martedì 5 ottobre 2010

La vera opposizione in Italia di Eugenio Orso

«Agitatevi perché avremo bisogno di tutto il vostro entusiasmo».
In queste attualissime parole di Antonio Gramsci è racchiusa la sostanza del problema politico e sociale dell’Italia di oggi, in cui non c’è più un’estesa mobilitazione sulle grandi questioni del lavoro e del welfare, che incidono nella carne viva della classe subalterna, e in cui è evidente – accanto ad una “idiotizzazione” di strati sempre più ampi di popolazione, promossa dal subpotere mediatico e politico italiota – il drammatico difetto di partecipazione e di consapevolezza dei soggetti.
Il fatto è che non pochi si “agitano”, in questo paese, appoggiando le false opposizioni, la cui pericolosità per il sistema è bassa o nulla, per rivendicazioni o finte battaglie destinate ad arenarsi e a spegnersi sui binari morti della protesta.
Ma la vera opposizione politica e sociale fa veramente paura ai “servi del sistema” [usiamo pure questa vecchia espressione, destinata a tornare d’attualità], al punto tale che le questioni del lavoro, le agitazioni dei lavoratori a “macchia di leopardo” sul territorio, le proteste di operai e impiegati, di precari della scuola e disoccupati, davanti all’offensiva finale de-emancipatrice e ri-plebeizzante, sono opportunamente silenziate, a partire dai media nazionali fino alla stampa locale, oppure strumentalizzate in chiave negativa e denigratoria dei lavoratori stessi.
Non altrettanto può dirsi per le false opposizioni e le loro iniziative, utili al sistema per distrarre l’attenzione dalle questioni fondamentali dell’epoca.
Le false opposizioni, anche se non sempre godono di “buona stampa”, non subiscono certo la congiura del silenzio che è riservata alle lotte sindacali, alle proteste sul territorio, agli scioperi e alle manifestazioni dei lavoratori, ed infatti, si parla del “popolo viola” che vorrebbe fare una nostrana “rivoluzione colorata”, simile a quella ucraina o georgiana benedette dall’amministrazione USA, delle liste elettorali del comico Beppe Grillo che strapperanno voti e seggi al Pd e porteranno in parlamento una protesta virtuale, delle sfuriate e delle iniziative di quella IdV dipietrista interna al sistema politico che fa discendere ogni male da Berlusconi, o di Vendola che si propone come leader dell’ala sinistra filo-capitalista, ma non si parla, se non per denigrare, accusare di illiberalità o addirittura di “squadrismo”, delle iniziative di lotta concrete, sul territorio, dei lavoratori e delle motivazioni più profonde che animano questi resistenti.
In ciò, tutte le televisioni, tutti i canali d’informazione “ufficiale” e tutti i gruppi editoriali sono uguali, “normalizzati” e aderenti ai sovrani interessi del capitalismo contemporaneo, dai quali non è permesso prescindere e i quali informano, sempre più capillarmente, le linee editoriali e l’autocensura del clero mediatico-giornalistico.
Mentre il popolino vestito di viola, i grillini ed altri “arrabbiati” sbraitano periodicamente nelle piazze contro Berlusconi o assumono iniziative superficiali, fuorvianti, del tutto secondarie, destinate a non avere un impatto decisivo sull’ordine politico e sociale impostoci, se dovesse montare la vera protesta sociale, con riflessi politici concreti e con la nascita di un vero e proprio movimento antagonista, non si potrebbe più procedere così spediti sulla strada della flessibilizzazione selvaggia del lavoro, della precarizzazione esistenziale e della compressione dei redditi dei subalterni, che poi sono le cose che contano e che caratterizzano, da un punto di vista sociale e culturale, il modello di capitalismo in essere e ne garantiscono la riproduzione.
Accanto alle menzogne mediatiche sulla ripresa economica – che può significare soltanto la ripresa delle rendite finanziarie e dei profitti, in quadro capitalistico senza ridistribuzione della ricchezza – appare ormai chiaro che la crisi non ha comportato una revisione in senso keynesiano delle politiche economiche e sociali, per quanto moderatamente e timidamente riformista, tale da non compromettere interamente il potere del capitale finanziario, ma ha consentito ai gruppi globalisti dominanti di “premere sull’acceleratore” per velocizzare lo spietato processo di ristrutturazione sociale in corso.
Se le strutture globaliste europee, come è ormai chiaro, puntano a prendere il controllo dei paesi del vecchio continente, ricattati con le sanzioni, tagliando selvaggiamente salari e pensioni, Marchionne da Pomigliano in poi ha “dato una scossa”, sempre in senso globalista e peggiorativo, non solo alle relazioni industriali in questo paese per un nuovo e più intenso sfruttamento di un lavoro senza diritti, ma anche a coloro che covavano residui di speranza per la ripresa di un possibile, futuro percorso di emancipazione dei subalterni.
Dietro lo spettro della “competitività” a livello globale, si nasconde lo scontro che fra un po’ sarà senza quartiere fra i gruppi di potere globalisti, con i gruppi occidentali il cui potere è minacciato dagli “emergenti”, intendendo con questa espressione non certo gli operai cinesi o indiani – che sono vittime nello scontro planetario quanto noi – ma la dirigenza del partito comunista cinese, i nuovi miliardari cresciuti all’ombra delle riforme capitalistico-mercatiste orientali denghiane e i magnati indiani.
Pressoché tutta la piccola politica interna al sistema, senza distinzioni anacronistiche fra destra e sinistra, nonché i sindacati gialli e compiacenti, gli organi di stampa, le televisioni, convergono con Confindustria [e con Marchionne] nell’affondo finale al lavoro, ed assediano l’unica forza rimasta in Italia, cioè la Fiom all’interno della CGIL, che guida la vera protesta sociale, politica e sindacale.
Gli eventi di questi ultimi giorni confermano che la posta in gioco è alta, e che con o senza Berlusconi – rimosso il quale tornerà il sereno, come si cerca di far credere – Confindustria, Marchionne, sindacati proni, la piccola politica e loro collegati non la smetteranno fin tanto che non avranno piegato totalmente i lavoratori, riducendoli a meri fattori della produzione, o la più a dei moderni iloti, per “competere sul piano globale” e fare profitto.
Ciò rivela il ruolo che in questa divisione internazionale del lavoro è stato assegnato all’Italia dai grandi centri finanziari anglo-americani, dei quali tutti, dall’esecutivo Berlusconi-Lega alla “sinistra” parlamentare sono tributari.
Un ruolo marginale, all’interno degli steccati delle produzioni tradizionali, per giocare il quale servono soprattutto lavoratori dequalificati e sottopagati.
La concorrenza con la Cina – il vero incubo capital-mercatista di questo inizio di millennio – si fa sul costo del lavoro e sui diritti dei lavoratori, violando sistematicamente, se serve, anche la costituzione formale.
Per questo si erigono recinti normativi, con la complicità del governo in carica, con l’aiuto dei falsi sindacati e della “sinistra” liberal-liberataria, in cui relegare lavoratori che non hanno più la qualità di cittadini, ma quella di qualsiasi altra materia prima o semilavorato utilizzato nel ciclo produttivo.
Il giorno 29 settembre è stato siglato l’accordo separato fra la Confindustria e Fim-CISL e Uilm-UIL compiacenti per derogare a tutti gli istituti del contratto nazionale di lavoro, con la scusa del contenimento degli effetti economici e occupazionali [ironia probabilmente voluta, questa ultima] derivanti da situazioni di crisi aziendale, attraverso specifiche intese modificative.
Solo una minoranza ha colto la gravità di questo accordo, siglato in barba al sindacato italiano maggiormente rappresentativo, dato che quello che era il plafond minimo, il contratto collettivo nazionale di lavoro, attraverso la prassi delle deroghe diventerà il massimo ottenibile dai lavoratori, essendo certi che ovunque, all’interno degli organismi aziendali e con il supporto dei sindacati gialli firmatari, si derogherà abbondantemente, erodendo il potere d’acquisto di salari e stipendi e rendendo inoperanti gli altri diritti fino ad ora riconosciuti.
Le “Organizzazioni sindacali stipulanti”, come risulta dal testo del famigerato accordo, sanno bene quello che fanno e sanno cosa significherà tutto questo per i lavoratori.
In pratica, dopo aver diffuso il lavoro flessibile e precario, particolarmente fra le nuove generazioni “colonizzandole culturalmente” e precarizzando la loro intera esistenza, si flessibilizza il lavoro regolare, soggetto ai contratti a tempo indeterminato, quanto ad orari, ritmi, condizioni, straordinari, malattia, pause, eccetera.
Come precisato in apertura, le manifestazioni dei lavoratori e gli scioperi, guidate da quegli “estremisti” della Fiom e dell’Area Programmatica [alla quale aderiscono anche impiegati pubblici, insegnanti, bancari, altro che “estremisti” o sovversivi patologici!], sono spesso ignorati a tutti i livelli dai media italiani, oppure connotati negativamente quando i lavoratori osano alzare, sia pur di poco e simbolicamente, il livello della protesta.
Alcuni esempi?
I lavoratori della Same di Treviglio e i metalmeccanici di Livorno sono assurti ai “disonori” delle cronache non perché hanno aggredito e bastonato datori di lavoro e sindacalisti venduti, non perché hanno aderito alla “critica delle armi” nelle situazioni sempre più disperate in cui versano soprattutto gli operai, ma soltanto per il lancio di qualche uovo, accompagnato da qualche insulto, contro la locale sede della CISL, per quanto riguarda i primi, ed anche contro la sede di Confindustria per quanto riguarda i secondi.
La stampa prezzolata ha subito approfittato per parlare di “squadrismo”, di estremismo, per diffondere una sorta di allarme, come si trattasse di gravissime violenze.
Sul Corriere della Sera di ieri, 4 di ottobre, per fare un esempio qualificante, il pennivendolo-servo Dario De Vico, nell’articolo «La Fiom e la strategia delle uova», stigmatizza i “cattivi” della Fiom e i “cattivi” operai che seguono questa nuova ed indesiderata forza “extraparlamentare”, nel tentativo – secondo De Vico condannabile perché non ci sono di mezzo i suoi sontuosi compensi e i suoi ingiusti privilegi – di ostacolare l’armoniosa collaborazione instauratasi fra Confindustria e sindacati compiacenti, che sola potrà assicurare “competitività” delle strutture produttive nazionali ... naturalmente riducendo all’impotenza ed infine rinchiudendo in una gabbia d’acciaio i lavoratori.
Per quanto riguarda il silenziamento giornalistico delle iniziative dell’unico sindacato rimasto e di tutti i lavoratori consapevoli della situazione, posso portare brevemente il caso di Trieste, per far comprendere a chi ancora non l’avesse intuito come funzionano le cose.
Giovedì 29 settembre la Fiom ha indetto uno sciopero di otto ore, a Trieste, nel locale stabilimento di una delle maggiori industrie metalmeccaniche della Venezia Giulia, la Wärtsilä Italia, di proprietà di un gruppo finlandese, che produce grandi motori ad uso navale.
Per quanto allo sciopero abbia aderito almeno il sessanta per cento dei dipendenti, non una sola riga è comparsa sui giornali locali a titolo d’informazione, e questo a partire dal quotidiano Il Piccolo, che è il più venduto nella zona.
Il giorno dopo, 30 di settembre, la direzione provinciale della Fiom si è riunita in una piazza di Trieste per un incontro pomeridiano aperto alla cittadinanza, che ha avuto un discreto successo in termini di partecipazione ed ha attirato molti triestini per la concretezza dei temi trattati.
Anche in tal caso, non una sola riga sui quotidiani locali, con il chiaro intento di “oscurare” questa iniziativa.
In entrambi i casi non si è avuto un solo incidente, trattandosi di manifestazioni ordinate e civilissime [alla seconda ho partecipato anch’io], e perciò, non potendo essere strumentalizzate mediaticamente in chiave negativa, non potendo procedere alla solita “criminalizzazione” dei partecipanti, in assenza di slogans coloriti e di lanci di uova, si è provveduto a silenziarle, a non far trapelare nulla che le riguardava.
Ciò che non viene raccontato in video, in voce o sulla carta stampata, praticamente non esiste.
Che dire, se questo è il clima, e come si può riassumere in breve la situazione?
Giornalisti e intellettuali sono schierati per ben oltre il 90% con il potere vigente, appoggiano le manovre precarizzanti e flessibilizzanti, sono disposti a legittimare qualunque nefandezza esclusivamente per mantenere i loro privilegi e il loro status, fregandosene delle sofferenze che il prossimo futuro riserverà alla grande maggioranza della popolazione.
Non c’è più alleanza – tanto per scrivere una cosa ovvia, talmente ovvia che si potrebbe tranquillamente omettere – fra quella che è la critica sociale al sistema e la critica intellettuale, da taluni chiamata “artistica”, questa ultima ormai assorbita quasi per intero negli apparati ideologici neoliberali e globalizzanti.
In altri casi, quando non ci sono “pericoli estremistici” e supposte violenze da paventare [lanci di uova? Lanci di insulti meritati?], le notizie passano sotto completo silenzio anche sulla stampa locale, che dovrebbe essere attenta a tutto ciò che si muove sul territorio segnalandolo ai lettori.
Un’ultima considerazione, che non chiude il cerchio, ma completa un poco il fosco quadro generale.
Giovedì 29 settembre, durante la notte, si è consumato un ambiguo attentato a Belpietro, berluscones di rango e direttore del berlusconiano Libero.
Questo attentato, è stato attribuito ad un ignoto, il quale è fuggito nonostante sia stato intercettato sulle scale del condominio dal capo scorta di Belpietro, quando il direttore di Libero già al sicuro nel suo appartamento.
Un paio di colpi in aria, da parte del capo scorta, e poi la fuga dell’ignoto attentatore, che portava una camicia grigia e le mostrine della guardia di finanza.
Tralasciando le incongruenze che caratterizzano la versione dell’oscuro episodio data dal capo scorta, per lo scrivente si tratta di un falso attentato senza conseguenze, che forse sarà seguito, nel prossimo futuro, da episodi simili, volti a diffondere la “sindrome terroristica” nella popolazione, tale da giustificare interventi repressivi diretti essenzialmente contro coloro che ancora animano la vera protesta, quella sociale.
Anzi, non è escluso che possa essere sacrificato un VIP di seconda scelta, come passo successivo e se le agitazioni dei lavoratori – guidati dalla Fiom e dall’Area Programmatica all’interno della CGIL – dovessero riprendere vigore nel paese, e in tal caso non si tratterebbe certo di un atto senza conseguenze, ma di un’azione atta a drammatizzare il pericolo terrorista e a renderlo più concreto …
Quindi, come ha scritto il filosofo politico Antonio Gramsci all’inizio del Novecento, «Agitatevi perché avremo bisogno di tutto il vostro entusiasmo», riscoprite la parola conflitto, ricomponete in forma nuova le solidarietà di classe fra i subalterni, vincete la paura e l’inerzia per una nuova e partecipata stagione di antagonismo ed emancipazione, ma in modo responsabile, con prudenza e attenzione, dati gli inquietanti segnali che fin d’ora ci giungono.

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