venerdì 16 ottobre 2009

Salari, dal 1980 persi tremila euro l’anno

Indagine Ires Cgil: la pressione fiscale sul lavoro è aumentata dell'11%. Cgil: “Urgente intervento redistributivo per ripagare onesti dallo ‘schiaffo’ dello scudo”. Serve un “sostegno ai redditi da lavoro e da pensione”


Se la pressione fiscale fosse rimasta invariata dal 1980 a oggi, ogni lavoratore avrebbe in busta paga 3.215 euro annui in più pari a circa 247 euro mensili. Mentre, invece, l’aumento della pressione fiscale dell’11,4% - dovuto esclusivamente ad un aumento della pressione tributaria visto che la pressione contributiva è rimasta pressoché invariata dal 1980 - è stata tutta a carico del lavoro.

E’ questo il dato principale emerso oggi nel corso dell’iniziativa promossa da Cgil e Ires "Salari in crisi - Un fisco equo per sostenere i redditi da lavoro e da pensione" alla presenza del segretario confederale dell’organizzazione sindacale, Agostino Megale, e di dirigenti sindacali di Cisl e Uil. Uno studio, quello elaborato dalla Cgil e dall’istituto di ricerca, che mette assieme dati e riflessi della crisi sul lavoro per sostenere la necessità urgente di una riforma del fisco fondata sull’equità. “Se la pressione tributaria fosse rimasta la stessa - osserva Megale - il salario netto mensile non sarebbe di 1.240 euro ma di 1.487 euro”.

Ed è alla luce del dato sulla pressione fiscale negli ultimi trent’anni, associato ad altri presentati oggi, che il dirigente della Cgil sostiene la necessità di “una indispensabile riforma fiscale, nel quadro di un intervento immediato di sostegno ai redditi da lavoro e da pensione insieme al rilancio della domanda interna, con l’obiettivo strutturale di diminuire le tasse mediamente di 100 euro mensili ai lavoratori dipendenti e ai pensionati, per un motivo di ‘giustizia fiscale’. Per realizzare questo obiettivo bisogna investire almeno 1,2 punti di Pil”. La crisi, infatti, “rende urgente interventi che sostengano l’occupazione e i redditi attraverso un’azione di carattere redistributivo. Un’urgenza - ha spiegato il dirigente sindacale - dettata anche dal fatto che mentre 28 milioni di persone pagano regolarmente le tasse il governo si cimenta sullo scudo fiscale: un vergognoso schiaffo ai contribuenti onesti”.

Italia diseguale
L’Italia – ricorda la Cgil - è il sesto paese “più diseguale” tra i paesi Ocse nella distribuzione del reddito. Secondo l’ultima indagine di Banca d’Italia sui redditi delle famiglie italiane, il 10% delle famiglie più ricche possiede quasi il 45% dell'intera ricchezza netta delle famiglie italiane. Così come metà della popolazione possiede solo il 9,7% della ricchezza netta complessiva (nel 1995 era il 9,3%). In termini di reddito disponibile, il 50% delle famiglie (più povere) si trova sotto la soglia dei 26.062 euro annui. Il 10% sopra i 55.712 euro e detiene circa 1/4 del reddito disponibile totale. La ricchezza delle famiglie italiane (evidentemente soprattutto quella delle più ricche) risulta complessivamente 8 volte superiore del reddito disponibile. E risulta superiore a quella di Stati Uniti (5,8), Germania (6,1), Francia (7,9).

In Italia, nel 2007, su 41 milioni di contribuenti 76 mila (di cui 43 mila lavoratori dipendenti) hanno dichiarato più di 200 mila euro; 383 mila (di cui 218 mila lavoratori dipendenti) hanno dichiarato più di 100 mila euro. Ma, allo stesso tempo, nel 2007 sono state vendute 100 mila auto di lusso (sopra i 40 mila euro) e circolavano 94 mila imbarcazioni sopra i 10 metri (per mantenere un’imbarcazione di tali dimensioni ci vogliono dai 20 ai 30 mila euro all’anno).

L’altra faccia della medaglia
Secondo i dati forniti dalla Cgil, oltre 13,6 milioni di lavoratori guadagnano meno di 1.300 euro netti al mese. Circa 7 milioni ne guadagnano meno di 1.000, di cui oltre il 60% sono donne. Oltre 8 milioni (il 66%) di lavoratori in pensione guadagna meno di mille euro netti mensili.

La Cgil, sui temi del fisco, (“mentre è in corso un lavoro di approfondimento unitario con Cisl e Uil per aggiornare le proposte comuni”, spiega il segretario confederale di Corso d’Italia), avanza proposte su cinque punti: lotta all’evasione fiscale, ripristinando in primis la tracciabilità dei pagamenti; riformare l’Irpef, riducendo la prima aliquota dal 23 al 20% e incrementando le detrazione sui redditi da lavoro dipendente e da pensione; agire sulle rendite e sulle ‘grandi ricchezze’, aumentando il livello delle tassazione e istituendo una imposta di ‘solidarietà’ sulla base del modello francese; sul secondo livello contrattuale bisogna rendere strutturale la detassazione; infine al federalismo non va delegata la ‘valorizzazione’ del reddito rendendo la delega sul tema meno generica.

Per fare tutto ciò, rileva Megale, “servirebbe un patto fiscale tra tutti i contribuenti onesti all’insegna di una cultura dell’equità e della legalità fiscale e in difesa dei più deboli. Uno strumento - conclude - capace di fare ‘pressione’ sul governo affinché riveda e cambi radicalmente la sua politica fiscale”.

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