mercoledì 11 febbraio 2009

Stipendi d'oro, una proposta di giustizia

500 mila dollari sono un bel mucchio di soldi. Eppure ha suscitato impressione qui da noi il fatto che il presidente degli Stati Uniti abbia posto questo tetto alle retribuzioni dei grandi manager delle aziende che ricevono gli aiuti di stato. In Italia la retribuzione equivalente, dai 350 ai 380 mila euro annui a seconda del cambio, è considerata nelle alte sfere uno stipendio da morti di fame. Prima ancora della crisi, quando Walter Veltroni si dimise da sindaco di Roma, suscitò apprensione una circolare del commissario governativo che gli era succeduto, che chiedeva agli alti dirigenti delle aziende a partecipazione municipale di accettare il tetto di 400 mila euro alle loro retribuzioni.
L'ipotesi di fermare le retribuzioni a 500 mila euro è stata considerata un atto demagogico da parte di importanti manager delle banche italiane, prima di tutto dall'amministratore delegato di Unicredit. A sua volta l'amministratore delegato della Fiat ha più volte sottolineato che il merito deve essere premiato e sono dunque giuste le altissime retribuzioni. Che fanno sì che egli riceva annualmente un compenso che vale da tre a quattrocento volte la paga di un operaio di linea. In un libro che ci fa ancora pensar bene del lavoro dei giornalisti, quando davvero viene fatto, Dragoni e Meletti documentano che "la paga dei padroni" è in Italia scandalosamente alta e scandalosamente diffusa. Con retribuzioni dei top manager largamente superiori al tetto attualmente indicato da Obama e, soprattutto, assolutamente estranee a qualsiasi logica di mercato.
Sì, perché l'altro aspetto della faccenda è che questi supermanager, che dai loro dipendenti pretendono la flessibilità totale e che impongono che le paghe degli operai e degli impiegati siano legate alla produttività e persino all'andamento della Borsa, per se stessi hanno riservato paghe da nababbi esenti da rischio.
Se confrontiamo l'andamento delle paghe dei supermanager con l'andamento reale delle loro aziende, possiamo tranquillamente concludere che il mercato c'è per i poveri e i lavoratori medio-bassi, mentre per gli alti manager c'è il più generoso dei socialismi. Solo così potremmo interpretare il fatto che la retribuzione dell'amministratore delegato delle Ferrovie dello Stato sia quasi quattro volte il tetto imposto da Obama. Così fan tutte le aziende, pubbliche e private, che vanno bene come male, che fanno debiti o profitti, che licenziano o assumono.
Nel mondo calvinista anglosassone con la crisi è esploso il discredito per le super paghe che l'unica casta ancora immune da vera critica, quella dei manager, attribuisce a se stessa. In Gran Bretagna la Camera dei Lord, evidentemente memore delle rivoluzioni che provocano i privilegi sfacciati, sta discutendo una legge che imporrebbe ad ogni manager di rendere pubblico quante volte il suo guadagno annuale moltiplichi la paga più bassa della sua azienda. Già solo il fatto di rendere trasparente che un megadirigente, che magari ha mandato in crisi l'impresa, intasca uno stipendio pari a diverse centinaia dei lavoratori che ha contribuito a mettere sul lastrico, è di per sé considerato educativo.
Comprendiamo che in Italia sia più difficile applicare quelli che verrebbero definiti inutili moralismi. Una componente del governo di Obama si è dovuta dimettere perché non pagava i contributi alla colf, con lo stesso criterio in Italia le istituzioni locali e nazionali sarebbero travolte da uno tsunami. Però non possiamo continuare a berci la favola imbrogliona per cui ci sono persone che ne valgono centinaia di altre. Nei vecchi libri del fordismo, quelli di parte padronale, si sosteneva che in un'azienda nessuna retribuzione poteva essere cinque volte superiore a quella minima. Noi accettiamo che oggi si possa essere di manica più larga. Si potrebbe decidere, per tutte le aziende pubbliche o che ricevono aiuti pubblici - cioè in Italia praticamente tutte le imprese medio-grandi - che la retribuzione massima non debba superare di dieci volte quella minima. Sono comunque tanti soldi. Con dieci volte la paga di un operaio si vive molto bene. Agganciare la retribuzione massima a quella minima raggiungerebbe anche un altro scopo. Incentiverebbe i manager a far guadagnare di più tutti i propri dipendenti, magari per ottenere più soldi anche per sé stessi. Sarebbe una sorta di cottimo sociale, che avrebbe significati molto più benefici per la giustizia, la salute e la stessa economia del cottimo integrale legato allo sfruttamento e alla fatica, che si vuole imporre sulle paghe dei lavoratori. Si potrebbero poi decidere incentivi e penalizzazioni sulla paga del manager, a seconda che la sua azienda assuma o licenzi.
La nostra è una modesta proposta, e siamo sicuri che a destra e a sinistra troverà pochi consensi. Però quando la buttiamo lì nelle assemblee che preparano lo sciopero del 13, nessuno ci dice che è demagogia. Anzi, da tante e tanti ci viene risposto che è scandalosa demagogia quella di chi vanta meriti inesistenti per giustificare paghe scandalose.

P.S. Naturalmente una forte riduzione degli stipendi dei parlamentari ed in generale delle cariche politiche sarebbe un buon incentivo a muoversi in questa direzione


Giorgio Cremaschi

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