato.'."
"Queste norme sono state rese anche più stringenti e rigide nell'ultimo Comitato Direttivo e su questa rigidità c'è stato il mio personale dissenso, mentre essa è stata fermamente sostenuta dalla Segretaria generale della Cgil."
"Per quanto riguarda la Fiom l'articolo 7 dello Statuto vieta di sottoporre a referendum la rinuncia a diritti indisponibili dei lavoratori."
"La decisione del Comitato Centrale della Fiom di non sottoscrivere, in ogni caso, gli accordi di Mirafiori e di Pomigliano è, dunque, rigorosa e coerente con lo Statuto che, in particolare su questo tema, impegna la Fiom e la Cgil a tutti i livelli."
"Quanto ad un'eventuale 'firma tecnica' essa non è statutariamente prevista nella nostra organizzazione che, nel nome della confederalità, non ha mai adottato i comportamenti di quei sindacati autonomi che hanno sottoscritto contratti unicamente per usufruire di tutele e permessi sindacali."
"In conclusione, la decisione del Comitato Centrale della Fiom va rispettata sia statutariamente che politicamente, a meno che non si voglia affermare che l'accordo di Mirafiori non lede diritti fondamentali dei lavoratori."
"Questo finora nessuno in Cgil o in Fiom lo ha affermato e quindi la discussione sulla firma tecnica è priva di fondamento."

domenica 2 gennaio 2011

Di lettera in lettera

Nei giorni scorsi è apparsa una lettera sul quotidiano il Giornale, firmata da alcuni lavoratori della Fiat di Pomigliano D’Arco.
La lettera, che ha come primo firmatario Gerardo Giannone, delegato Fim Cisl, pone alcune domande ai leader della sinistra, come pretesto per riproporre le tesi dei sostenitori dell’accordo di Pomigliano.
Per quanto non siamo chiamati direttamente in causa, ci prendiamo la briga di rispondere alle questioni poste dai nostri colleghi, anche noi a partire dal nostro punto di vista di operai.
I firmatari lamentano la mancanza di alternative possibili, tra l’altro ammettendo con ritardo che il boccone che stiamo ingoiando è molto amaro, avvallando la posizione espressa dalla Fiom e da quei partiti della sinistra(ovviamente non il Pd) , che dal primo momento hanno espresso contrarietà al ricatto di Marchionne.
Noi crediamo invece che si debba produrre mantenendo diritti e salvaguardia del posto di lavoro.
Per farlo bisognerebbe che la FIAT incentrasse i propri sforzi sullo sviluppo di nuove tecnologie e modelli, invece che accanirsi sulla cancellazione delle regole al solo scopo di aumentare i profitti.
La stessa FIOM non si è limitata a dire no, ma più volte ha avanzato proposte alternative, come nel caso della riduzione delle pause proponendo quelle a scorrimento.
Rispetto alla legislazione su pause e malattie(legislazione che indubbiamente andrebbe migliorata), è paradossale che a contestarla siano quei sindacati che non solo non le fanne rispettare, ma nei fatti le peggiorano firmando questo tipo di accordi.
Anche sulla democrazia sindacale, siamo d’accordo, e non da oggi, che a tutti i sindacati vadano riconosciute determinate diritti(monte ore,permessi etc.) ma allo stesso tempo segnaliamo che in più occasioni nel corso della vertenza sono state chieste assemblee in fabbrica per poter far esprimere i lavoratori, ma più volte questo diritto, che è il cuore della democrazia in fabbrica, ci è stato negato da Fim, Uilm, Fismic e Ugl.
La firma dell’accordo alla Fiat è uno spartiacque nella società, rispetto a cui le forze politiche stanno dimostrando da che parte stanno.
Proprio per questo la resistenza messa in campo a Pomigliano è l’unico presupposto per ricostruire la sinistra in questo paese che non ripeta gli errori del passato e sia coerentemente dalla parte dei lavoratori.
È grazie a noi, lavoratori di Pomigliano che ci siamo opposti all’accordo– è bene ricordare che i NO al referendum sono stati 1700 di cui meno di 800 iscritti alla Fiom–, se oggi finalmente ritorna ad essere centrale nel dibattito politico la questione operaia. Conquistandoci in questo modo lo spazio per poter esprimere le nostre posizioni come lavoratori.
La lotta dei mesi scorsi è servita per smuovere le coscienze e a riaprire un dibattito a sinistra, in cui ci sentiamo pienamente coinvolti.
Un dibattito che, partendo dalle mobilitazioni messe in campo dalla Fiom, pone il problema della rappresentatività della classe operaia. Ci sembra questa l’unica domanda seria da porre alla sinistra.
Noi in questi mesi di lotta abbiamo fatto la nostra parte, non delegando a questo o quel leader le nostre istanze, e continueremo ad essere protagonisti fieri di questa battaglia.
Da questa strettoia non si esce seguendo Marchionne e padroni, con un’ asta al ribasso tra gli operai della Fiat e chi versa in condizioni ancora peggiori, perché magari è senza contratto, ma difendendo i diritti conquistati, a partire dal contratto nazionale, e dando a quei lavoratori che non ne hanno una speranza ed un esempio da seguire.
Serve un percorso comune che porti al miglioramento delle condizioni di lavoro e di vita: non la guerra fra poveri, ma una lotta radicale, una rivolta sociale che unifichi gli sfruttati. Fuori da questa prospettiva che metta in discussione l’intero sistema sociale esiste solo la schiavitù e il baratro del sempre peggio, al quale, come si sa, non c’è mai limite.
 
Loffredo Domenico
Birotti Stefano
Manzo Raffaele
D’Alessio Ciro
Pescatore Francesco
Ciccarelli Angelo
Fiorillo Alessandro
Costabile Mario
Ponticelli Raffaele
 
Lettera pubblicata da "Il Giornale"
Cara sinistra, non offendere la nostra intelligenza