lunedì 30 marzo 2009

L'accordo separato sul modello contrattuale raccoglie una massa enorme di giudizi negativi

Tantissimi lavoratori, pensionati, giovani hanno partecipato al voto. In proporzione ha votato una quantità di persone maggiore che in occasione di altre consultazioni promosse unitariamente. Praticare la democrazia è una scelta che risulta fortemente condivisa. L’accordo separato sul modello contrattuale raccoglie una massa enorme di giudizi negativi


TREMILIONISEICENTOQUARANTATREMILAOTTOCENTOTRENTASEI.

Scrivere il numero delle donne e degli uomini (lavoratori, pensionati, precari) che hanno partecipato alla consultazione promossa dalla sola CGIL sull’accordo separato, relativo al modello contrattuale del 22 gennaio scorso, rende ancora più evidente il grande risultato raggiunto.

Ricapitoliamo: nel mese di gennaio la CGIL chiede a CISL e UIL di promuovere, come fatto in altre occasioni, una consultazione unitaria sull’Accordo relativo al modello contrattuale. A fronte del loro rifiuto, la CGIL promuove la consultazione da sola (il voto si è concluso venerdì 27 marzo).

Considerato che la democrazia deve sempre sposarsi con la trasparenza, le regole adottate per gestire il voto in questa occasione sono state le stesse condivise con CISL e UIL nel 2007. Inoltre, grazie alla rigorosa tenuta dei seggi, abbiamo respinto tentativi di inquinare il voto.

Hanno partecipato alla consultazione promossa dalla CGIL 3.643.836 persone, che sono il 71% circa di quanti votarono nel 2007 alla consultazione promossa da CGIL, CISL e UIL in occasione della sottoscrizione con il Governo Prodi del Protocollo relativo al welfare.

Per rendere ancora più evidente il grande significato democratico che condensa questo risultato basti pensare che nel 2007 votarono 5.128.507 lavoratori e pensionati, pari al 42,41% della rappresentatività di CGIL, CISL e UIL che era di 12.092.687 tra iscritte e iscritti.

Se applicassimo lo stesso rapporto percentuale con gli iscritti alla CGIL, per reggere il confronto con il 2007, avrebbero dovuto votare 2.174.999 persone. Invece i 3.643.836 votanti nel 2009 rappresentano, rispetto ai 5.734.855 iscritti alla CGIL al 31 dicembre 2008, il 63,54%.

Complessivamente la CGIL da sola porta al voto oltre i 2/3 dei votanti del 2007.

Sempre in materia di confronti, nel 2005, nella consultazione promossa dalle tre Confederazioni in occasione della sottoscrizione del Protocollo, votarono 4.429.096 lavoratori, mentre in occasione della consultazione relativa al Protocollo del 23 luglio 1993 sulla politica dei redditi e sugli assetti contrattuali votarono 1.327.290 lavoratori.

Siamo quindi di fronte ad un risultato enorme sul versante della partecipazione e del voto, la dimostrazione concreta che il valore della democrazia è un valore attualissimo per lavoratori, pensionati, precari e che, tutte le volte che si mette in campo la richiesta di un pronunciamento, la partecipazione è molto alta perché le persone vogliono poter determinare le scelte che le riguardano. In questa direzione lo slogan che abbiamo adottato per la consultazione “Io voto, io conto” rappresenta al meglio il risultato ottenuto.

Inoltre la CGIL ha portato al voto una quota molto alta di non iscritti che, con la loro partecipazione, hanno rafforzato le ragioni della democrazia nel rapporto con i lavoratori.

L’esito della consultazione è, poi, nettissimo: il 96,27% esprime il proprio deciso dissenso all’accordo separato sul modello contrattuale.

Tutto ciò rappresenta un valore aggiunto rilevantissimo e mette a disposizione un risultato che dovrebbe consigliare attente riflessioni a più di una forza sociale, alle nostre controparti e al Governo.

Votazione Insiel e Insiel Mercato Trieste


N. lavoratori Percentuale
Aventi Diritto 519100
Votanti23545,28
Voti Contrari17574,47
Voti Favorevoli5121,7
Bianche / Nulle93,83

mercoledì 25 marzo 2009

Manifestazione CGIL 4 aprile 2009 a Roma













Il Nobel a Berlusconi

Prima di Berlusconi è stata la signora Melba Ruffo, in televisione a Domenica In, ad affermare che per uscire dalla crisi bisogna lavorare di più. La sua idea allora non riscosse un grande successo, non se ne colse la genialità. Non conosciamo le fonti che ispirano le acute intuizioni del Presidente del Consiglio, ma lui oggi ripete lo stesso concetto fornendogli quell’autorevolezza che prima mancava.
Lavorare di più per uscire dalla crisi, dunque. Bene, vediamo in concreto che significa, senza i soliti pregiudizi ideologici. (...)

Immaginiamo che prima di tutto si pensi di far lavorare di più chi ha perso o rischia di perdere il posto, o chi è da lungo tempo in Cassa integrazione. Quindi i lavoratori della Fiat di Pomigliano, i tessili di Prato, le lavoratrici della Indesit di Torino, i cassintegrati dell’Alitalia, i precari pubblici e privati che rischiano di scomparire dal ruolino dell’occupazione, e tante e tanti altri. Secondo dati che il Governo considera allarmistici, ma che tutte le fonti confermano, entro la fine dell’anno avremo oltre 500 mila cassaintegrati e altrettanti disoccupati in più. Far lavorare di più un milione di persone che non lavora affatto non dovrebbe essere difficile per il cavalier Berlusconi, visto che sulla promessa di un milione di posti di lavoro ha fondato la sua discesa nel campo della politica. Ma come, dove? Sono lavori pubblici, quelli che vengono offerti? E’ la costruzione del Ponte di Messina? E’ la stanza in più nell’appartamento che ogni famiglia, anche nei palazzi a venti piani, potrà costruire secondo un’altra promessa del Presidente del Consiglio? Una promessa che solo incalliti detrattori possono trovare in contrasto con le leggi urbanistiche e anche con quelle della fisica. E’ un impegno che otterrà dalla Confindustria della signora Marcegaglia, che ha chiesto e ottenuto recentemente “soldi veri” dal Governo? Non è chiaro.
A meno che il lavoro in più a cui potrebbe dedicarsi questo milione di persone non sia il lavoro nero, quello che secondo un altro acuto comunicatore, il ministro Brunetta, costituirebbe un vero e proprio ammortizzatore sociale. Ma forse stiamo equivocando. Berlusconi parlava di far lavorare di più quelli che ancora lavorano. Qui facciamo fatica a capire come e cosa ci guadagnano i disoccupati, a cui governo e imprese non offrono lavoro dignitoso, se gli occupati lavorano di più. Secondo noi così si aggrava la crisi, ma il nostro è probabilmente un vecchio schematismo ideologico e anche matematico, che non crede che in economia si possano moltiplicare i pani e i pesci. Come invece hanno creduto coloro che hanno comprato i derivati e i vari titoli spazzatura e che erano convinti che l’economia non fosse più sottoposta ad alcuna legge.
Comprendiamo che alla parola legge il Presidente Berlusconi abbia una reazione stizzita. Ma stia tranquillo, la violazione delle leggi dell’economia non è reato da nessuna parte e anche coloro che negli Stati Uniti hanno pensato di poter vendere e comprare all’infinito il Colosseo, la stanno facendo quasi tutti franca.
Secondo noi quando un’economia è depressa o in crisi, sarebbe necessario, prima di tutto, redistribuire il lavoro e i redditi, invece che accumulare disuguaglianza tra chi può lavorare e chi no e, ancor di più, tra chi è ricco e chi no. Però è difficile far intendere il concetto di redistribuzione a chi pensa che sia offensivo anche solo sospettare che i ricchi non siano tali per diritto divino.
Allora il cavalier Berlusconi provi a spiegarci in concreto come funziona il meccanismo per cui se io lavoro il doppio e tu lavori niente, abbiamo un lavoro per uno. Provi a superare il significato profondo del sonetto di Trilussa e magari potrà concorrere al Nobel per l’economia. In fondo nel passato quel premio l’hanno ottenuto persone che avevano idee più strambe e anche più dannose delle sue.

Giorgio Cremaschi, Liberazione, 25 marzo 2009

domenica 22 marzo 2009

Rai, Fiction su Di Vittorio: Caradonna dove sta?

[...] Dopo lunghe trattative i signorotti di Cerignola dovettero accettare un accordo secondo il quale dove venivano ingaggiati lavoratori di altri paesi dovevano trovare occupazione, in uguale numero, i braccianti locali, a condizione, però, che la tariffa di Cerignola fosse applicata per tutti. Non tutti valutarono subito la grande importanza di quell’accordo, di quel contratto diretto tra i braccianti protetti da contratti di lavoro e braccianti esposti all’avidità padronale. Ancora una volta, dopo aver sottoscritto l’accordo, qualche proprietario tentò di sottrarsi all’applicazione di esso. E questa volta il tentativo fu compiuto dall'agrario Giulio Caradonna, padre di quel Giuseppe Caradonna che dirigerà più tardi il movimento fascista pugliese.

Quando alla Lega si seppe che Caradonna aveva ingaggiato a zappare in una sua vigna sita ad appena due chilometri da Cerignola un buon numero di braccianti del vicino paese di Canosa fu presa la decisione di andare nella stessa vigna, la mattina seguente, con un numero uguale di braccianti di Cerignola. E la mattina seguente infatti Giuseppe Di Vittorio si pose alla testa d’una squadra di lavoratori e si recò con quelli a zappare la vigna di Caradonna. Quando già il lavoro durava da un paio d'ore, ecco giungere sul posto i due figli dell’agrario, Giuseppe e suo fratello, che più tardi sarà questore fascista di Alessandria e di altre città italiane, entrambe armati di fucile. «Fuori dalla vigna!» gridarono i giovani Caradonna agitando le loro armi. Ma la squadra di braccianti, capeggiata da Giuseppe Di Vittorio, era formata di proletari decisi e il giovane rivoluzionario si portò di faccia ai signorotti e disse loro, press'a poco: «Sentite, abbassate quei fucili e discutiamo. Se proprio volete sparare, sparate pure. Poi vedremo che cosa accadrà. Io credo che sia meglio ragionare». Di fronte all'atteggiamento deciso e calmo dei lavoratori, fra i due giovani Caradonna e il giovane Di Vittorio si svolse un lungo colloquio al termine del quale i due «padroncini» si trovarono completamente privi di argomenti. «Va bene, per oggi lavorate ma domani non fatevi vedere» disse il più grande dei due fratelli. «No, noi verremo anche domani e fino a quando lavoreranno in questa vigna i braccianti di un altro paese, secondo l’accordo sottoscritto» fu la risposta di Giuseppe Di Vittorio. [...]»

Questo si legge nella biografia di Giuseppe Di Vittorio scritta da Felice Chilanti; ed è nozione comune per chiunque sappia qualcosa delle lotte contadine in Puglia agli inizi del ‘900. L’episodio, televisivamente drammatizzato, si è visto nella prima puntata della fiction “Pane e libertà” messa in onda in prima serata da Rai 1 domenica 15 e lunedì 16 marzo 2008, con la sponsorizzazione pubblicitaria di una banca barese.
Per quanto la RAI abbia presentato il lavoro come «fiction», e non come documentario di ricostruzione storica, «Pane e libertà» si presenta come una storia vera: la biografia di un importante personaggio della nostra storia sociale. Nel film, Giuseppe Di Vittorio si chiama Giuseppe Di Vittorio, Giacomo Matteotti si chiama Giacomo Matteotti, e, analogamente, alla realtà corrispondono i nomi di tutti gli altri personaggi storicamente documentabili: Giuseppe Di Vagno, Bruno Buozzi, Palmiro Togliatti, Achille Grandi, ecc.
Fa clamorosamente eccezione il caso dei Caradonna, il padre Giulio e il figlio Giuseppe, latifondisti agrari di Cerignola (Foggia), piuttosto fascisti e un tantino criminali. In effetti la loro carognaggine nello sceneggiato non viene taciuta: loro e i loro sgherri prendono a fucilate i braccianti che protestano, tentano di far fuori Di Vittorio – appena eletto in parlamento – e non ce la fanno perché lui li affronta pistola in pugno. Guidano l’assalto alla Camera del lavoro di bari difesa dai compagni... Tutto vero nella sostanza anche se nella forma e nei particolari, oltre che nella visione d’insieme, ci sarebbe parecchio da eccepire in questo tipo di narrazione. Ma il nome dei Caradonna non si sente mai. A far soffrire i braccianti del Tavoliere, a maneggiare armi contro la povera gente, a tramare nell’ombra per ottenere dalle autorità statali provvedimenti repressivi nei confronti di Di Vittorio, a tentare di impedire con le armi che la gente voti per lui alle elezioni del 1921, a tentare l’assalto alla Camera del Lavoro di Bari ecc, sarebbero stati i baroni Rubino, padre e figlio; senonché di baroni Rubino nella storia di Giuseppe Di Vittorio non c’è traccia. C’è invece traccia di Giulio Caradonna il vecchio, il barone Rubino che tiene la scena nella prima parte dello sceneggiato, e di Giuseppe Caradonna, capomazziere e fondatore dei Fasci di Combattimento di Cerignola, prima di partecipare alla «marcia su Roma» come comandante della colonna meridionale.
Cosa può aver indotto gli autori a questa, chiamiamola così, prudenza nei confronti della famiglia Caradonna? Oggi è vero che gli eredi di quelli lì sono al governo; ma è anche vero che qualche atto di “sganciamento” dai loro illiberali progenitori hanno pur tentato di farlo o almeno di inscenarlo. Infondo non mancano paradigmi storiografici improntati alla “revisione” storica, utilizzando i quali qualcuno avrebbe potuto tentare di assegnare pari dignità alle fazioni combattenti. Ma evidentemente quando è troppo è troppo. E i Caradonna il fascismo ce l’hanno dentro come patrimonio genetico. Giuseppe Caradonna è morto nel 1963, ma nel 1927 gli era nato un figlio, chiamato Giulio come il nonno. Costui aderì giovanissimo alla RSI. Nel 1958 fu eletto deputato per il Movimento Sociale Italiano, il partito postfascista di Michelini e Almirante. Il 16 marzo 1968 guidò assieme a Giorgio Almirante e Massimo Anderson i circa 200 militanti di MSI e di Volontari Nazionali che attaccarono L' Università di Roma "La Sapienza" per fermare l'occupazione del movimento studentesco. Tranne una parentesi dal 1976 al 1979, è stato in Parlamento fino al 1994. Non ha aderito ad Alleanza Nazionale e nel tempo si è avvicinato a Forza Nuova. Ma per le elezioni del 2008 ha invitato a votare per il Popolo delle Libertà. In tutto questo tempo non si è fatto mancare nulla, come collaborare in affari con Ciarrapico ed essere iscritto alla loggia P2, come un altro tale che non nomino per eccessiva notorietà.
Da quando nel 1995 sul Corsera Dario Fertilio lo definì «ex picchiatore per antonomasia», è uscito sempre perdente da controversie giornalistiche e giudiziarie quando ha cercato di difendersi smentendo.
Possiamo immaginare che un figuro simile abbia potuto mettere in moto una catena di pressioni? Immaginiamolo e vediamo che succede. Succede che, finita lunedì la seconda puntata con la morte di Di Vittorio, con un Togliatti descritto come un dio di stronzo (per dirla alla napoletana), entra in scena Bruno Vespa. Questa volta la puntata di «porca a porca» è dedicata ai sessant’anni della «destra storica del dopoguerra» (sic), che sarebbe quella cosa che va da Almirante a Fini. Ospiti in studio: sei esponenti di AN, dal più vecchio, Altero Matteoli, alla più giovane, Giorgia Meloni. L’occasione sarebbe lo scioglimento di AN che confluirà nel PDL. Non c’era un giornalista. Non c’era uno storico. Non c’era un cazzo! Solo Vespa e sei postfascisti che han detto quello che han voluto. Chissà come se la rideva il vecchio Giulio Caradonna junior! Pardon: il nipote del barone Rubino...

http://www.carmillaonline.com

sabato 21 marzo 2009

Il mondo È attraversato da una crisi drammatica Tutti i governi si mobilitano Il governo italiano pensa ad altro!

Un Governo che non decide è un Governo che vuole scaricare i costi della crisi su lavoratori e lavoratrici, su pensionati e pensionate, sui giovani .

È la risposta sbagliata. Nella crisi servono più tutele sociali, non meno.

Bisogna investire risorse per la politica industriale
La CGIL chiede che tutte le misure prevedano esplicitamente vincoli di difesa dell'occupazione e impegni a non spostare all'estero produzioni e stabilimenti

Difendere il lavoro
La cassa integrazione si prolungherà nel tempo ed aumenterà: chiediamo che venga aumentato da subito il tetto che riduce a 750 € la retribuzione netta mensile: una cifra troppo bassa che non consente di vivere

Difendere i salari, stipendi, pensioni
Un numero enorme di lavoratori e pensionati non riesce ad arrivare alla fine del mese. Abbiamo chiesto detrazioni sul lavoro dipendente, la restituzione del fiscal-drag, di aumentare le pensioni e di estendere la quattordicesima alle pensioni povere. Il Governo ha risposto con la social-card e propone di privatizzare i servizi pubblici, la sanità, l'assistenza.

Ma tutto ciò non fermerà l'azione della CGIL
Partecipa alle assemblee che la CGIL promuove per illustrare i contenuti dell' Accordo separato e per far conoscere le proprie proposte per affrontare la grave crisi che attraversa il Paese Partecipa alla consultazione promossa dalla CGIL e con il voto fai conoscere il tuo giudizio sull'Accordo separato

Partecipa il 4 Aprile alla grande
Manifestazione Nazionale a Roma

giovedì 5 marzo 2009

Considerazioni

I camalli di Genova (nome usato per gli scaricatori di porto) venivano pagati con due tariffe differenziate: col mugugno o senza mugugno.
Sembra strano eppure gran parte dei genovesi, notoriamente attaccati al denaro, sceglievano la tariffa più bassa per poter “mugugnare” durante il lavoro

Referendum Nuovo Modello Contrattuale

AL REFERENDUM VOTA
- CONTRARIO -

lunedì 9 marzo 2009
dalle 8.00 alle 10.00 e dalle 12.00 alle 15.00

martedì 10 marzo 2009 dalle ore 12 alle ore 14.00



NELL’ACCORDO SEPARATO:
1. Si programma la riduzione dei salari, perché:
- i salari nel contratto nazionale si dovranno contrattare ogni 3 anni invece che ogni 2, senza nessuna garanzia che le imprese debbano rispettare le scadenze o dare gli arretrati;
- sarà obbligatorio chiedere aumenti sulla base dell’indice deciso da un ente terzo, senza aggiungere un centesimo;
- da questo indice dovrà essere tolto l’aumento del costo dell’energia, per cui comunque le richieste dovranno essere sotto l’inflazione reale (come se i lavoratori non pagassero gli aumenti del gas, dell’elettricità, della benzina, ecc.!);
- gli aumenti verranno calcolati su una retribuzione inferiore a quella reale e anche a quella attualmente concordata nei contratti.
Se nell’ultimo rinnovo del contratto nazionale si fossero applicate queste nuove norme, invece che 127 euro in due anni e mezzo, i metalmeccanici avrebbero ricevuto 70-80 euro in tre anni.
2. Il contratto nazionale non è più certo ed esigibile.
Per la prima volta si stabilisce la possibilità di fare accordi (magari separati!) che abbassano i salari, cambiano gli orari, riducono i diritti definiti dal contratto nazionale, con la motivazione di favorire la competitività delle imprese o per l’occupazione. Ovunque ci sia crisi, le aziende potranno pretendere di non applicare più il contratto nazionale.
3. Il salario aziendale sarà ancora più flessibile, incerto e legato all’aumento della fatica sul lavoro.
Questo infatti è ciò che intendono le imprese e il Governo con l’ampliamento della quota di salario legata alla produttività. Il salario aziendale fisso, previsto dal contratto, sarà sempre più sostituito da quello flessibile, senza la garanzia e la certezza della contrattazione in azienda.
4. Si estende la bilateralità, si centralizza e si indebolisce la contrattazione.
Per la prima volta si definiscono limitazioni del diritto costituzionale allo sciopero.
L’accordo separato è dunque profondamente negativo e totalmente peggiorativo della situazione esistente. Ancora più grave è, però, che le regole sulla contrattazione siano decise solo da una parte dei sindacati e senza consultare i diretti interessati. Solo un referendum tra tutte le lavoratrici e i lavoratori può decidere se quell’intesa va bene oppure se, come pensano la Fiom e la Cgil, è dannosa per l’interesse dei lavoratori. Imporre l’accordo senza democrazia è un attacco ai diritti e alle libertà delle lavoratrici e dei lavoratori che va respinto.

mercoledì 4 marzo 2009

COMUNICATO UNITARIO RSU e OO.SS. 9 febbraio

Il 9 febbraio scorso, nel corso dell’incontro congiunto presso la Regione fra rappresentanze sindacali, presidente e giunta regionale, direzioni di Insiel Mercato e Insiel, era stata concordata una riunione per la giornata odierna dove approfondire gli argomenti relativi alla procedura di vendita di Insiel Mercato affidata all’Insiel SpA.

Nell’odierno incontro, come previsto dal verbale di accordo del 24 settembre 2008, si sarebbe dovuto anche verificare lo stato di avanzamento dei lavori riguardo all’accordo quadro e il piano di formazione.
Inoltre avremmo dovuto avere comunicazione sull’organizzazione e l’organigramma di Insiel SpA.

Di fatto l’incontro non si è svolto.
Il dott.Cozzi ha sollevato obiezione sulla composizione della delegazione sindacale (erano presenti sia RSU Insiel che RSU Insiel Mercato) in quanto gli argomenti che intendeva affrontare, l’organizzazione del lavoro, riguardavano solo Insiel SpA.
Ha sostenuto ancora che gli argomenti relativi alla procedura di vendita andavano affrontati con la proprietà,

Ha dichiarato, alzandosi, che la riunione non poteva pertanto aver luogo.

In questo momento, in cui il processo di scissione è ancora in atto (non poteva certo concludersi alla mezzanotte del 31 dicembre), riteniamo sia indispensabile affrontare i problemi di Insiel e Insiel Mercato in un unico tavolo di discussione.
A fronte della posizione di chiusura della direzione, chiamiamo i lavoratori a discutere delle azioni da porre in atto in assemblee congiunte che verranno convocate per il giorno 6 marzo alle 15.30.

lunedì 2 marzo 2009

Rendimento Cometa 2008

Rendimento del TFR, non confluito nei fondi pensione, nel 2008 3,04%


Monetario PlusSicurezzaRedditoCrescita
200712,79412,58613,30013,781
gennaio12,83912,67113,20213,317
febbraio12,83512,72613,19613,295
marzo12,81812,67413,06313,051
aprile12,87312,70213,15513,355
maggio12,90612,66613,11913,393
giugno12,88812,61212,86612,793
luglio12,94312,72112,94712,787
agosto12,99012,78813,12813,006
settembre12,99512,80612,89012,418
ottobre12,99112,85212,64011,742
novembre13,04512,94612,73011,645
dicembre13,09713,04312,82711,621
Rendimento2,3683,631-3,556-15,674