venerdì 12 novembre 2010

Parte l'attacco finale allo Statuto dei Lavoratori: Sacconi presenta lo Statuto dei lavori

Maggiori e migliori posti di lavoro non si creano per decreto. Le leggi possono contribuire a un contesto favorevole per la competitività delle imprese e sostenere la loro naturale propensione ad assumere e investire in modo stabile sulle persone. Ma possono anche determinare un effetto contrario, comprimendo le potenzialità del sistema produttivo e le istanze di inclusione, soprattutto là dove non siano capaci di interpretare e governare gli imponenti cambiamenti intervenuti nella società e nel lavoro.
L’attuale centralismo regolatorio di matrice pubblicista e statualista riflette assetti di produzione propri della vecchia economia. Dominati dalla grande fabbrica industriale. Con modelli di organizzazione del lavoro standardizzati e rigidi. Con un perimetro aziendale ben definito quanto a struttura, composizione della manodopera, localizzazione territoriale.
È questa l’immagine del lavoro riflessa nello “Statuto dei lavoratori” del 1970.
Una legge storica perché ha consentito l’effettivo ingresso nelle fabbriche dei diritti fondamentali della persona sanciti nella Costituzione, anche attraverso la promozione della presenza sindacale in azienda. Una legge che, tuttavia, trova oggi applicazione per una parte limitata del mondo del lavoro.
Quarant’anni di Statuto evidenziano gli enormi progressi compiuti a tutela della persona che lavora, ma anche tutta la distanza che separa l’impianto di questa legge dai nuovi modelli di produzione e di organizzazione del lavoro e dalla recente evoluzione di un mercato del lavoro sempre più terziarizzato e plurale: con forza sempre meno radicata presso la stessa azienda; con nuove istanze di conciliazione tra i tempi di vita e di lavoro dettati dal massiccio (ma non ancora soddisfacente) ingresso delle donne nel mercato del lavoro; con nuovi e crescenti dualismi, a partire da quello tra Nord e Sud, che ampliano e rendono via via sempre più profondo il solco tra chi partecipa al mercato del lavoro istituzionale, sindacalmente presidiato e tutelato, e chi invece è costretto alla inattività quando non relegato in una economia informale governata da rapporti di lavori grigi che progressivamente degradano nel sommerso totale.
Al lavoro stabile e per una intera carriera si contrappongono oggi sempre più frequenti transizioni occupazionali e professionali che richiedono tutele più adeguate. I mutamenti del mondo del lavoro implicano l’insorgere di esigenze che spiazzano un sistema di tutele ingessato – perché fatto di norme rigide sulla carta quanto ineffettive e poco adattabili alla mutevole realtà del lavoro – suggerendo l’introduzione di assetti regolatori maggiormente duttili e la definizione di diritti universali e di tutele di matrice promozionale.
Uno Statuto rigido, ancorato ai modelli e alle logiche di un passato che non c’è più, tradirebbe la sua funzione storica che è ancora oggi pienamente attuale. Quella cioè di approntare, al di là delle tecniche e delle norme di dettaglio di volta in volta adottate, un sistema di tutele moderne e mobili tali da consentire il pieno sviluppo della persona attraverso il lavoro e nel lavoro.
I tempi per discutere lo Statuto dei lavoratori sono dunque maturi. Non si tratta di prospettarne la cancellazione, quanto un suo aggiornamento. E come potrebbe essere diversamente in un tempo in cui le sollecitazioni al più generale cambiamento dei paradigmi della crescita sono straordinarie.
La verità è che l’attuale sistema normativo del diritto del lavoro non soddisfa pienamente nessuna delle due parti del contratto di lavoro. Non i lavoratori che, nel complesso, si sentono oggi più insicuri e precari. Né gli imprenditori ritengono il quadro legale e contrattuale dei rapporti di lavoro coerente con la sfida competitiva imposta dalla globalizzazione e dai nuovi mercati.
Anche dopo le recenti innovazioni apportate dalla legge Treu e, più ancora, dalla legge Biagi è palese, e non solo nei settori maggiormente esposti alla competizione internazionale, l’insofferenza verso un corpo normativo sovrabbondante e farraginoso che, pur senza dare vere sicurezze a chi lavora, rallenta inutilmente il dinamismo dei processi produttivi e l’organizzazione del lavoro.
Stime incerte ci portano a parlare di circa 1.000 atti normativi che incidono, direttamente o indirettamente, sulla regolazione dei rapporti di lavoro per un numero approssimativo di oltre 15.000 precetti e disposizioni. Così, se per un verso i lavoratori chiedono tutele più incisive ed effettive, le imprese reclamano a loro volta maggiore certezza del diritto e un quadro di regole meno invasivo, chiaro, esigibile.
Il superamento delle molte criticità nel mercato del lavoro – vere e proprie ingiustizie sociali per il valore che attribuiamo al lavoro come occasione di sviluppo e formazione della persona – non può più essere affidato a una concezione formalistica e statualista dei rapporti di lavoro che alimenta un imponente contenzioso e un sistema antagonista e conflittuale di relazioni industriali. Ma non può neppure essere affidato a soluzioni semplicistiche, pensate a tavolino, che ipotizzano di ricondurre forzatamente la multiforme e sfuggente realtà del lavoro in un unico schema contrattuale. Un modello di giuridificazione dei rapporti di lavoro rigido che non solo non è presente in nessun Paese industrializzato ma che non è stato ipotizzato neppure nell’epoca, oggi superata, in cui imperava il modello di organizzazione del lavoro massificato di tipo fordista. 
È in effetti una operazione astratta – quanto illusoria – quella di pensare di poter cristallizzare il dinamismo dei nuovi lavori e della nuova economia in rigide categorie e schemi di legge unificanti (solo) sulla carta, ma lontani da una realtà che, per essere governata e non rifuggire nella economia sommersa, deve essere sempre meno ingabbiata dal legislatore statale e sempre più affidata alla libera contrattazione collettiva tanto più quando accompagnata da forme di partecipazione dei lavoratori ai destini dell’impresa.
La stessa dinamica del salario ne può beneficiare attraverso lo sviluppo della componente collegata agli incrementi di produttività o ai risultati dell’impresa.
È giunto il tempo di realizzare l’intuizione di una parte del sindacato quando sosteneva con coraggio e lungimiranza, rispetto al dibattito che ha poi portato alla codificazione dello Statuto dei lavoratori, che “il contratto è il mio Statuto”.
È questa l’unica strada praticabile per superare una concezione sterilmente conflittuale e antagonista dei rapporti di lavoro consolidando e, anzi, estendendo i diritti del lavoro. Non solo quelli presidiati da norme inderogabili di legge, ma anche quelli di matrice promozionale che li rendono adattabili ed esigibili a una realtà in costante movimento.
Con l’obiettivo di incoraggiare una maggiore propensione ad assumere e un migliore adattamento tra le esigenze del lavoro e quelle della impresa, l’articolo 1 del presente disegno di legge affida pertanto al Governo la delega a emanare uno o più decreti legislativi contenenti disposizioni, anche di carattere innovativo, volte alla redazione di un testo unico della normativa in materia di lavoro denominato «Statuto dei lavori».
I diritti universali della persona e le moderne tutele di matrice promozionale possono infatti essere esaltati e meglio perseguiti nella ottica unitaria dello «Statuto dei lavori» ipotizzato da Marco Biagi già nel corso del passato decennio quale corpo di tutele adattabili, affidate alla contrattazione collettiva e costruite per geometrie variabili e modulabili in funzione di molteplici parametri tra cui, in particolare, le caratteristiche del lavoratore e le condizioni della azienda, del settore o del territorio di riferimento.
La delega di cui all’articolo 1 del presente disegno di legge, che dovrà essere esercitata in conformità agli obblighi derivanti dalle normative comunitarie e dalle convenzioni internazionali sul lavoro, si propone, in primo luogo, la razionalizzazione e semplificazione del quadro legale con l’obiettivo di ridurre almeno del 50 per cento la normativa attualmente vigente frutto di una stratificazione disorganica. Ciò potrà avvenire anche mediante abrogazione delle normative risalenti nel tempo prevedendo altresì, ove opportuno, un nuovo regime di sanzioni civili, penali e amministrative.
La semplificazione del quadro legale vigente potrà essere perseguita anche attraverso la valorizzazione delle sanzioni di tipo premiale in modo da tenere conto della natura sostanziale o formale della singola violazione anche attraverso la utilizzazione di strumenti che favoriscano la regolarizzazione e la eliminazione degli effetti della condotta illecita da parte dei soggetti destinatari dei provvedimenti amministrativi.
Avviata la razionalizzazione e semplificazione del quadro legale la delega si propone di identificare nell’ambito della legislazione vigente, che viene dunque confermata, un nucleo di diritti universali e indisponibili, di rilevanza costituzionale e coerenti con la Carta dei diritti fondamentali della Unione Europea, applicabili a tutti i rapporti di lavoro dipendente e alle collaborazioni a progetto rese in regime di sostanziale mono-committenza.
Le tutele non ricomprese nel nucleo dei diritti universali potranno essere eventualmente rimodulate e adattate, anche in chiave promozionale, alle reciproche esigenze di lavoratori e imprese attraverso un rinvio permanente alla contrattazione collettiva per la definizione di assetti di tutele variabili a livello territoriale, settoriale o aziendale anche in deroga alle norme di legge, valorizzando altresì, mediante norme promozionali e di sostegno, il ruolo e le funzioni degli organismi bilaterali.
La rimodulazione delle tutele da parte della contrattazione collettiva potrà avvenire attraverso il riferimento ad alcuni indicatori dinamici come l’andamento economico della impresa, del territorio o del settore di riferimento con particolare riguardo alle situazioni di crisi aziendale e occupazionale, all’avvio di nuove attività, alla realizzazione di significativi investimenti e ai più generali obiettivi di incremento della competitività e di emersione del lavoro nero e irregolare. Potranno altresì essere prese in considerazione le caratteristiche e la tipologia del datore di lavoro e dello stesso lavoratore con specifico riferimento alla anzianità continuativa di servizio, alla professionalità o alla appartenenza a gruppi svantaggiati ai sensi della regolamentazione comunitaria di riferimento. Specifiche modulazioni potranno essere previste anche per i contratti a contenuto formativo o di inserimento o reinserimento al lavoro, nonché in ragione delle concrete modalità di esecuzione della attività lavorativa con particolare riferimento alle collaborazioni coordinate e continuative rese a favore di un unico committente.
Quanto alle tutele sul mercato l’articolo 1 del disegno di legge – preso favorevolmente atto delle deleghe in materia di razionalizzazione degli ammortizzatori esistenti contenute nel “collegato lavoro” – dispone l’estensione (su base volontaria od obbligatoria e mediante contribuzioni corrispondenti alle prestazioni) degli ammortizzatori sociali e contempla interventi di politica attiva del lavoro coerenti con le linee guida e i principi concordati tra Governo, Regioni e parti sociali nell’accordo del 17 febbraio 2010 con particolare riferimento alla valorizzazione di percorsi formativi per competenze e in ambiente produttivo, certificabili in funzione degli esiti e programmati in coerenza con i fabbisogni professionali espressi a livello settoriale e territoriale.
In una ottica di sussidiarietà e di maggior coinvolgimento delle parti sociali, il disegno di legge prevede infine che tali principi potranno essere integrati da un avviso comune reso al Governo da associazioni rappresentative dei datori e prestatori di lavoro su scala nazionale entro nove mesi dalla entrata in vigore della legge.
L’articolo 2 del disegno di legge contiene alcune disposizioni di ordine tecnico concernenti l’esercizio della delega di cui all’articolo 1. Gli schemi dei decreti legislativi, deliberati dal Consiglio dei Ministri e corredati da una apposita relazione, saranno trasmessi alle Camere, per l’espressione del parere da parte delle competenti Commissioni parlamentari, solo una volta sentite le associazioni sindacali comparativamente più rappresentative dei datori e prestatori di lavoro.
Entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi di cui all’articolo 1, il Governo potrà adottare eventuali disposizioni modificative e correttive, comprensive della possibilità di adottare un testo unico delle disposizioni in materia di lavoro, con le medesime modalità e nel rispetto dei medesimi criteri e princìpi direttivi.

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Articolo 1
Delega al Governo per la predisposizione di uno Statuto dei lavori


1.    Al fine di incoraggiare una maggiore propensione ad assumere e un migliore adattamento tra le esigenze del lavoro e quelle della impresa, il Governo è delegato a emanare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, uno o più decreti legislativi contenenti disposizioni, anche di carattere innovativo, volte alla redazione di un testo unico della normativa in materia di lavoro denominato Statuto dei lavori.
2.    La delega di cui al comma 1 deve essere esercitata in conformità agli obblighi derivanti dalle normative comunitarie e dalle convenzioni internazionali sul lavoro e nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi:
a)    razionalizzazione e semplificazione con l’obiettivo di ridurre almeno del 50 per cento la normativa vigente anche mediante abrogazione delle normative risalenti nel tempo, prevedendo un nuovo regime di sanzioni, in particolare di tipo premiale, che tengano conto della natura sostanziale o formale della violazione e favoriscano la immediata eliminazione degli effetti della condotta illecita;
b)    identificazione di un nucleo di diritti universali e indisponibili, di rilevanza costituzionale e coerenti con la Carta dei diritti fondamentali della Unione Europea, applicabili a tutti i rapporti di lavoro dipendente e alle collaborazioni a progetto rese in regime di sostanziale mono-committenza;
c)    conseguente identificazione della rimanente area di tutele con possibilità per la contrattazione collettiva di una loro modulazione e promozione nei settori, nelle aziende e nei territori, anche in deroga alle norme di legge, valorizzando il ruolo e le funzioni degli organismi bilaterali. Nell’esercizio di questa capacità la contrattazione collettiva tiene conto, in particolare, dei seguenti indici:
-    andamento economico della impresa, del territorio o del settore di riferimento con particolare riguardo alle crisi aziendali e occupazionali, all’avvio di nuove attività, alla realizzazione di significativi investimenti e ai più generali obiettivi di incremento della competitività e di emersione del lavoro nero e irregolare;
-    caratteristiche e tipologia del datore di lavoro anche con riferimento a parametri dimensionali della impresa non legati al solo numero dei dipendenti;
-    caratteristiche del lavoratore con specifico riferimento alla anzianità continuativa di servizio, alla professionalità o alla appartenenza a gruppi svantaggiati;
-    modalità di esecuzione della attività lavorativa autonoma e coordinata con un solo committente, con particolare riferimento all’impegno temporale e al grado di autonomia del lavoratore;
-    finalità del contratto con riferimento alla valenza formativa o di inserimento al lavoro.
d)    riordino della regolazione delle tutele nel mercato del lavoro con riferimento ai servizi di orientamento e collocamento al lavoro e ad attività di formazione secondo percorsi per competenze in ambiente produttivo, certificabili negli esiti, coerenti con i fabbisogni professionali rilevati;
e)    estensione, su base volontaria od obbligatoria e mediante contribuzioni corrispondenti alle prestazioni, degli ammortizzatori sociali senza oneri aggiuntivi di finanza pubblica.
3.    I principi e criteri direttivi di cui al comma 2 potranno essere integrati da un avviso comune reso al Governo dalle associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative su scala nazionale entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge.

Articolo 2
Disposizioni concernenti l’esercizio della delega di cui all’articolo 1

1.    Gli schemi dei decreti legislativi di cui all’articolo 1, deliberati dal Consiglio dei Ministri e corredati da una apposita relazione sono trasmessi alle Camere, una volta sentite le associazioni sindacali comparativamente più rappresentative dei datori e prestatori di lavoro, per l’espressione del parere da parte delle competenti Commissioni parlamentari permanenti entro la scadenza del termine previsto per l’esercizio della relativa delega.
2.    In caso di mancato rispetto del termine per la trasmissione, il Governo decade dall’esercizio della delega. Le competenti Commissioni parlamentari esprimono il parere entro trenta giorni dalla data di trasmissione. Qualora il termine per l’espressione del parere decorra inutilmente, i decreti legislativi possono essere comunque adottati. Qualora il termine previsto per il parere delle Commissioni parlamentari scada nei trenta giorni che precedono la scadenza del termine per l’esercizio della delega o successivamente, quest’ultimo è prorogato di sessanta giorni.
3.    Entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi di cui all’articolo 1, il Governo può adottare eventuali disposizioni modificative e correttive, comprensive della possibilità di adottare un testo unico delle disposizioni in materia di lavoro, con le medesime modalità e nel rispetto dei medesimi criteri e princìpi direttivi.

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